Riflessioni a caldo sul voto siciliano

Il voto siciliano mette in luce alcuni aspetti molto interessanti dell’attuale fase storico – politica, non riducibili alla dimensione locale. Il primo è rappresentato dal non voto che, per le sue dimensioni, non è interpretabile secondo le tradizionali categorie della disaffezione/qualunquismo, perché, al contrario, esso esprime una protesta consapevole nei riguardi dell’attuale sistema dei partiti. Bisogna aggiungere che quando l’astensione raggiunge questi numeri, indipendentemente dalle sue motivazioni, è giocoforza prendere atto di una crisi delle forme della democrazia rappresentativa e dello svuotamento di ruolo delle agenzie decisionali classiche ormai irreversibile. I partiti sono irriformabili perché partiti riformati, ossia migliori degli attuali per meccanismi di selezione delle classi dirigenti, per virtuosità delle condotte individuali e collettive ecc., sono semplicemente inutili ed eccedentari rispetto ad un modo di governare di cui la lettera della BCE al governo italiano del novembre del 2011 incarna l’espressione più compiuta. L’agonia della democrazia rappresentativa non dovrebbe, per i comunisti, essere motivo di particolare cordoglio e dovremmo imparare dall’avversario di classe ad usare le istituzioni come strumenti di lotta, dei quali sbarazzarsi quando non servono più, definitivamente liberandoci dal feticismo istituzionale e costituzionale che abbiamo ereditato dal PCI.

Il secondo aspetto interessante è rappresentato dal successo di Grillo. Vi è un evidente continuità con il non voto, anche se l’elettore a cinque stelle, a differenza dell’astensionista, forse conserva una residua speranza di cambiare qualcosa attraverso i canali della democrazia rappresentativa.

Passando al voto ai partiti tradizionali, è chiaro che il risultato premia il tatticismo del PD e la sua scelta di farsi garante della continuità con il recente passato (scelta, sia detto per inciso, del tutto coerente visto che per tre anni il PD è stato al governo con Lombardo). In sintesi: Crocetta è una brava persona ma quello che nascerà sarà un governo del tutto interno allo schema collaudato da Cuffaro e Lombardo, dedito all’uso privatistico di risorse pubbliche e appeso al voto e al ricatto di qualche grandesudista e, chissà, di qualche grillino più esperto e spregiudicato degli altri. Sarà sufficiente attendere la formazione del governo e la composizione della giunta (i primi nomi che circolano sono semplicemente terrificanti) per avere una conferma di tutto questo.

Anche qui, però, c’è un profilo di portata più generale di cui tenere conto. Mi riferisco all’evoluzione del PD il quale (lo dico senza ombra di polemica e, anzi, come osservatore, perfino con una punta di ammirazione) sempre più, a partire dal convinto sostegno a Monti, si va configurando come il partito centrale del sistema politico italiano, quello che esercita una fondamentale funzione centripeta rispetto ad un paese fragile nelle sue strutture economiche, sociali, istituzionali e, quindi, inadatto al bipolarismo, il quale, nella misura in cui drammatizza la contesa elettorale, presuppone un paese per il resto solido. Nella transizione alla terza repubblica, il sistema si va riagglutinando attorno ad un grande partito, profondamente innervato nello strutture dello stato (sostegno ad oltranza a De Gennaro, presidenza D’Alema del COPASIR, ai ripetuti voti in Parlamento a difesa delle superretribuzioni di manager e dirigenti pubblici), legatissimo ad economia e finanza, in buoni rapporti con Santa Romana Chiesa, e, come diceva De Gasperi della DC, con lo sguardo rivolto a sinistra. In un certo senso la crisi sta alla guerra e al dopoguerra come il PD sta alla DC: e questo, ad es. spiega la estrema difficoltà di dar vita ad un centro moderato (spazio in realtà già occupato dal PD), spiega la posizione di Casini, il quale si avvia ad essere la riedizione clericale del “polo laico” della I repubblica (PSDI PLI PRI, i partiti satelliti della DC), spiega la parabola di Vendola (destinato ad interpretare il ruolo della sinistra DC, simpatici intelligenti e colti ma che non contano niente) e spiega, infine, le convulsioni del centro destra. Da questo punto di vista, per quanto possa sembrare incredibile, ha ragione Berlusconi a voler costruire il ridotto della Valtellina con Bossi, Tremonti e Storace, perché quello è l’unico spazio ancora disponibile da quelle parti. Questo schema, che certo meriterebbe un approfondimento (la DC era il partito della spesa pubblica, il PD sarà il partito chiamato ad amministrare il fiscal compact) si applica benissimo anche alla Sicilia dove il PD si è proposto, e vieppiù si proporrà, come il perno e il garante di un’alleanza sociale e di interessi di tutti i tipi (sottolineo: di tutti i tipi): il sostegno al governo Lombardo, prima, l’asse con l’UDC, poi., si iscrivono esattamente in questo orizzonte. E l’intelligente operazione Lombardo – Micciché suona quale implicito riconoscimento della centralità “democristiana” del PD, che va accettata ma anche condizionata.

A sinistra ci sarebbe una prateria ma, come si dice, il vecchio non vuole morire e il nuovo stenta a nascere. Inutile girarci intorno: peggio di così non poteva andare. FDS, Verdi e SEL perdono circa 2 punti rispetto al 2008, scendendo al 3%) mentre IDV guadagna qualcosa senza però raggiungere il quorum. È evidente che, a meno di non voler semplicemente aspettare che la crisi acuisca il conflitto sociale e che il sistema inasprisca i suoi tratti fascistoidi già ora visibili, è necessario andare veramente oltre il recinto dei partiti. Sul piano dei contenuti dobbiamo partire dalle battaglie ingaggiate e, talvolta vinte, e dai processi reali: ossia referendum sull’ acqua, NO TAV, spazi culturali occupati, lotte dei metalmeccanici, vertenze locali, primavera dei sindaci. Sul piano organizzativo, il modello al quale ispirarsi è, ancora una volta, quello del movimento per l’acqua con un comitato di sostegno esterno in cui possono e debbono trovare posto partiti e soggetti collettivi organizzati. Lo strumento elettorale una lista unica (tanto, ormai è chiaro, si voterà con il porcellum) costruita a partire da un rapido confronto con tutti e puntando sulla qualità delle candidature e sulla loro capacità di rappresentare pezzi significativi delle battaglie e dei processi. Dobbiamo puntare sull’assenza di figure carismatiche e sulla presenza di una soggettività diffusa pulviscolare pregna del conflitto che pure in questi anni c’è stato: medesime caratteristiche dovrà rivestire il candidato premier, un antileader immediatamente riconoscibile come tale. Se, invece, i partiti (o quello che ne resta) in preda, per metà, ad una sindrome identitaria e, per l’altra metà, ad un delirio di onnipotenza, dovessero rivendicare un ruolo centrale nella vicenda elettorale, pensando che una qualche, fortunosa alchimia li possa tirar fuori dal loro attuale isolamento e dalla loro sostanziale irrilevanza, vuol dire che la sinistra politica sarà definitivamente arrivata al capolinea e che a quel punto bisognerà cominciare a scrivere il primo capitolo di una storia completamente nuova.

LUCA NIVARRA