Ferro bandiera europaINTERVISTA Ferrero: “ Bertinotti nichilista, la sua sconfitta non è quella di tutti. Noi mai l’ala sinistra dei democratici”
Paolo Ferrero, segretario di Rifondazione, è sicuro: l’autonomia dal Pd è l’unica premessa possibile per la rinascita di una sinistra comunista e anticapitalista.
Un anno fa tutta la sinistra era sotto il 3,5%. Perché oggi, divisi, dovrebbbe andare diversamente?
Un anno fa uscivamo da un’esperienza di governo disastrosa, e scontavamo il voto utile, cioè quel bipolarismo stretto che è il vero nodo che la sinistra radicale sta affrontando senza ammetterlo, da 15 anni. Il bipolarismo e il sistema elettorale prevedono la nostra mortee l’esperienza di governo ci ha portato molto vicini. Ne siamo usciti con un dibattito durissimo che al di là dei resoconti in realtà è stato su questo: da quella sconfitta la sinistra esce stando attaccata al Pd o costruendo un polo politico autonomo? Noi abbiamo scelto questa seconda strada e su questo ci siamo divisi e anche separati. In Europa, infatti, saremo risolutamente all’opposizione del governo di larghe intese Pse-Ppe che condiziona Strasburgo. Mentre Sinistra e Libertà ha scelto una collocazione non chiara, come si vede anche dalle amministrative.
Insisto, perché dovreste prendere il 4%?
Perché abbiamo fatto i conti con la sconfitta facendo chiarezza. Da un lato ritroviamo le ragioni della nostra utilità politica. Dopo la caduta del governo la tesi del divorzio consensuale dal Pd era in realtà l’ammissione della nostra inutilità. Oggi è chiara la nostra collocazione politica e lo è anche la nostra identità storica: una scelta di classe che fa capire da che parte stiamo. Stiamo dentro il filone di una sinistra italiana che non si è pentita delle sue lotte, delle sue battaglie e dei suoi simboli.
Come si concilia questa autonomia dal Pd con l’aggressività di Berlusconi? Opporsi da soli è un obiettivo strategico, irrinunciabile, oppure il pericolo di questa destra vi porterà di nuovo al nodo delle alleanze?
Sull’autonomia dal Pd indietro non si torna. Perché penso che le socialdemocrazie, dagli anni ’90 in poi, siano state il principale fallimento di fronte alla crisi. Non sono mai riuscite a coniugare il liberismo con l’equità sociale. Anzi, hanno allargato la palude di cui si nutre la destra populista. Per questo l’autonomia da loro è decisiva.
Bertinotti voterà per Sl, ma si augura per tutta la sinistra “tanto peggio, tanto meglio”.
È una forma sbagliata di nichilismo. Fausto tende a far coincidere la sconfitta della sua linea politica con quella della sinistra in quanto tale non solo in Italia ma anche in Europa. Non vede che la sinistra di alternativa, dove non ha governato come in Grecia, Portogallo, Francia, Olanda e Germania, cresce come non mai, ovunque con consensi a due cifre fino al 20 per cento.
È la sinistra italiana, che è stata un laboratorio di innovazione fondamentale, che rischia persino di non essere rappresentata.
Abbiamo governato pensando, me per primo, che avevamo la forza per far rispettare il programma. Non ce l’avevamo. Relativizzare quell’errore è fatale. Nel 2008, dopo il governo, abbiamo avuto un terzo dei voti del 2006. E non c’è stato un evento epocale. Abbiamo sbagliato la linea politica e la gente ha pensato che non servivamo a niente. Punto. La sconfitta della sinistra è italiana ed è dovuta a scelte precise.
Quindi non credi che dopo il voto ci sarà un “big bang” rigeneratore?
Ma quale big bang… Quella tesi è la suggestione che una parte del Pd ricostruisca un pezzo di sinistra. Anch’io preferisco Bersani a Letta ma negli anni in cui abbiamo governato assieme sui punti veri di fondo tra loro non ho registrato nessun dissenso.
Chiedi “un voto utile a sinistra”. Non ti imbarazza replicare uno slogan del PD?
Abbiamo rovesciato quello che ci è stato gettato addosso la volta scorsa. Perché il voto per noi è utile? Perché in Europa Franceschini e Di Pietro governano assieme a Berlusconi nel 90% dei casi. Stavolta è quel voto lì che è inutile. Se il Pd sta un po’ sopra o un po’ sotto che c’entra con la sinistra? E anche se l’Idv arriva al 10% ha mai fatto una critica alla Confindustria? Ha perfino votato a favore del federalismo fiscale, cioè della distruzione dello stato sociale.
La vostra lista è una lista elettorale o è il primo passo di un’aggregazione stabile?
Non è un’operazione elettorale e non sarà un partito unico. Abbiamo già scritto nel programma che il coordinamento tra queste forze continuerà a prescindere dai voti. Da qui non si torna indietro. Ci si può dire socialista, come Salvi, oppure comunista come me, ma è un processo di aggregazione della sinistra sulla base dell’autonomia dal Pd e dai poteri forti. È un punto di partenza per la costruzione di un polo di sinistra, comunista e anticapitalista, plurale, che non fa piazza pulita del passato.
Aperti anche a Vendola?
A tutti purché sia chiaro che non saremo l’ala sinistra del Pd. È ovvio che ci sarà un confronto particolare, più ravvicinato con chi si dice comunista ma milita in partiti diversi, come Sinistra critica e non solo.
Se ne parla poco ma forse è dalle amministrative che si misurerà l’esito dello scontro elettorale. Temi risultati eclatanti?
Non penso ad asticelle né a capisaldi inespugnabili. Bologna si è persa e poi si è ripresa. È chiaro che la destra vincerà perché nell’ultimo anno non ha avuto opposizione. Noi il punto più basso l’abbiamo vissuto l’anno scorso e oggi abbiamo una prospettiva chiara. Il Pd ci deve ancora passare. Gli errori del centrosinistra in parlamento sono tali che se si continua così da qui a un anno Berlusconi parlerà di elezione diretta del presidente della repubblica.
Raggiungere o meno il quorum cambierà le vostre scelte politiche?
Abbiamo un’idea chiara a prescindere dal quorum. Lavoriamo sui territori e nella società: in Abruzzo siamo l’unico partito che gestisce due campi in un rapporto splendido con la popolazione. Il quorum è importante non perché due o tre eurodeputati cambino la storia ma perché superarlo dà l’idea che la sinistra italiana non è finita. Che c’è e resiste. Altrimenti resta l’alternativa tra due populismi, quello di Berlusconi e quello di Di Pietro. E sul piano sociale altro che big bang, continuerà la guerra tra poveri. Siamo chiari: nei comizi dico sempre che se non riesci a contrattare con i padroni, chiudi a chiave i manager. L’epoca dei compromessi è finita e gli schematismi in questo caso sono inessenziali: il punto è piantare una bandiera sulla terraferma e non in una palude in cui non si capisce più nulla. Solo così la sinistra può ripartire.
Matteo Bartocci, il manifesto del 5 giugno 2009