Roberto Romano – il Manifesto –
Il rapporto Svimez (l’associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno) descrive una economia nazionale e meridionale allo stremo, e per alcuni versi disastrata quasi quanto l’economia greca. Una sintesi dello spirito e dei dati contenuti nel rapporto Svimez potrebbe essere la seguente: Dante e Virgilio giungono di fronte alla porta dell’Inferno, su cui campeggia una scritta di colore scuro.
Essa mette in guardia chi sta per entrare, ammonendo che tale porta durerà in eterno e che una volta varcata non c’è speranza di tornare indietro.
Svimez da molti anni produce rapporti sullo stato dell’economia meridionale che, anno dopo anno, diventano sempre di più un atto di accusa verso il governo del Paese. Se l’Italia vive una crisi nella crisi con una crescita del PIL molto più bassa della media europea, il Mezzogiorno è precipitato nell’abisso. Tra il 2008 e il 2014 il PIL del Centro-Nord cala di 7,4 punti percentuali, quello del Mezzogiorno crolla di 13 punti percentuali, lasciando un vuoto difficilmente colmabile.
L’industria, gli investimenti, la ricerca, i consumi crollano verticalmente. Keynes e Minsky sostenevano che tra gli indicatori economici che spiegano lo stato di salute dell’economia, gli investimenti sono il vero barometro dei sentimenti e delle prospettive di un Paese.
Utilizzando questo modello, il Mezzogiorno ha perso speranza e quel poco di buono che era riuscito a creare. Gli investimenti fissi lordi tra il 2008 e il 2014 diminuiscono del 38%, quelli del Centro-Nord del 27%, mentre gli investimenti industriali in senso stretto registrano una caduta che pregiudicano qualsiasi ipotesi di ripresa economica: meno 59,3% tra il 2008 e il 2014 nel Mezzogiorno. Gli investimenti sono l’alfa e l’omega dello sviluppo; se questi svaniscono diventa difficile parlare o discutere di ripresa. Per questo è corretto parlare di rischi di sottosviluppo permanente per il Mezzogiorno. Altro che gli utili in crescita della FCA (più 69%). Utili su cui sarebbe il caso di aprire una discussione seria. Infatti, l’Italia è diventa un hub network per FCA.
La caduta degli investimenti ha delle immediate ripercussioni su occupazione, disoccupazione e reddito.
Leggere nel rapporto Svimez che gli occupati nel sud Italia del 2014 sono pari al 1977, un’ era geologica indietro, dà conto dei fallimenti e dell’inettitudine di troppi dirigenti, pubblici e privati.
Senza investimenti pubblici e privati, sarebbe molto più corretto dire senza un progetto Paese all’altezza delle sfide che deve affrontare, non ci sarà futuro per nessuno.
Quando il divario di reddito tra nord e sud (Pil pro-capite) precipita ai livelli del 2000, il futuro è peggio del presente, con una aggravante: le politiche adottate in questi anni hanno determinato una crescita del reddito pro-capite, tra il 2001 e il 2013, pari a un quinto di quello delle regioni deboli dei nuovi paesi entranti dell’est europeo. Fare peggio, onestamente, era realmente difficile.
In molti sostengono la necessità di una politica economica dei paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Potrebbe anche essere una idea utile e interessante, ma una alleanza di questo tipo non deve essere però la sommatoria delle debolezze.
La realtà del Paese qualche volta ritorna a galla. Possiamo nascondere la polvere sotto il tappetto per un po’, ma ormai non c’è più spazio. Poi si millantano politiche di riduzione delle tasse, quindi tagli di spesa, che dovrebbero far ripartire il paese. Se andiamo avanti di questo passo tra poco non avremo nessun tessuto produttivo su cui applicare la riduzione delle tasse. Con gli slogan non si governa il Paese e delle realtà come quella del Mezzogiorno.
La drammaticità della crisi economica nazionale impone delle riflessioni coraggiose. Questa crisi italiana è più lunga e profonda di quella del ’29. La Svimez ricorda a tutti noi quanto in basso si possa cadere. L’arretramento del Mezzogiorno è un più di un avviso ai naviganti. Le idee non mancano, ma sollevo una domanda tremenda: data l’attuale consapevolezza e “preparazione” dell’attuale classe dirigente pubblica e privata, possiamo affidarci a queste persone?
Roberto Romano – il Manifesto –