Grande mobilitazione nel paese per contestare la spesa, da parte del governo, di oltre 10 miliardi per produrre e acquistare 90 aerei. Invece di…

Tornano i pacifisti. Biella, Alba, Cantù, Ciampino, Jesi, Lodi, Umbertide, Sarzana, Novara… e poi i grandi centri: Roma, Milano, Napoli, Bologna. Ieri in oltre cento città italiane, 594 associazioni, organizzazioni sindacali, enti locali, partiti hanno raccolto l’invito di Sbilanciamoci, della Rete Disarmo, della Tavola della pace – con il sostegno de il manifesto – a promuovere una grande mobilitazione contro i cacciabombardieri F35 e la scelta del governo italiano di spendere oltre 10 miliardi per produrne ed acquistarne 90 esemplari. Una mobilitazione significativa che non si vedeva da tempo in campo pacifista con raccolte di firme (quasi 40mila), assemblee, sit in, presidi, flash mob, rappresentazioni teatrali, manifestazioni di studenti, banchetti, con gli slogan più diversi come a Roma (“Game Over! Dopo il no alle olimpiadi, il no agli F35″) o a Pisa (“Arlecchino, Balanzone e l’F35: ovvero la storia di un caccia che è un flop”). E naturalmente iniziative anche a Novara – con vicino Cameri, sede della linea di assemblaggio del caccia F35- dove in questi mesi si sono susseguite iniziative e mobilitazioni contrarie ai cacciabombardieri. Oggi la mobilitazione continua: sono previste oltre trenta iniziative in varie zone d’Italia.
Nel frattempo da ieri è partita un’importante opera di controinformazione: dai siti delle sigle promotrici si può scaricare un vadamecum pieno di dati e di analisi da cui si evince che la vicenda degli F35 (oltre ad essere una scelta sbagliata) è anche una grande truffa. Ma la mobilitazione non si ferma qui: le manifestazioni e i presidi continuano nelle prossime settimane. Intanto si prepara la consegna della raccolta di firme a Roma nei prossimi giorni e si aspetta che il presidente del consiglio Mario Monti decida di ricevere i promotori di questa mobilitazione. E proprio a Monti – che in questi 100 giorni ha sbandierato la parola rigore a destra e a manca- i pacifisti e i promotori della mobilitazione chiedono: quale rigore c’è nello spendere 10 miliardi di euro per far contente le gerachie delle forze armate e gli affaristi dell’industria militare, mentre il paese ha drammaticamente bisogno di soldi per finanziare gli ammortizzatori sociali, il welfare, la scuola, le pensioni? E sempre a Monti – che si è dichiarato più volte contro le corporazioni e i gruppi di interesse rivolti a perseguire solo il proprio particulare – chiedono ancora: contano di più gli interessi della casta dei militari e dei 450 e passa generali e ammiragli (in proporzione, più di quelli americani) o conta di più l’interesse generale del paese? La discussione che c’è stata nelle commissioni Difesa di Camera e Senato e al Consiglio Supremo di Difesa nelle prime settimane di febbraio sul nuovo modello di difesa non lascia ben sperare.
Il ministro-ammiraglio Di Paola ha detto che invece di 131 F35 ne prenderemo 90 (e questo è comunque un primo successo della mobilitazione) e che dobbiamo ridurre di 30mila unità (però in dieci anni) l’organico delle Forze Armate. I soldi risparmiati andranno non alle pensioni, alla sanità, alla scuola, ma a migliorare l’operatività e l’efficienza delle Forze Armate: cioè a comprare più armi e più sofisticate. E per fare che cosa? Per mettersi al servizio della Nato (la «nostra Stella Polare», ha detto il ministro mettendoci pure le maiuscole) per fronteggiare le instabilità derivanti – tra l’altro- dall’«ascesa delle nuove potenze» (leggi: Cina, Russia, India). Invece di combattere la vera «instabilità» nella quale siamo immersi – quella della crisi economica, della perdita dei posti di lavoro, della caduta dei redditi, del drammatico disagio sociale – i responsabili del governo chiedono soldi per le Forze Armate per combattere le future ipotetiche guerre, tra cui quelle provocate dal terrorismo internazionale e dai problemi di «sicurezza cibernetica». I militari italiani, e il suo ministro – come degli Stranamore in sedicesimo- sono completamente fuori dalla realtà e non si rendono conto o se ne disinteressano – di quello che sta passando il paese.
I pacifisti scesi in piazza ieri – e quelli che saranno nelle piazze italiane oggi e nelle prossime settimane – chiedono al contrario un bagno di realismo al governo e chiedono a Monti di non cedere alle imposizioni di una lobby agguerrita e asserragliata nella difesa dei suoi interessi particolari. Con i 10 miliardi che si spendono per questi caccia – è stato ricordato più volte qui e altrove – si potrebbero fare tante altre cose più utili: ad esempio finanziare quegli ammortizzatori sociali per i quali si dice, nell’imminenza della discussione sul mercato del lavoro dei prossimi giorni, sembra non ci sia un euro. Oppure si potrebbero raddoppiare il numero degli asili nido in Italia, creando decine di migliaia di posti di lavoro. Per non parlare del finanziamento del servizio civile che, senza fondi, nel 2013 rischia l’eutanasia. Si pensi che il costo un solo cacciabombardiere F35 equivale a 387 asili nido, oppure alla messa in sicurezza di 258 scuole o alla copertura di un’indennità di disoccupazione per 17.200 lavoratori precari. Si tratta dunque di porre fine a questa avventura che è solo un regalo ad una lobby ed uno spreco in tempi di crisi.
Ridurre le spese militari e disarmare l’economia è un modo per cambiare rotta rispetto al passato, prefigurando e costruendo un nuovo modello di sviluppo, sostenibile, equo e che non ha bisogno di guerre. E’ questo un modo per uscire dalla crisi imboccando una strada nuova: i pacifisti che si sono mobilitati ieri ne hanno indicato la direzione.