Eleonora Artesio, assessore alla Sanità della Regione Piemonte
Eleonora Artesio, assessore alla Sanità della Regione Piemonte

Intervista ad Eleonora Artesio, assessore alla Sanità della Regione Piemonte
Maurizio Pagliassotti su Liberazione del 21/07/2009
Nata a Torino il 29 luglio 1954, coniugata, Eleonora Artesio è insegnante elementare. Dopo aver coperto vari incarichi istituzionali dal 2007 è assessore regionale alla Sanità. Ha sostituito Mario Valpreda.
Come sta la sanità pubblica in Piemonte?
Dal punto di vista dei risultati di salute possiamo dire che sta bene. Mediamente abbiamo una durata in vita della popolazione superiore agli standard nazionali, ed anche la qualità è migliorata. Certo abbiamo dei dati riguardanti i grandi centri urbani che evidenziano la vulnerabilità di alcune categorie, sia nuove che antiche: i migranti, gli anziani… Il vero problema è comunque l’esposizione economica, sempre più impegnativa. Il Piemonte integra con fondi propri il trasferimento del fondo nazionale: nel 2008 con circa trecento milioni di euro, circa il 18% dell’intero budget, indispensabili per migliorare la qualità del servizio soprattutto per le fasce più deboli della popolazione.
Come vanno i tempi di attesa in Piemonte?
I tempi di attesa sono un oggetto misterioso. Non perché non li si studi ma perché non si riesce bene e a comprendere la ragione di questi tempi. Noi abbiamo un’anomalia importante nei confronti delle altre regioni: consumiamo più prestazioni a persona di quanto non accada altrove, oltre sette a testa. E questo non solo perché c’è una popolazione anziana. Una delle cose da chiedersi è se esista un rapporto tra questo dato e lo stato di salute generale. Perché è vero ad esempio che Torino è un polo di aggregazione di debolezza sociale, ma sono anche presenti la gran parte degli erogatori sanitari privati. La domanda quindi è: stiamo inseguendo un bisogno reale o una induzione data dall’offerta che è spropositatamente presente? Quindi, dire che si devono abbattere le liste d’attesa pone una domanda implicita: facciamo un favore ai cittadini oppure a chi fa un’offerta in convenzione ed ha tutto l’interesse ad aumentare la sua produzione? Questo è un braccio di ferro costante con le strutture della sanità privata.
Qual è la regione in cui la sanità privata incide maggiormente?
La Lombardia.
Come può essere indotto il bisogno sanitario?
In parte vi sono delle ragioni che non sono contrastabili, ad esempio la medicina difensiva. Dato il clima di forte attesa e aspettativa da parte di ogni singola persona sulla qualità della cura, ci si aspetta che tutto sia curabile e gestibile. Quando questo non accade scatta un meccanismo di conflittualità, di ricerca del colpevole nel settore sanitario. E, prendendo spunto dalla situazione americana, si stanno creando perfino delle fortune giudiziarie grazie a studi di avvocati che operano solo in questo settore. Di fronte a questo i medici si difendono coprendo tutto, anche l’inutile, per prevenire ogni possibile rischio. Non è più la diagnosi sulla visita a dettare la cura ma l’utilizzo di tutto il possibile. Questo è un clima su cui ormai è difficilissimo intervenire, indotto anche dalla persona perché ormai è il paziente a dettare la linea d’azione al medico. E poi vi è la filiera interna, che si autoriproduce in continuazione. Questa mia interpretazione è contestata ovviamente dagli operatori privati, l’istituzione sanitaria è accusata di non essere capace di rassicurare i medici o di obbligarli a stare dentro delle linee guida. Oppure semplicemente i privati chiedono l’introduzione dei ticket. E’ un rapporto di continua negoziazione. Noi quindi chiediamo di abbassare il meccanismo consumistico sanitario ma i produttori tendono ad aumentare l’offerta.
Come come? Consumismo sanitario?
Certamente. Si è passati dalla tutela del diritto alla salute alla pratica del consumo sanitario.
La sanità pubblica è sotto attacco secondo lei?
Sono convinta che la sanità pubblica sia sotto attacco perché non c’è più la coscienza del diritto alla salute ma prevale quella del consumo sanitario.
La spesa sanitaria è in crescita, e non è un fatto casuale. Nei paesi come gli Usa però, nazione senza copertura universale in cui gli erogatori sono tutti privati, il budget sanitario cresce più che nei paesi dove la sanità è governata dal settore pubblico. Non è vero quindi che il privato è più efficiente, e non è vero che escludere alcuni porti ad un vantaggio di gestione economica. Il problema è che in Italia l’universalismo della sanità pubblica crea la necessità di misurarsi con l’altro. Al pronto soccorso arriva di tutto, e tutti inseme si aspetta la chiamata, consapevoli che esiste una regola comunitaria che governa il sistema: chi sta peggio passa prima. Questa regola è ormai vista come concorrenza e basta. Una concorrenza sul mercato. L’immigrato è visto solo come un competitore sulle risorse pubbliche.
Cosa pensa dell’attività privata dei medici negli ospedali?
Se fosse svolta seguendo la legge 120 “intramegna”,ovvero l’attività privata dentro le mura dell’ospedale regolata da un ufficio pubblico, sarei d’accordo, anche per un senso di realismo. Quella legge prevedeva che il volume delle prestazioni private non superasse il volume del pubblico. In poche parole se nella mia attività pubblica pari a tre ore giornaliere visito tre pazienti e nello stesso tempo quando opero da privato ne passo dodici c’è qualcosa che non funziona. I volumi quindi devono essere equivalenti. Casualmente questa legge è stata accantonata in questo momento. Sono contraria al fatto che l’attività privata crei corsie private per i cittadini
Come si controllano i privati?
La potenza delle strutture di controllo, in termini numerici, è molto bassa. Poche unità operative. Quando va bene un controllore riesce a fare due visite all’anno. Così i controlli sono troppo distanziati. Oppure si fanno controlli su segnalazione. Certi malfunzionamenti comunque si vedono, altri è impossibile. Alcuni indicatori, ad esempio l’uso abnorme di determinati trattamenti, lascia intendere che ci siano delle situazioni poche chiare. Un vero controllo è invece quello sociale: stiamo pensando si introdurre nelle commissioni di vigilanza delle rappresentanze tratte dal tribunale del diritti del malato e dalle associazione dei famigliari in modo che ci sia anche un aspetto che parte dal principio della rappresentanza del paziente.
Cosa consiglia di fare ai medici che visitano i clandestini.
Noi abbiamo mandato adesso una circolare in cui diciamo che il decreto sicurezza non comporta l’obbligo della denuncia
Due anni alla guida dell’assessorato più importante della regione Piemonte…
L’accusa che vien mossa a Rifondazione di non essere atta alla governabilità nella pratica si è dimostrata totalmente infondata, questo grazie alla serietà di tutto il gruppo consigliare regionale. Da questo punto di vista mi viene da dire che l’assunto “Rifondazione uguale ingovernabilità” è sconfessato nei fatti. Anzi, il bisogno che il nostro partito ha di sostenere e dimostrare i propri contenuti, la porta ad essere più timida di certe altre forze politiche che mostrano il Dna della governabilità ma che operano senza scrupoli per i loro interessi personali. Come tutte le esperienze di relazione vi è una tensione costante tra quelle che sono le priorità di rifondazione e quelle delle altre forze politiche.
Lei è una delle ultime persone che rappresenta Rifondazione Comunista in un alto ruolo istituzionale, che governa la vita dei cittadini…. Come va?
La prima cosa che mi viene in mente é: “ma no! C’è anche Vendola!” Poi mi sono ravveduta. Questo perché continuo a non digerire la divisione ed ad augurarmi che sia un passaggio recuperabile, la capacità di ricostruire l’unità della sinistra che risponda alla domanda di sinistra che c’è tra i cittadini. La stessa Bresso d’altronde dice che il recupero dell’astensione a sinistra è la chiave per riuscire a battere le destre.