di Loris Campetti (il manifesto del 05/04/2011)
Massimo Rossi si appassiona più al referendum per l’acqua pubblica che alla prossima tornata amministrativa perché pensa che la questione dei beni comuni sia «fondante» di un altro modello sociale, culturale, politico, di relazioni tra le persone. Viene da una storia «movimentista» sfociata, «senza degenerare in politicismo», in importanti esperienze amministrative. E’ stato per nove anni sindaco della «Porto Alegre» d’Italia, Grottammare, s’è inventato il bilancio partecipativo, sostenuto dalle liste di movimento e dalle forze di sinistra.
Ha fatto il presidente della provincia di Ascoli, tutt’altro che rossa, vincendo al primo turno finché il Pd, nel 2009, non si è messo di traverso impugnando una politica opposta a quella che ha fatto vincere il centrosinistra 5 anni prima e ha presentato un candidato contrapposto che ha ottenuto il risultato straordinario di riconsegnare la provincia alla destra. Abbonato al manifesto, attivo in rete con Democrazia kilometro zero, appassionatamente contrario alla guerra – «ero a 300 chilometri dall’ambasciata cinese a Belgrado, rasa al suolo dalle bombe intelligenti della Nato e di D’Alema».
Rossi insegna materie tecniche in un istituto professionale di Fermo, «una scuola di frontiera dove la metà degli studenti è fatta di immigrati e molti vengono da classi sociali deboli. Pensa che mentre noi siamo con l’acqua alla gola, la giunta regionale di centrosinistra delle Marche ha deciso di dare 600 mila euro a due scuole professionali cattoliche per fare corsi analoghi ai nostri». Ama il suo lavoro, se n’è distaccato solo per impegni amministrativi e dal 2009 ha ripreso la sua postazione.
Ci racconta il suo nuovo impegno di portavoce della Federazione della Sinistra durante due ore buche dall’insegnamento.
Che ci fa uno come te in un esperimento politico che tiene insieme i comunisti del Prc di Ferrero e del Pdci di Diliberto, Socialismo Duemila di Salvi e Lavoro e società di Patta? «Intanto queste quattro forze che lavorano insieme, e le tante soggettività che hanno scelto di stare nella Fds senza altre tessere di partito, sono la testimonianza che la Fds è qualcosa di diverso e di più dell’unità dei comunisti, a cui so che qualcuno pensa. Io credo invece che l’elemento da valorizzare sia il tentativo invertire il processo di frammentazione a sinistra, pur nel riconoscimento delle diversità, guardando con interesse all’esperienza di Izquierda Unida e della Linke. E’ un’idea diversa, più ambiziosa del cartello elettorale: è la ricerca, dentro la crisi della forma partito, di nuove forme della politica».
Arrivato alla Fds dalle esperienze legate alla partecipazione e alla difesa dell’acqua pubblica e dei beni comuni, Rossi ha in mente concetti come la «democrazia insorgente» e riflette su come «mettere in rete la ribellione al pensiero unico». La sinistra che ha in mente somiglia più a esperienze come «Uniti contro la crisi» che all’unità dei comunisti. Questa è almeno l’impressione che resta dopo una lunga chiacchierata e un’antica frequentazione.
Però le elezioni ci sono, e storicamente non sono il terreno in cui la sinistra dà il meglio di sé: «E’ uno scoglio difficile perché mette in moto dinamiche poco conformi all’esigenza di costruire un percorso comune propositivo, alternativo a quello dominante. Non dimentico che viviamo in una stagione segnata da Berlusconi e dal berlusconismo, perciò è fondamentale cercare il massimo di unità sul terreno della difesa della democrazia. Però non credo che ci siano le condizioni per un’esperienza nazionale di governo, diverso è nei territori dove sono possibili e auspicabili accordi sul merito, basati sulle esigenze reali».
Come la mettete con Vendola e Sel? «In tutte le mie esperienze amministrative sono stato candidato anche di Sel e in molte realtà lavoriamo in sintonia. Bisogna ammettere però che hanno un’altra impostazione politica e un’idea diversa dalla nostra sul rapporto con il centrosinistra. Penso a Torino, alla Fiat, e mi chiedo come si faccia ad appoggiare Fassino. Ma penso anche a Napoli, a Salerno, penso a realtà marchigiane come San Benedetto dove dopo una campagna importante sul territorio Sel si è messa con il Pd che sostiene un’idea e una pratica opposta di uso e sfruttamento del territorio. Io credo all’unità per, non all’unità di, e temo il politicismo». Le vostre parole d’ordine nella campagna elettorale? «La priorità dei contenuti, mettendo al centro la costruzione di un diverso modello sociale; un nuovo rapporto eletti-cittadini basato sulla partecipazione, con gli eletti capaci di prescindere dall’appartenenza; la qualità delle relazioni, fuori da logiche di dominio e di egemonia in un movimento circolare capace di accogliere e valorizzare le differenze, a partire da quelle di genere».
Due sabati fa Massimo Rossi era a Roma in piazza San Giovanni per l’acqua pubblica e sabato scorso era a piazza Navona, contro la guerra «senza se e senza ma», impugnando la Costituzione. «La guerra è sempre un pantano di sangue».
Buon lavoro, Massimo Rossi.