Gianni Rinaldini, lo sciopero generale della Cgil contro la manovra del
governo sta ricevendo più consensi dalla società civile che dalla politica.
Solo le forze minori della sinistra vi appoggiano, il Pd oscilla tra l’aperta
ostilità dell’area liberal e la prudenza del segretario Bersani, il quale si
è limitato a dire che il suo partito sarà presente «a tutte le diverse
iniziative» che le forze sociali assumeranno. Tra le critiche alla Cgil, la
più ricorrente è che scioperare da soli, senza Cisl e Uil, è un errore. Come
rispondi?
E’ la solita litania. Ogni volta che decidiamo uno sciopero, l’unica cosa
che ci sentiamo dire è «dovete essere uniti». Il che è un modo come un altro
per non entrare nel merito delle questioni alla base della nostra
mobilitazione. Quando c’è uno sciopero generale, con le relative proposte,
uno dice se le condivide o no. Il resto fa parte di quell’incomprensibile
linguaggio politicista che poi è alla base della frattura sempre più
evidente tra politica e società civile. La cosa che mi impressiona è il
fatto che in questa manovra – oltre agli aspetti di iniquità nella
redistribuzione della ricchezza, con misure che penalizzano le fasce
popolari – c’è un decreto lavoro che rappresenta un’enormità. Nel senso che
ci troviamo di fronte alla cancellazione di parte della storia del movimento
operaio. Se dovesse passare questa operazione, d’ora in poi attraverso i
contratti aziendali si potrà intervenire su tutte le materie relative alla
prestazione lavorativa inclusi gli aspetti legislativi, dal controllo degli
ambienti di lavoro anche con strumenti audiovisivi, fino alla scelta di non
applicare l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. In sostanza, salta l’equilibrio
costituzionale fondato sui diritti sociali, che sono la sostanza della
democrazia, dal momento che quei diritti in quello schema diventano una
variabile del mercato. Ora a me pare straordinario che un’operazione di
siffatta natura non abbia sollevato l’indignazione delle forze politiche,
tanto più di quelle che storicamente avevano rappresentato la sinistra nel
nostro paese. Tra l’altro non è un caso che in commissione bilancio del
Senato, sul decreto lavoro il Terzo Polo abbia votato assieme al governo. Il
che sta a indicare che, quando non c’è il merito, non si fa molta strada.
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La Cisl non la vede così drammatica. Per Bonanni il decreto lavoro non è un
problema, anzi «rafforza il potere delle parti».
Che non sia preoccupato Bonanni non mi sorprende, perché negli atti compiuti
nel corso di questi anni – dal condono fiscale al collegato lavoro –
Confindustria, Cisl e Uil hanno perseguito questa strada. Una strada per cui
nella globalizzazione non ci sono più vincoli sociali di solidarietà ma
tutto viene ricondotto a una logica di mercato. Esattamente ciò che prevede
questo decreto.
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Secondo Susanna Camusso, l’articolo 8 della manovra «è un tentativo di
cancellare l’intesa del 28 giugno con Confindustria», che invece
confermerebbe il ruolo primario del contratto nazionale.
Penso esattamente l’opposto. E cioè che non l’accordo ma l’ipotesi di
accordo siglata il 28 giugno abbia contribuito ad aprire la strada all’intervento
successivo del governo. Così come è stato un errore partecipare al blocco
delle forze sociali, sottoscrivendo un documento in sei punti, quando, alla
prova dei fatti, è emerso che non c’era nessuna posizione vera di carattere
unitario. Oggi i soggetti firmatari del 28 giugno interpretano quell’accordo
sostenendo che il decreto lavoro corrisponde a quello che anche la Cgil ha
sottoscritto. Mi pare evidente che in queste condizioni quell’accordo non
esiste più.
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La proclamazione dello sciopero generale da parte della Cgil rappresenta un
cambiamento rispetto alla linea del dialogo con Cisl e Uil portata avanti
dalla segreteria nei mesi precedenti?
Io credo che questo decreto rappresenti uno spartiacque. A me pare evidente
che il sindacato e la Cgil si trovino ad affrontare una situazione
totalmente nuova, sconosciuta nella storia repubblicana di questo paese. E
quindi lo sciopero generale del 6 non può essere uno sciopero “una tantum” e
dopo riprendono le cose come prima. Dobbiamo invece ragionare su come aprire
una fase conflittuale nel paese, definendo proposte e pratiche rivendicative
che disegnino concretamente una alternativa sociale a quello che sta
avvenendo. E’ lì che vedremo se tutta la Cgil è disponibile a questo
confronto. In un contesto completamente diverso e molto peggiore,
richiamarsi a quelli che sono stati i documenti congressuali lo riterrei un
errore.
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Però è vero che uno sciopero generale fatto dalla sola Cgil è meno efficace.
Davvero l’unità con Cisl e Uil oggi non ha più senso?
Io sono per l’unità sindacale, è nel dna della Cgil. Il problema è che oggi
ci troviamo di fronte al fatto che Cisl e Uil hanno scelto, rispetto anche
alla crisi dei sindacati provocata dai processi di globalizzazione, un’idea
di modello sindacale del futuro che non è quello della Cgil. Ciò fa si che
in questa fase non sia all’orizzonte il processo di unità sindacale così
come è stato concepito classicamente, perché le differenze tra le
organizzazioni sindacali non sono su questo o su quel punto ma sono proprio
di carattere strategico. Altra cosa è l’unità d’azione sulle singole
questioni, che però può essere possibile nella chiarezza e con le procedure
democratiche.
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Secondo Bersani, se Cgil Cisl e Uil sono divise è solo per colpa del
governo…
Insisto. La cancellazione del contratto nazionale, in una fase di recessione
e di crisi, determinerà il fatto che i lavoratori saranno costantemente
ricattati dalle aziende: “o accettate le nostre condizioni o vi chiudiamo la
fabbrica”. Come ha fatto la Fiat. Ciò rappresenta per questo paese un salto
all’indietro di civiltà. Ora, nel merito, dicano se sono d’accordo.
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Per la verità, il Pd ha già detto che l’articolo 8 va eliminato
E allora ne traggano le conseguenze.
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