di Achille Bonifacio per prcenna.it
<<Ho cominciato la mia vita come senza dubbio la terminerò: tra i ilbri>>, pag. 31 da “Les mots” di J.P. Sartre: bellissima, questa frase. A distanza di tanto tempo, ho letto la prima volta il libro nel 1964 (e poi ancora), la rilettura de “Le parole” mi suscita sempre una emozione …! Ho considerato Sartre e lo considero tuttora il mio maitre à penser: lo scrittore impegnato , l’uomo militante e anticonformista.
Sartre rievoca la propria infanzia, cioè si riscopre alle origini della sua vita acerba e vi ritrova, allo stato potenziale, quell’avvenire di un uomo nato tra i libri e destinato a morire tra i libri. Ma vuole che questa sua vita arrivi a cogliersi nella propria autenticità, prima di essersi cristallizzata nelle parole.
Forse , anche per questa ragione, il famoso scrittore di gialli Manuel Vàsquez Montalban fa bruciare al protagonista dei suoi romanzi Pepe Carvalho i libri della sua vasta biblioteca.
Solo attraverso un ritorno all’uomo, alle sue esperienze concrete, alla ragioni segrete dei suoi sogni, delle sue illusioni e dei suoi errori, la letterartura recupera il suo significato. Per Sartre ciò che conta nella letteratura è soltanto l’uomo che rinnova se stesso bruciando la propria opera e spezzando l’incantesimo che l’ha imprigionato nei segni del linguaggio.
E per questa via Sartre incontra , naturalmente, il marxismo, il Partito Comunista. Un marxismo critico, eretico, umanistico.
Ma Sartre, per la “generazione del ’68”, era l’incrocio tra marxismo ed esistenzialismo, sempre pronto a mettersi in gioco e solidarizzare con i giovani, schierandosi nettamente e sempre accanto agli sfruttati, alle classi subalterne e senza compromessi. Subito dopo il dopoguerra e dopo l’uscita del suo “Les Mots”, rifiuta il premio Nobel: uno scandalo. Il suo rifiuto significava il rifiuto della <<specializzazione del lavoro di scrittore>>, e perchè la sua idea di scrittore era legata alla condizione umana , nella sua totalità.
“Le parole” è una fenomologia degli errori dello scrittore. Dialetticamente proprio questa fenomiologia permette a Sartre di essere scrittore al limite edtremo della consapevolezza. Sartre parte dall’ontologia per arrivare alla fenomologia e la fenomologia, come tendenza al superamento, alla negazione del fatto per affermare qualcosa <<che ancora non c’è><, è impegno di azione. Il problema dell’ “in sè” e del “per sè” è il problema della relazione tra il condizionamento dei fatti e della libertà. L’azione si inserisce in questa situazione.
Sartre è fortemente dialettico e umanistico anche nella sua opera letteraria e tetrale e tende a una totalizzazione dei vari momenti dell’uomo e della società. L’uomo non è semplicisticamente un individuo, è un “universale singolare” che comprende in sè la sua epoca. Tale è anche Sartre per se stesso, nell’inizio della sua autobiografia con “Le parole”. Tutto questo però presuppone l’icontro con la politica, la attività della rivista <<Temps modernes>> dove non solo l’esistenzialismo è umanismo, ma incontra, infatti, con il marxismo.
In realtà in Sartre si fondano marxismo, esistenzialismo e fenomelogia. Il marxismo non deve essere già fatto e già totalizzato, ma deve essere sempre aperto e in corso di totalizzazione. E’ dialettica non conclusa, una dialettica che si sta facendo. E mi pare propria, questa concezione del marxismo e della dialettica una risposta agli affossatori di Marx e a tutti i trasformisti dellla sinistra contemporanea.