di Giovanni Russo Spena e Gennaro Santoro su Liberazione del 20/04/2010

La Lega e Di Pietro si stanno scagliando con argomenti giustizialisti contro il disegno di legge in discussione in commissione giustizia alla camera che prevede la messa in prova per chi rischia di scontare tre anni e la detenzione domiciliare per chi deve scontare 1 anno di carcere. Esso ha invece il merito di rompere con una visione monoteistica della pena come sinonimo di carcere (e, tutto al più, di misure alternative). Tanto più di fronte ai suicidi quotidiani che fanno della condizione carceraria uno stillicidio di morti (un morto ogni due giorni da inizio anno). Purtroppo, aldilà del merito astratto, il ddl nasce già inapplicabile a causa delle leggi liberticide prodotte dalla fabbrica della paura che è ormai egemone nella azione di governo come nella cultura di massa.

Dunque, ancor prima della sua discussione parlamentare, il ddl esce monco dalle scrivanie di via Arenula, dove si ha la consapevolezza che il dilemma carceri non si risolve se non abrogando le leggi targate Bossi-Fini, Fini-Giovanardi ed ex-Cirielli che oggi producono processioni nelle patrie galere di microcriminali ma anche di poveri cristi con atteggiamenti non conformi e senza soldi per pagarsi la difesa (o, come nel caso Cucchi, che sono uccisi prima di essere giudicati).
Come ha il merito di svelare il libro “In attesa di giustizia. Dialogo sulle riforme possibili” – di Carlo Nordio e Giuliano Pisapia, rispettivamente incaricati dal governo (di destra il primo, di sinistra il secondo) di riscrivere i codici penali – il vero segreto di pulcinella nell’amministrazione della giustizia degli ultimi 30 anni è rappresentato dal paradosso che i tecnici delle riforme di destra come di sinistra condividono la medesima idea di fondo, ovvero, l’unica soluzione del dilemma carcere è una riforma (copernicana) di sistema che abroghi le leggi spot “riempi carceri”, riduca l’azione penale ad intervenire sui comportamenti davvero lesivi dei diritti dei consociati e riduca il carcere ad extrema ratio. Con immediato effetto positivo anche e soprattutto delle vittime di reato e dei cittadini, oltre che di chi è sottoposto a giudizio ed è eventualmente ristretto nella libertà, che vedrebbero soddisfatte le loro aspettative di diritto in tempi ragionevoli.
Ma la destra non segue Nordio e produce e legittima paure ed insofferenze. Il centro sinistra, dal canto suo, produce due tipi di reazione, l’una che insegue populisticamente la destra nel promettere “più forca pei poveracci”, l’altra che continua a gridare numeri e pratiche che testimoniano come una giustizia più equa ed efficace nei confronti e a vantaggio di tutti i suoi attori sia possibile. La complessità della dicotomia del centro sinistra rispetto alla giustizia è che l’ideale securitario e quello garantista pervadono tutti i singoli partiti, in una liquidità baumiana dove il tramonto definitivo della promessa di un welfare state che renda i cittadini uguali e felici è sostituito da chi emula la destra e chi (come chi scrive) grida numeri impopolari che però testimoniano ancora l’utilità sociale di una riforma copernicana, strutturale, della giustizia.
Ma la magra consolazione di avere dalla nostra la ragione scientifica di certe proposte (ad es., le misure alternative abbattono la recidiva al 20% mentre chi esce dal carcere torna a delinquere 7 volte su 10) deve fare i conti con il magrissimo consenso che tali proposte hanno. Altrimenti, saranno (le proposte) e saremo (noi) eterna minoranza e finiremo col parlare ai nostri ombelichi. E mentre da buoni giacobini continuiamo a parlarci addosso, le carceri sfonderanno le 70.000 quote in estate (l’estate dell’indulto del 2006 erano 63.000).
“Pasqua di Resurrezione, cominciamo anche dal carcere e dai detenuti”, scriveva l’altro giorno Adriano Sofri su Repubblica. E Claudia Fusani sull’Unità a fare da coro: «Il contatore dei decessi in cella corre veloce. Muoiono per disperazione. Dovrà intervenire di nuovo la Chiesa. Era già successo nel 2006». La riscossa culturale del paese è ormai delegata dalla politica ai media (o ad altri), nel bene (vedi sopra) e nel male (vedi il paese).
Una riscossa culturale organizzata da attori, come i giornalisti, i comitati di lavoratori o di cittadini, che hanno come comune denominatore il fatto che non sono promossi o coadiuvati dalla politica e che il nostro partito, al pari degli altri, non riesce a traghettare, nella giustizia come in altri settori.
Occorre, quindi, anche qui un cambio di passo da parte nostra. Sfidando la demagogia populista securitaria. Insieme a qualche giornalista democratico, ad alcuni intellettuali, a comitati di lavoratori e cittadini che sinora il sistema politico ha lasciato soli.
Per questo motivo ci appelliamo a tutte le forze di centro sinistra (e, prima ancora, alla società civile) perché partecipino allo sciopero del prossimo 24 aprile indetto dai lavoratori giudiziari (Fp Cgil, Uilpa, RdB ed Flp) per imporre il nostro no ai tagli e all’accordo al ribasso firmato dalla minoranza delle organizzazioni sindacali in spregio delle regole della democrazia. Il sistema dei valori che vogliamo rifondare non può prescindere dalla condizione della giustizia e dalla condizione carceraria, che è cartina al tornasole della civiltà giuridica di un paese, come scriveva già Voltaire.