La mia nipotina Carla, oggi, festeggia il suo primo compleanno e non può neanche immaginare che la data odierna corrisponda ad una delle pagine più buie della storia democratica del nostro Paese. Ma è una storia vecchia di dieci anni e neanche i miei alunni, perfino quelli che hanno appena affrontato l’esame di maturità, sanno a cosa mi riferisco.  Eppure, parafrasando un grande film, quel giorno ho visto cose…

Ho visto un corteo pacifico e autorizzato che veniva assaltato dalla forze dell’ordine; ho annusato l’odore acre dei lacrimogeni e ho condiviso il dolore bruciante di colpi violenti prodotti da manganelli speciali; ho sentito le urla di paura di ragazze indifese che correvano in cerca di riparo. Ho visto la violenza barbara di una pistola, carica, puntata contro di noi, sognatori di un mondo migliore; ho sentito le sirene di mezzi blindati lanciati a tutta velocità contro i manifestanti; ho avuto paura di non poter tornare a casa e di fare la stessa fine di quel ragazzo stramazzato al suolo dopo uno sparo letale, avvenuto a pochi metri da me.

Quel giorno è crollato un castello di certezze: gli uomini che avevo sempre considerato dalla mia parte si rivoltavano contro di me. Come in un film western, fino a quel 20 luglio del 2001, la sirena della polizia era stato il segnale dell’arrivo dei “nostri”, baluardi difensori della legalità, tutori coraggiosi della lotta alla mafia; ma quel giorno lo Stato si era scagliato violentemente contro i suoi cittadini indifesi, ferendone migliaia, impaurendone centinaia di migliaia, uccidendone uno.

È una delle pagine di storia più tristi ma, ovviamente, dimenticate dalla retorica dei centocinquanta anni di festeggiamenti nazionali.

Eppure eravamo tanti i testimoni di Genova, quelli che hanno assistito ad un massacro pre-ordinato, una mattanza consumata forse per vendetta o per livore, forse per cancellare lo spirito critico di chi aspira ad un mondo migliore, forse per una decisione assunta a livello internazionale, forse per ragioni che non sapremo mai. Forse.

O forse, tra i mille segreti di Stato seppelliti negli armadi segreti della nostra Repubblica, un giorno troveremo la verità politica sul G8 di Genova, riuscendo a diradare le nebbie di depistaggi e omertà istituzionali.

Oggi abbiamo alcune verità digitali, quelle impresse sulle videocamere di migliaia di persone, e abbiamo soprattutto squarci di verità giudiziaria nelle sentenze della magistratura italiana.

E così sappiamo che la carica delle forze dell’ordine contro manifestanti è stata ingiustificata, arbitraria e sproporzionata; sappiamo che alla scuola Diaz, la notte tra il 21e il 22 luglio, si è consumato un abuso, un vero e proprio assalto poliziesco contro cittadini inermi, inventando la storia di una coltellata ad un poliziotto e introducendo dentro l’edificio bottiglie molotov per giustificare l’irruzione.

Una vicenda troppo spesso nascosta dalla stampa di questo Paese la cui notizia aveva perfino fatto trasalire il più amato dei poliziotti italiani, il Commissario Montalbano il quale, in uno dei romanzi più belli di Andrea Camilleri, ipotizza le sue dimissioni dalla polizia perché “i suoi compagni e colleghi, a Genova, avevano compiuto un illegale atto di violenza alla scordatina, una specie di vendetta fatta a freddo e per di più fabbricando prove false. Cose che facevano tornare a mente cose seppelluti della polizia fascista o di quella di Scelba.”1

O semplicemente quella del ministro Scajola e di Gianni De Gennaro, l’allora capo della polizia condannato in appello per aver indotto un funzionario a mentire al processo sull’irruzione alla scuola Diaz.

Ma non è il solo ad essere stato condannato: questori, vice-questori, dirigenti dei servizi segreti e della Digos… tutti condannati in appello ma puntualmente promossi ad incarichi più prestigiosi, con il beneplacito dei governi di centrodestra e di centrosinistra.

C’è anche un’altra verità giudiziaria, un’altra sentenza che fa luce sulle torture consumate dentro la buia caserma di Bolzaneto, in cui le forze di polizia si sono accanite contro giovani ingiustificatamente arrestati: atti di violenza fisica e psicologica, simulazione di stupri e di esecuzioni naziste, il tutto accompagnata da un colonna sonora degna delle deportazioni cilene del settembre 1973, quando si materializzava il golpe del Generale Pinochet, spesso evocato durante le sevizie consumate dentro la caserma genovese, come dice la sentenza del Tribunale di Genova.

Malgrado ciò rimangono ancora tante domande senza risposte e l’omicidio di Carlo Giuliani è ancora avvolto da numerosi punti oscuri, precocemente archiviati da una lettura sommaria delle carte e da una visione parziale dei fotogrammi.

Tutti conosciamo la versione ufficiale. Abbiamo visto l’immagine di quel ragazzo in canottiera bianca nell’atto di lanciare un estintore contro un defender dei carabinieri, rimasto isolato. E sappiamo anche che, nella vulgata ufficiale, ciò ha prodotto la reazione di un giovane carabiniere impaurito il quale, per legittima difesa, ha sparato e ucciso. La perizia ufficiale dimostra perfino che il carabiniere, Mario Placanica, non voleva affatto uccidere: ha sparato in alto per intimorire i manifestanti ma il fato, cinico e baro, ha voluto che il proiettile fosse deviato da un sasso, lanciato contro la jeep dei carabinieri, così da conficcarsi sulla fronte di Carlo. Fantasioso sì, ma ufficiale.

Basterebbe semplicemente vedere le migliaia di foto e filmati per scoprire cose che potrebbero far cambiare la versione dei fatti: il defender dei carabinieri non è affatto isolato anzi si è fermato inspiegabilmente in mezzo alla piazza (non è piantato al muro!) dopo aver investito, senza ragione, un cassonetto (qualcuno parla di una trappola tesa per adescare i manifestanti); Carlo Giuliani non è così vicino come sembra dalla foto che lo ritrae da dietro, schiacciandolo sulla jeep, anzi si trova ad un distanza tale da rendere innocuo il lancio di un estintore (come è evidente in molte foto poco pubblicizzate); il carabiniere sul defender mostra per diversi secondi la pistola puntandola ad altezza uomo; dentro lo stesso mezzo dei carabinieri c’è un uomo, probabilmente un alto ufficiale mai identificato, che probabilmente spara (e non il giovane Placanica) contro Carlo Giuliani.

Dubbi? Illazioni? Verità omesse? Haidi e Giuliano non lo sapranno mai perché non ci sarà un processo sulla morte del loro figlio. Perché? Questa è una delle tante domande cui speriamo di trovare presto una risposta. Ce ne sono tante altre, per esempio mi piacerebbe sapere la ragione per cui l’allora vice-presidente del Consiglio, Gianfranco Fini, si trovasse nella sala operativa dei carabinieri durante i cortei. Non mi pare che sia un suo precipuo compito istituzionale. Mi piacerebbe sapere anche perché alcune forze politiche del centrosinistra, come Italia dei Valori e Radicali, hanno impedito l’istituzione di una commissione parlamentare d’inchiesta sui fatti Genova.

Mi piacerebbe sapere tanto altro, ma soprattutto vorrei sapere perché quel giorno i “nostri” si sono trasformati in nemici, perché la nostra Repubblica per tre giorni abbia dismesso il suo abito democratico cancellando le norme minime dello stato di diritto.

Non è una semplice curiosità. Mi piacerebbe sapere la verità sulle tragiche giornate di Genova non solo per una necessità di ricostruzione storica, ma perché questa vicenda ci parla della natura della democrazia di questo nostro Paese, che vorrei salda per oggi e per domani. E alla mia nipotina Carla vorrei fare questo regalo per il suo primo compleanno.

Giusto Catania