di Giorgio Salvetti su il manifesto del 01/05/2010
Se il fattore produzione va giù, la ricetta è delocalizzare e tagliare posti, attaccando le conquiste dei lavoratori. Anche la cultura è in ginocchio: Napolitano firma il decreto legge del ministro Bondi sugli enti lirici. Ed è subito sciopero per Santa Cecilia, Maggio fiorentino e Scala di Milano.
Il 24 aprile alla Scala di Milano, mentre il presidente della Repubblica parlava della festa della Liberazione e stringeva la mano a Silvio Berlusconi, i lavoratori del teatro sono stati fronteggiati dalla polizia. È volata anche una manganellata. Chiedevano a Napolitano di non firmare il decreto del ministro Bondi sulle fondazioni liriche. Per 24 ore è sembrato che, nonostante le transenne e i cordoni delle forze dell’ordine, la loro richiesta fosse giunta a destinazione. L’altro giorno il Quirinale ha rimandato al mittente il provvedimento del governo chiedendo alcuni chiarimenti. È bastato però un solo consiglio dei ministri e qualche modifica perché Napolitano facesse marcia indietro. Ieri, infatti, il presidente ha dato l’ok al decreto. Il risultato è stato immediato. I lavoratori delle fondazioni liriche hanno deciso di scioperare. Per il ministro Bondi «rivelano una mancanza di rispetto per il pubblico e un atteggiamento irresponsabile».
Ieri sera ha scioperato il personale dell’Opera di Roma ed è saltata la rappresentazione del balletto Don Chisciotte. Stop anche all’Accademia di Santa Cecilia. Martedì i sindacati hanno indetto lo sciopero anche al teatro Regio di Torino, al teatro comunale di Bologna e alla Scala di Milano, dove salterà la prima dell’Oro del Reno. A Milano, oltre che contro il decreto, si protesta anche per la mancata conferma per il prossimo anno di cento lavoratori stagionali. In sciopero anche i lavoratori del Maggio musicale fiorentino dove non avrà luogo la prima replica de La donna senz’ombra. A Firenze nei giorni scorsi a guidare la protesta in strada, con tanto di strumenti musicali, era stato nientemeno che il direttore d’orchestra Zubin Mehta.
Il panorama delle 14 fondazioni liriche è complesso. La protesta si gioca su più fronti diversi a seconda delle categorie e della situazione particolare di ogni fondazione. Su un solo punto sono tutti d’accordo: il governo continua a ridurre le risorse del Fondo unico dello spettacolo (Fus). L’Italia per la cultura spende molto meno degli altri paesi europei. In questo contesto la distribuzione delle risorse sempre più scarse è tutt’altro che equa e le fondazioni sono quasi tutte in perdita. Con grosse differenze: Scala e Santa Cecilia ad esempio, oltre ad ingenti contributi privati, assorbono la fetta più consistente dei fondi alla musica. Il decreto prevedeva di approfondire questa differenza tra teatri di serie A e teatri di serie B, senza tenere conto che la moltiplicità di teatri con alle spalle una grande storia è un grosso valore aggiunto per la cultura italiana. Ne è un esempio proprio il Maggio fiorentino. Per il momento questo declassamento dovrebbe essere scongiurato in sede di attuazione. Si vedrà.
C’è poi il problema dei lavoratori, circa 5.500. Per il ministro Bondi il costo del lavoro è troppo alto: il 70% dei fondi va per gli stipendi. Ma è evidente che la componente umana nel settore della cultura è fondamentale. È vero che alcuni artisti e orchestrali hanno privilegi e indennità integrative a volte difficili da giustificare, come quella, per esempio, del cosidetto «spadone» per i coristi «afflitti» da spade e lance presenti in scena. Ma il governo per superare il problema tende a screditare il ruolo dei sindacati e della contrattazione nazionale che è stata appaltata all’Aran, come se i dipendenti delle fondazioni fossero lavoratori della funzione pubblica. Sotto lo stretto controllo della corte dei conti. Lo strumento della decretazione d’urgenza inoltre ha impedito su un tema tanto importante, dove l’urgenza è tutt’altro che evidente, un’ampia discussione in parlamento. Ed è in questa sede che ora l’opposizione, dal Pd all’Italia dei Valori, promette vigilanza.
I lavoratori più colpiti dai tagli sono i precari: giovani orchestrali, coristi e talentuosi solisti, senza parlare delle maestranze, esclusi dal turn over e costretti a passare da un contratto a tempo determinato all’altro. Domani un loro carro parteciperà alla Mayday precaria. «Nel decreto ad esempio – racconta Roberto – ci sono gli strumenti legali per rendere vane le cause in corso di oltre cento lavoratori della Scala».