U Faraone di Salerno, Cosentino tifava per lui

Campania, Vincenzo De Luca candidato Pd. La Fds: «Siamo agli antipodi»

Francesco Ruggeri su Liberazione del 12 marzo 2010
L’ultima notizia è l’outing di Cosentino, controversa figura di sottosegretario e padrone del Pdl campano accusato di essere legato a fili che portano dritti-dritti ai casalesi: «Mi incontrai con De Luca e gli assicurai che avremmo dato l’indicazione di votare per lui piuttosto che Andria che era interprete del bassolinismo». Ma come? De Luca non è quello che lotta strenuamente contro le «destre cialtrone e colluse con la camorra»? I ricordi di Cosentino risalgono alle scorse comunali di Salerno quando “Vicienz’ u Faraone” tornò a fare il sindaco. In realtà non se n’era mai andato, chi lo sostituiva era come «un cappello sulla sedia». E quando il malcapitato se n’è accorto De Luca l’ha fatto fuori.
Piccola biografia – non autorizzata – del candidato a presidente della Campania per conto del centrosinistra. La sua storia coincide da quasi un ventennio con quella della sua città. De Luca, classe 1949, cresce nel Pci e ne diventa segretario. A quel tempo lo chiamavano Pol Pot. Poi la mutazione genetica nell’incontro con il craxismo fino alla rivendicazione di internità alla destra europea. La “stagione dei sindaci” lo sorprende che è già sindaco. Ha preso il posto di un craxiano di cui era vice, travolto da Tangentopoli, poi assolto. Ma intanto De Luca si insedia e da lì non si sposterà se non per approdare in Parlamento. Il suo chiodo fisso è andare «oltre i partiti» ma gli unici lavori che ha svolto sono il funzionario di partito e l’istituzionale. Lui invoca il rapporto diretto col popolo. Ogni settimana da Lira Tv scimmiotta il tarantino Cito, predica e straparla su cassonetti, tombini, lampioni ma soprattutto contro gli immigrati: «Li prenderemo a calci nei denti e li butteremo a mare». Non manca a una processione di San Matteo e, quel giorno, inaugura sempre qualche opera pubblica salvo poi rifarlo l’anno appresso e quello dopo ancora. I cantieri infiniti si chiamano metropolitana, cittadella giudiziaria, Palasalerno, stazione marittima. Lui se ne frega e non esita a prendere per il bavero automobilisti che parcheggiano in doppia fila, a ingaggiare risse verbali e no con ambulanti senegalesi, prostitute dell’est, trans latinos, a prendere a calci le porte degli uffici del suo comune per farli aprire a mezzanotte, a strappare i manifesti dei suoi oppositori.
«Se deve fare un esempio di persona per bene cita Angelo Quattrocchi, il contractor ucciso in Iraq – dice Rocco Falivena a Liberazione – al contrario, la sua bestia nera è Francesco Caruso». Oltre, naturalmente, all’odiatissimo Bassolino. Salerno non è grande nemmeno come un quartiere di Napoli ma De Luca ha ereditato la goffa antinapoletanità dei suoi predecessori degli anni 50 trasformandola in una compiuta antropologia leghista. Napoli per lui è quello che Roma è per Bossi.
58 anni, sindaco di Laviano e candidato alla Regione per la Federazione della sinistra, Falivena insegna sociologia dell’ambiente all’università: «Come convivere con un personaggio del genere? Siamo agli antipodi». La risposta politica a questa domanda è la scelta di Rifondazione e Pdci di non accodarsi al centrosinistra come invece hanno fatto Sel (dove ci sono grosse sacche di dissenso pronte al voto disgiunto per Ferrero) e dipietristi locali ormai in via di rapida mastellizzazione, con qualche dolente eccezione. U Faraone, d’altra parte, è così potente da infiltrare altre liste di suoi uomini come Dario Barbirotti, in lista per Di Pietro, presidente del consorzio Salerno 2, gestore di rifiuti e grosso creditore del Comune. La destra cittadina lo asseconda e lo difende. Il senatore Paravia, eletto in quota An, è stato da presidente di Confindustria il suo principale sostenitore, e Cirielli, candidato alla Provincia per il Polo, si alzò in Parlamento a difenderlo, dopo che la Procura di Salerno ne aveva chiesto l’arresto e il gip per tre volte l’aveva negato, sostenendo la non utilizzazione delle intercettazioni telefoniche che lo riguardavano (ben 250 e per questo non sappiamo tutto ciò per cui potrebbe essere accusato). «Altrimenti non si spiega come il 67% del centrosinistra alle comunali si trasformi nel 2001 in un secco 13 a zero per le destre», ricorda Cucco Petrone, già presidente della Commissione ambiente in Regione che lasciò il Prc quando lo trovò troppo subalterno a De Luca. Il vecchio Macaluso strabuzza gli occhi e si domanda perché mai uno così non vada con Storace.
De Luca è rinviato a giudizio per associazione a delinquere, concussione e truffa e questi suoi guai giudiziari «sono legati alla sua idea di “svilluppo” per Salerno, alla sua principale attività: il cambio di destinazione d’uso dei suoli», spiega l’avvocato Peppe Serreli. Da deputato la sua unica proposta di legge fu per rendere facoltative le circoscrizioni. La sua idea fissa è stata quella della deindustrializzazione della città inventando una vocazione commerciale e turistica. «Una città bomboniera, senza stranieri e senza nemmeno un porto. A Natale ha buttato due milioni in luminarie convinto che incrementino il turismo», riprende Falivena. «Movida, centri commerciali e casinò», dice Serreli. «La Salerno da bere», insiste Petrone. Intanto Salerno ha perso 14mila abitanti e le case costano come a Parigi, la città sprofonda nelle classifiche per la vivibilità (asili, trasporti, assistenza), è indebitatissima ma De Luca è tra i sindaci che risultano più amati. Succede grazie a un sistema a tenaglia: impiegati comunali, addetti delle società miste, dall’usciere avventizio fino al manager, tutti rispondono a De Luca che l’ha piazzati lì. Ai consorzi, alla Centrale del latte, all’Azienda di sviluppo industriale, alle comunità montane, alle aziende di gas, luce, parcheggi e acqua, 19 aziende per 434 poltrone di cda. Compreso uno strano “Iacp futura” che agisce come un privato ma coi soldi pubblici sotto la guida del padrone di un lussuoso 5 stelle. Non ha sfondato, De Luca, nella sanità ma ha dalla sua commercianti e le famiglie storiche dei costruttori edili di Salerno, che prima dividevano i loro favori tra la Dc, il Psi e anche il Msi, e che ora si rivolgono esclusivamente a lui, come ha scritto Isaia Sales. Populismo, clientelismo (utilizzato anche per il tesseramento al Pd nella battaglia congressuale) e nepotismo fino alla stranezza del concorso degli avvocati: di settecento ricorsi, l’unico accolto sarebbe quello di suo figlio, nonché erede al trono secondo i bene informati. Recita coerente la sua propaganda: «Al di là dei partiti quello che conta è la famiglia». Avrebbe controllato volentieri anche l’inceneritore ma, da quando ha saputo che non ne sarebbe stato il commissario, è diventato ambientalista.
Nessuna produzione, niente più tute blu ma un mare di cemento perché il trucco sta nel riuso dei suoli ex industriali. Il piano regolatore, fatto progettare a Bohigas, quello che ha ridisegnato Barcellona, è stato tenuto aperto all’infinito e stravolto con decine di varianti. Spicca tra i progetti il Crescent, mastodontico blocco fronte mare (vedi nocrescent.it) dentro cui De Luca vorrebbe lasciare perfino le sue ceneri. “U Faraone”.
Ora De Luca dice che cambierà la Regione» ma pretende per sé, in caso di vittoria, sanità, bilancio e fondi europei». Ma perché il centrosinistra lo ha candidato? «Perché li fa sognare – dice una fonte a Liberazione – questa era una regione perduta (i sondaggi darebbero Caldoro sopra di 14 punti, ndr) arriva lui e contende margini alla destra perché è di destra. La sua candidatura, però, ha spaccato i partiti e unito il centrodestra: ha creato l’alleanza con l’Udc».

Candidatura che divide la sinistra il clientelismo che promette vittoria

Rinviato a giudizio, dice che i guai giudiziari dipendono dalla sua idea di città

Fausto Martino su Liberazione del 12/03/2010
Come piazzisti determinati a smerciare l’aspirapolvere, i vertici del Pd ripetono ossessivamente – ovunque possibile – la loro verità sui guai giudiziari di Vincenzo De Luca, candidato governatore della Campania.
Prima Bersani a “Ballarò”, poi Anna Finocchiaro, ospite di “Porta a Porta”, si sono prodotti in fantasiose ricostruzioni dei fatti che determinarono – per il candidato De Luca – tre richieste di arresto, due rinvii a giudizio per falso, truffa ai danni dello Stato, associazione a delinquere, ecc. oltre alla condanna, in primo grado, a 4 mesi di reclusione e 12 mila euro di ammenda, per reati ambientali.
Un mantra, una nenia ipnotica recitata anche dai candidati agli strapuntini regionali, per liberare la mente degli elettori dalla “illusoria” realtà giudiziaria, fargli dimenticare l’asfissiante sistema di potere costruito dal boss salernitano e sdoganarne la candidatura indigesta.
La tesi da sostenere, messa a punto dallo spin doctor di De Luca – l’ex D’Alema boy, Claudio Velardi – è folgorante: «vero, le norme sono state violate, ma a fin di bene». Insomma, De Luca come Robin Hood, contro la legge ma dalla parte dei poveri, si sarebbe beccato una condanna in primo grado (ora il reato è prescritto) per «liberare una scuola elementare assediata dalla spazzatura». I rinvii a giudizio li avrebbe invece conquistati sul campo, come vere onorificenze – non “contro” la legge, ma “oltre” la legge – nel disperato tentativo di “salvare gli operai della società Sea Park” (che però non ha mai operato) da un destino crudele.
Ovviamente, è tutto falso. E, a ben vedere, più che Robin Hood, De Luca ricorda lo sceriffo di Nottingham. Chiunque conosca i fatti, sa che le compravendite dei suoli, gli intrecci tra parchi marini e centrali termoelettriche, le lottizzazioni abusive e i torbidi affari legati alla dismissione dell’Ideal Standard di Salerno, sono la vera causa della disoccupazione degli operai e che, in questa complessa vicenda, il ruolo di De Luca è difficilmente riducibile all’illecita richiesta di ammortizzatori sociali. Né è sostenibile che la variante urbanistica, con la quale si raddoppiavano gli indici edificatori per la riconversione in residenze e megastore della fabbrica Mcm di Gianni Lettieri, trasversale patron della Confindustria napoletana, abbia avuto qualcosa a che fare con le maestranze. Né, infine, che le ventimila tonnellate di spazzatura illecitamente stoccate ad Ostaglio provenissero – è ridicolo solo pensarlo – da «una scuola elementare».
La verità è diversa e, come sempre, meno sfavillante. Ancora una volta, gli operai disoccupati – come i bambini delle elementari – vengono cinicamente utilizzati quale esimente di comportamenti penalmente rilevanti, per ottenere l’assoluzione mediatica di De Luca, dopo quella sancita dal congresso dell’Idv (prova generale di “processo breve” la definì De Magistris) che ancora non è stata digerita dal popolo dipietrista.
De Luca & C. sanno bene che per i guai giudiziari è in dirittura di arrivo la prescrizione. L’importante, oggi, è farsi assolvere dall’elettorato, al quale si può mentire impunemente, soprattutto dopo la distruzione, con «divieto assoluto di pubblicazione», delle 260 intercettazioni che riguardavano i fattacci, disposta dalla casta parlamentare su richiesta dell’allora molto onorevole De Luca.
Intanto va avanti la sua campagna elettorale “oltre i partiti”. Manifesti con fondo azzurro, senza simboli ma dominati dal suo faccione ghignante, nella scia del culto della personalità inaugurato da Berlusconi. Di lui, dichiara De Luca «mi piace che è esattamente come si presenta, autentico. Rifiuta ogni doppiezza, io lo trovo apprezzabile». Ne eravamo sicuri.