Intervista a Stefano Rodotà
di Tonino Bucci su Liberazione del 30 giugno 2010
E’ domani la data fissata per la manifestazione indetta dalla Fnsi e da un cartello di associazioni contro la legge bavaglio e i tagli alla cultura. Il leit motiv della mobilitazione (a Roma, piazza Navona, dalle 17 alle 21) sarà, per dirla con le parole di Stefano Rodotà , un «unico fronte dei diritti»: dall’informazione messa a rischio nella sua autonomia alle restrizioni per musica, cinema, danza, teatro, fino all’emergenza dei diritti sociali dei lavoratori.
L’impressione è che stavolta non ci troviamo di fronte a un problema che riguardi solo l’informazione. Non è un caso che l’accelerazione sul ddl intercettazioni avvenga in concomitanza con la bufera giudiziaria che si abbatte sul governo, o no?
La pericolosità è testimoniata da quello che ha detto ieri il Presidente del consiglio invitando addirittura i lettori dei giornali allo sciopero. Guai a disconoscere l’importanza dell’autonomia dell’informazione in un sistema democratico. Tra l’altro, nella manifestazione di domani, assieme alla questione dell’informazione, verrà sollevata anche quella dei tagli alla cultura. E’ un attacco globale al pensiero e alla riflessione critica del sistema dell’informazione. Non è una novità. Se questo presidente del consiglio e questa maggioranza hanno dato prova di un filo coerente nelle proprie iniziative, è proprio l’insofferenza per ogni tipo di controllo. Vero, l’accelerazione e l’insistenza è legata alle difficoltà della situazione attuale del governo e della maggioranza, non è un caso che su questo tema ci siano spaccature interne al Popolo della libertà, divergenze di opinione con la Lega e che contro il disegno di legge ci siano state prese di posizione anche di una parte cospicua della stampa di destra.
C’è un’idea di paese normalizzato negli atti di questa maggioranza. Un paese in cui non esista una cultura libera, un’informazione autonoma e dove i lavoratori debbano rinunciare ai diritti. Non è così?
Lo ha detto tante volte esplicitamente lo stesso Presidente del consiglio. La sua idea, il suo modello è l’azienda, non quella moderna, ma quella dei padroni delle ferriere. L’idea che la democrazia si ferma ai cancelli della fabbrica e che debba esserci un autocrate che decida tutto lui. Berlusconi ha fatto mille volte riferimento alla rapidità con cui decideva quando era a capo della sua azienda. Ha detto tante volte che considera il Parlamento come una specie di assemblea di una società per azioni e che neanche i parlamentari dovrebbero metterci piede, solo i capigruppo ognuno col suo pacchetto di voti, ognuno con le deleghe come fosse un’assemblea di condominio. E’ un’ idea aziendalistica e non democratica che viene fuori. Purtroppo, questa argomentazione del Berlusconi autocrate che vuole trasferire la logica dell’azienda nel governo, ha avuto conferma dalla vicenda di Pomigliano. L’idea della fabbrica come un luogo da normalizzare a ogni costo fa esattamente il pendant di questa idea di paese all’interno del quale i diritti devono essere cancellati.
La vicenda di Pomigliano dimostra che la questione sociale rientra a tutti gli effetti nell’emergenza diritti di questo paese. Non può esserci una battaglia per la democrazia che dimentichi gli operai di Pomigliano. Non è così?
Il legame c’è, non mi pare una forzatura. L’ho anche scritto con qualche accento polemico: non è tempo di diritti “borghesi”, è tempo dei diritti sociali fondamentali. A parte che l’idea forte dei diritti li collega tra loro. Vorrei ricordare che la tutela della privacy, a differenza di tutti gli altri paesi in cui ha una storia tutta “borghese”, in Italia viene introdotta con l’articolo 8 dello Statuto dei lavoratori, quando si dice che il datore di lavoro non può raccogliere informazioni sulle opinioni politiche, sindacali e religiose dei dipendenti. La storia dell’Italia dimostra che dobbiamo presidiarlo tutto intero, il fronte dei diritti. E farlo avanzare tutto. Negli ultimi anni c’è stata una sottovalutazione dell’importanza dei diritti sociali. Speriamo che quanto sta accadendo risvegli in noi il tema della tutela globale dei diritti.
Il Berlusconi che inneggia allo sciopero contro i giornali è un leader in difficoltà oppure è il populista che azzecca per l’ennesima volta, la contromossa comunicativa?
C’è sicuramente l’appello populista. “Come ho scavalcato il parlamento, come ho cercato di mettere in un angolo la magistratura, come sono protagonista di una guerriglia contro le istituzioni di garanzia massima, Presidente della Repubblica o Corte costituzionale, così ora vi scavalco anche i giornali e tutto il sistema dell’informazione”. Di nuovo c’è la continuità. Ma non vorrei essere del tutto pessimista. Gli riuscirà stavolta? Non c’è dubbio che questa accelerazione dell’ultima fase è anch’essa una prova di difficoltà. Certo, l’idea che Berlusconi si affossi da solo è una stupidaggine. Anche l’idea che questa transizione non possa essere drammatica mi sembra un’illusione, perché vedo difficoltà materiali che possono provocare conflitti sociali sempre più forti. Quindi, oltre a Berlusconi, dobbiamo pensare all’opposizione. C’è una partita politica aperta e bisogna giocarsela bene.