Il 25 aprile a Mineo ho incontrato per la terza volta Bashir.
Bashir è un ragazzo pakistano di etnia pashtun che vive al villaggio degli aranci a Mineo.
E’ in Italia da cinque mesi e, dopo essere stato ospite del CARA di Ancona, è stato deportato a Mineo.
So bene come ai benpensanti  possa apparire come un esercizio di retorica l’utilizzo del termine deportazione. Tale termine evoca negli animi e nelle menti di tutti noi la memoria dell’estrema barbarie nazista e l’orrore dei campi di sterminio. Mi vengono in mente le tante anime belle che affollano commossi ogni anno le  iniziative promosse, in occasione della giornata della memoria ,per ricordare la tragedia della Shoah e penso, con sconforto, come a volte, e al di là delle nobili intenzioni di chi le ha promosse,  le commemorazioni acquistino il significato di un rito laico, una liturgia sacrale che diventa complice della più grande rimozione degli ultimi anni. I campi di concentramento non erano solo ad Auschwitz o a Treblinka.
Un campo di concentramento, per esempio, sorgeva   almeno fino all’inizio della crisi libica a Sebha.  Sebha è una ridente località del deserto del Sahara, dove in condizioni di vita disumane, peggiorate dalla difficile situazione climatica, erano deportati dal governo libico i rifugiati politici etiopi, eritrei e somali, in virtù dell’accordo criminale che Gheddafi aveva stipulato con il governo italiano. La deportazione nel deserto  di centinaia di uomini e donne era il risultato della politica dei respingimenti collettivi. La deportazione a Mineo è frutto della stessa politica criminale.
La fenomenologia dell’esclusione sociale è assai varia, come sofisticate ci appaiono le moderne tecnologie con cui il potere riproduce la marginalizzazione e l’oppressione dei corpi e  dei loro desideri. Costringere un essere umano a seguire rigorosamente le ferree regole di condotta che disciplinano la vita in un campo, significa reprimere ogni e più profonda istanza di personale liberazione.
Ma l’indignazione è ancora più forte laddove si pensi che Mineo è un non-sense anche qualora volessimo applicare gli aridi schemi di un’analisi costi-benefici.  Lo spostamento di circa 1600 richiedenti asilo da tutta Italia a Mineo è un’operazione costosa: non è ancora certa la misura delle compensazioni economiche che andranno alla Pizzarotti, società che gestisce i servizi logistici per le basi americane in Italia, l’unico risultato certo sono l’allungamento delle procedure per la concessione del diritto di asilo e lo sprofondare in una terribile condizione esistenziale di Bashir e degli altri ospiti del campo di concentramento di Mineo.
Bashir è un ragazzo colto e gentile, parla perfettamente inglese e fugge da Peshawar e dal tentativo dei talebani di intrupparlo in uno dei tanti campi di addestramento paramilitare della regione.
Con lui e con tanti come lui ho passato la festa della Liberazione : non una sterile commemorazione ma un richiamo attuale e concreto alle necessità della lotta.
Alberto Rotondo