Una intera generazione subisce rassegnata le violenze di un sistema economico arrogante, violento verso le nostre esistenze e i nostri tempi, insostenibile, ebbro di sé. Una intera generazione si trova ad essere ormai schiavizzata da una bioprecarietà profonda, da una mercificazione delle proprie vite e al declino dei propri sogni. All’interno di questo processo di svilimento dei saperi, dei diritti, delle libertà, la nostra voce, in quanto soggettività giovanile, ha l’obbligo di alzare i decibel, di riprendersi le piazze, di ritornare a intrecciare relazioni, di aprire contraddizioni, di dar vita, insomma, ad una conflittualità diffusa che metta al centro la nostra specificità in quanto giovani donne ed uomini.
Gli attacchi al mondo dell’istruzione, la pauperizzazione dei diritti dei\delle lavoratori\trici, la violenza culturale e reale perpetuata al corpo della donna, lo strisciante razzismo di stato e non, sono il segno del tempo, l’empirica dimostrazione di un cedimento delle conquiste progressiste nel nostro Paese a favore delle forze reazionarie che, a privilegio di pochi, stanno sferrando l’attacco più feroce anche alla democrazia e alle sue espressioni di libertà. I tagli all’università previsti per quest’anno pianificano una conoscenza priva di dinamismo critico e ricerca, progettano il taglio organico di migliaia di ricercatori e un impoverimento collettivo dell’istituzione universitaria. Tuttavia venerdì scorso (17 settembre) centinaia di ricercatori venuti da tutta Italia alla Sapienza hanno deciso il blocco delle attività didattiche, sancendo, di fatto, la possibilità che i lavoratori della conoscenza si sottraggano alla finanziarizzazione dei processi di formazione. Il loro sabotaggio è un segnale fondamentale, rappresenta la resistenza di un bene comune straordinario come quello del sapere al paradigma dei profitti che domina l’Europa e che edifica il suo potere sul precariato. Anche Pomigliano non molto tempo fa ci ha lanciato un segnale molto simile. Il referendum chiedeva ai lavoratori una subordinazione totale alle leggi del capitale in cambio del diritto a farsi sfruttare, chiedeva un passo indietro sui diritti per non avere neanche un passo avanti sulle garanzie, insomma chiedeva: preferite sfruttati o disoccupati? Governo, confindustria e sindacati s’aspettavano il plebiscito che non c’è stato; più del 40% dei votanti a quel referendum ha detto no al ricatto.
Increduli abbiamo assistito al meraviglioso corteo sullo stretto di Messina di insegnanti precari, personale ata e studenti, abbiamo avuto la possibilità di scorgere in quel corteo la determinazione del mondo della scuola, la volontà di non voler perdere una battaglia cruciale e di voler pensare assieme ad una scuola migliore. Probabilmente molti di noi hanno attraversato questi luoghi conflittuali ma non ne hanno ritrovato le loro immediate istanze o rivendicazioni; più difficile appare il tentativo di legare i colpi duri che il mondo del lavoro o dell’istruzione, o dei diritti subiscono con una diretta questione di appartenenza generazionale. Cosa condividono un operaio di Pomigliano cassintegrato ed uno studente universitario fuori sede di qualunque città d’Italia? Cosa lega le rivendicazioni al salario minimo sociale con il diritto allo studio? Perchè il migrante che sbarca in un paese intollerante e non accogliente come il nostro dovrebbe avere qualcosa in comune con un operatore di un call-center? Tutte questi tipi umani hanno il volto della precarietà, hanno impresso sul loro viso il criminoso progetto di subalternità alla finanziarizzazione. Rappresentano la classe sociale più vulnerabile ed assieme più grande che la modernità abbia mai conosciuto ma sono anche in grado di innescare sin da domani la più forte opposizione sociale che abbia attraversato il paese negli ultimi decenni. Noi, purtroppo, rappresentiamo ogni singola caratteristica di questa condizione generalizzata e diffusa: le nostre scuole sono precarie, le nostre esistenze sono in balìa dei profitti, i nostri studi dipendono dai consigli d’amministrazione, i nostri lavori saranno a progetto, se e quando ci saranno, le nostre pensioni saranno del tutto contributive e probabilmente saremo la prima generazione più povera dei propri padri. Il 16 ottobre, al corteo indetto dalla Fiom le possibilità sono molteplici: possiamo fare il classico corteo di inizio autunno, insultare per bene i fautori di questa macelleria sociale e culturale, possiamo portare in piazza le nostre giuste istanze liberatrici e forse possiamo anche mettere in crisi un governo impantanato nelle sue discussioni interne. Noi per il 16 ottobre tuttavia abbiamo un altro proposito: pensiamo che per quel giorno si debba innescare la sincronia, si debba trovare la quadra delle insofferenze sistemiche. Siamo convinti che a partire da quella data una generazione insofferente si riprenda quello che gli spetta. Non possiamo tradire la nostra aspettativa. “Il nostro futuro è qui e comincia adesso”.
ANDREA ALBA
CIRCOLO  PRECARI PRC CATANIA