Il Comitato Politico Nazionale ringrazia tutte le/i militanti del partito che hanno dato il loro contributo nella campagna elettorale europea con la consapevolezza che la lotta per la pace per le/i comunisti è il terreno prioritario nel momento in cui un capitalismo sempre più finanziarizzato affronta le sue contraddizioni con una “guerra mondiale a pezzi” in continua escalation che ci pone di fronte al rischio sempre più concreto di conflitto nucleare.
PACE TERRA DIGNITA’
Il risultato della lista PACE TERRA DIGNITA’ è certo insoddisfacente dato che non è stato raggiunto il quorum e anche per le aspettative che la lista per la pace aveva suscitato. Va però sottolineato che PTD ha ottenuto il nostro risultato migliore dell’ultimo decennio.
L’elemento essenziale di bilancio è politico: rivendichiamo di avere fatto la giusta lotta, quella per mettere al centro della discussione pubblica in Italia e in Europa la questione della guerra.
È stata una grande campagna pacifista, la più grande da molti anni a questa parte.
È stata una grande campagna contro la propaganda di guerra in tutti gli spazi mediatici disponibili e in centinaia di piazze, teatri, incontri. La lista ha portato dentro la competizione elettorale un punto di vista contro la guerra chiaro, senza sconti per chi porta la responsabilità della scelta della subalternità alla NATO e agli USA. Abbiamo invitato a disertare e rifiutare di farsi arruolare da un Occidente suprematista, neocolonialista e neoimperialista, in aperto scontro con le altre potenze. Abbiamo dato voce alla richiesta di cessate il fuoco in Ucraina, come condizione per rilanciare un programma di giustizia sociale e ambientale. Abbiamo cercato di dare voce – anche attraverso le candidature di esponenti della comunità palestinese – all’indignazione per la complicità italiana e europea con il genocidio che il governo Netanyahu sta commettendo a Gaza.
Abbiamo posto le questioni cruciali di questo momento storico di scontro sempre più diretto tra Stati Uniti/NATO e Russia, Cina e resto del pianeta mentre tutto il sistema politico-mediatico ha evitato di far emergere la drammaticità della situazione. Ci ha penalizzato il fatto che nell’ultimo decisivo mese di campagna elettorale lo schieramento trasversale a favore del proseguimento del conflitto ucraino ha preferito evitare lo scontro e la polemica con chi come noi è contro la guerra per non entrare in conflitto con il sentimento popolare.
La proposta di una lista unitaria per la pace poteva essere una grande occasione per lanciare dall’Italia un messaggio forte a tutta l’Europa. Purtroppo la resistenza delle altre formazioni politiche della sinistra alla convergenza in un’aggregazione che mettesse “la pace al primo posto” ha determinato molti mesi di stallo durante il quale il progetto avrebbe potuto crescere nel paese coinvolgendo i territori. Il rifiuto di AVS si è accompagnato alla speculare chiusura settaria di PAP che ha portato alla crisi e al blocco del progetto di Unione Popolare di cui va preso atto l’oggettivo esaurimento. Continueremo come sempre a lavorare e cooperare con tutte le formazioni della sinistra anticapitalista e antiliberista, ma è evidente che non vi sono le condizioni politiche per proseguire nella costruzione di una soggettività unitaria essendo stato manifestamente negato l’impegno per l’unità del fronte pacifista che era alla base del progetto originario di UP. E’ giusto affidare al dibattito congressuale il tema delle forme e delle modalità di relazione e dell’aggregazione della sinistra popolare, anticapitalista, antiliberista, pacifista, femminista e ambientalista.
Con Michele Santoro e Raniero La Valle, e tutte le personalità e i gruppi che hanno condiviso l’esperienza della lista, intendiamo verificare la possibilità e le modalità per proseguire le iniziative di Pace Terra Dignità come movimento contro la guerra con la convinzione che nel nostro paese e in Europa ci sia bisogno di un pacifismo che sfidi la politica irresponsabile delle classi dirigenti.
La costruzione di un largo fronte contro la guerra rimane per noi impegno prioritario in questa fase storica e continueremo a lavorare in questa direzione. Ne dimostrano la necessità la riunione del G7 che ha confermato la linea guerrafondaia dell’Occidente sull’Ucraina, contro la Cina e il sostegno a Israele. Le stesse nomine proposte dal Consiglio Europeo portano questo segno. La conferma di Ursula Von Der Leyen è la conferma del sostegno alla guerra, del riarmo come scelta strategica, della austerità e della subalternità alle multinazionali. Kallas alla autorità per la politica estera non è una scelta solo anti Putin ma anti russa, densa di revisionismo storico e di revascismo. L’accordo tra Popolari, Socialisti e Liberali è in continuità con le pessime scelte di tutti questi anni. E la ricerca di voti in Parlamento Europeo verte già su dossier condivisi con le destre come quelli contro i migranti e i richiedenti asilo come può contare dall’altro lato su un possibile sostegno dei Verdi che hanno esplicitato la loro disponibilità a un ingresso formale in maggioranza. Il modello intergovernativista guarda sempre più a quella Europa delle Nazioni cara alle estreme destre che possono andare al governo se proseguono l’impegno bellico, come accaduto nell’Olanda del nuovo segretario generale della NATO Rutte.
IL RISULTATO ELETTORALE
Il dato politico inquietante delle elezioni europee è che nel nostro paese la guerra per ora non mette in crisi i partiti che la sostengono e anzi esce penalizzata una formazione come il M5S che, pur tra grandi contraddizioni e dopo aver votato per l’invio di armi, ha assunto una posizione per la pace. È evidente che persino nella sinistra e nei movimenti più radicali, in Italia come in Europa, la guerra non si afferma come discriminante prioritaria.
È prevalso anche dentro una competizione come quella europea lo schema della contrapposizione bipolare anche se nel parlamento europeo PD e FdI, entrambi rafforzati, voteranno di nuovo insieme per la prosecuzione del conflitto con la Russia e per l’economia di guerra come “pilastro” dell’UE. È già accaduto e continua a accadere lo stesso per le scelte neoliberiste condivise per decenni a Bruxelles dai due poli come alla vigilia delle elezioni per il nuovo Patto di Stabilità.
L’elettorato continua a essere diviso in maniera bipolare con spostamenti all’interno delle stesse ma senza grandi spostamenti.
Il governo di destra ha portato a una crescita in cifra assoluta oltre che percentuale di tutte le formazioni dell’area “progressista”, tranne il M5S che ha perso 2 milioni di voti, e a un’avanzata del PD e ancor più notevole di AVS. Si tratta di un dato politico con cui non possiamo non confrontarci perché c’è una domanda popolare di unità contro la prepotenza della destra e AVS si va affermando come il soggetto politico a sinistra che elegge e che per questa ragione viene ritenuto credibile nello spazio della rappresentanza.
Il risultato clamoroso non porta purtroppo il segno politico del no alla guerra ma quello del rafforzamento della linea di Bonelli e Fratoianni che mai hanno aperto un minuto di scontro col PD sul tema. Il fatto che questo successo sia stato ottenuto soprattutto grazie al consenso raccolto da due candidature dal profilo radicale come quelle di Mimmo Lucano e Ilaria Salis non modifica il fatto che il risultato rafforza la linea di quella formazione e la sua scelta di mettere al primo posto sempre e comunque l’alleanza subalterna col PD.
Ben altro sarebbe stato il segno dei risultati se ci fosse stata una lista unitaria per la pace. Potevamo avere una lista contro la guerra al 10% e non c’è stata non certo per responsabilità nostra che l’abbiamo proposta per mesi accogliendo l’appello di Santoro e La Valle che non implicava la scomparsa o l’invisibilità delle formazioni politiche esistenti ma semplicemente l’assunzione di un comune impegno contro la guerra.
L’astensione altissima continua a testimoniare una crisi democratica profonda e il crescente distacco delle classi popolari dalla politica. Si tratta, almeno per la sinistra che non rinuncia a costruire un progetto di trasformazione sociale, della principale emergenza perché proprio i soggetti più penalizzati dalle politiche neoliberiste tendono alla passivizzazione, alla spoliticizzazione e alla non partecipazione. Non è possibile ricostruire una sinistra di classe di massa senza la ripoliticizzazione delle classi popolari, la ricostruzione di una cultura conflittuale e solidale, la ripresa delle lotte e dell’azione collettiva. Senza una rottura esplicita con l’agenda dei governi neoliberisti degli ultimi decenni non si riconquista la credibilità necessaria presso le classi popolari e tra lavoratrici e lavoratori.
Nelle elezioni amministrative si è confermata una ripresa del centrosinistra e anche una fisiologica maggiore affluenza al voto che comunque è molto al di sotto del passato. Il rarefarsi della nostra presenza organizzata ha fatto sì che in molti comuni non fossimo presenti come accade ormai da anni. Alcune esperienze molto positive però segnalano che una linea radicale ma non settaria e un’articolazione delle scelte nei differenti territori hanno prodotto risultati significativi. Le coalizioni con il M5S (a cui PAP ha opposto sempre in UP una contrarietà di principio e che anche nel nostro partito erano state contrastate) hanno condotto alla vittoria in tre comuni toscani (Borgo San Lorenzo, Rosignano Marittima, Calenzano) e a San Giovanni Rotondo (Fg). Sono da registrarsi anche affermazioni delle liste del partito con il nostro simbolo in comuni delle regioni un tempo rosse, da Poggibonsi a Granarolo. A Firenze la nostra coalizione alternativa ai poli ha eletto un consigliere che potrà proseguire l’opposizione al sistema di potere del PD. A Giulianova (Te) una lista unitaria della sinistra in alternativa ai poli è riuscita a eleggere due nostri compagni superando il 10%. A Rapallo una lista di UP ha ottenuto un grande risultato. A Bari pur non eleggendo abbiamo contribuito al primo turno a una coalizione che ha superato il 20% mantenendo la connessione sentimentale con un’area larga di sinistra. A Perugia la candidata sindaca proposta da Rifondazione ha guidato tutte le forze del centrosinistra alla vittoria contro la destra.
Il quadro che emerge dal voto evidenzia che non è possibile calare uno schema identico su tutto il territorio nazionale senza lasciare alle compagne/i dei territori la possibilità di valutare le modalità più efficaci di presentazione elettorale per incidere nella vita delle proprie comunità. Si indica comunque, la priorità alla ricerca di una coerenza credibile, a livello locale, con la nostra alternatività oggi rafforzata e ancora più necessaria al blocco unico della guerra che, anche nei territori, ripropone l’impianto neoliberista. Nel prossimo congresso dovremo discutere e approfondire la nostra posizione sugli enti locali che è unica in Europa tra i partiti del gruppo The Left e nel partito della Sinistra Europea. Ribadiamo la nostra critica della linea di AVS di internità subalterna al centrosinistra a prescindere, come si vede a Napoli con la trasformazione in spa dell’unica azienda dell’acqua effettivamente pubblica in Italia, a Roma con l’inceneritore, a Milano con l’immobiliarismo di Sala. Non possiamo però contrapporre la semplice reiterazione di una posizione di alternatività di principio che non tiene conto dei contesti locali e che spesso ci pone nelle condizioni di non essere nemmeno in grado di presentarci. Dobbiamo maggiormente recuperare quel carattere corsaro che all’autonomia e alterità rispetto al centrosinistra univa anche la capacità di incalzarlo e contendergli l’egemonia almeno su una parte della società e della sinistra.
UN’ESTATE DI MOBILITAZIONE DEMOCRATICA E ANTIFASCISTA
La possibile vittoria del RN di Marine Le Pen in Francia suscita la preoccupazione di tutte le antifasciste e gli antifascisti in Europa. Non pare però preoccupare settori del capitale che la sostengono e parte dell’establishment neoliberista che apertamente indica nel programma economico-sociale del Nuovo Fronte Popolare il pericolo principale.
Nel ribadire il nostro impegno nella lotta contro le destre ribadiamo che a fomentare il risorgere del fascismo sono le politiche neoliberiste e di guerra dentro il quadro della crisi della globalizzazione capitalista. Solo un antifascismo popolare, in netta rottura con le politiche antipopolari che le hanno favorite, può contrastare efficacemente le destre. Senza una rottura con il neoliberismo non si fermano le destre in Europa come dimostra l’ascesa di Le Pen grazie alle politiche antipopolari di Macron, per tanti anni punto di riferimento della classe dirigente del PD e centrista.
La lotta contro le destre e l’opposizione al governo Meloni richiede il massimo di unità ma senza perdere il nostro punto di vista critico, la nostra autonomia, la nostra linea di alternativa.
Dobbiamo in primo luogo ribadire che un fronte popolare antifascista e per la Costituzione non può accantonare l’articolo 11 e il ripudio della guerra.
E’ la logica della guerra che sta sdoganando l’estrema destra in Europa, come l’Ucraina, il governo Meloni e quello Rutte dimostrano.
Il governo Meloni e la coalizione di destra non solo hanno un’agenda antipopolare, classista, neoliberista, razzista, xenofoba, omofoba, sessista, conservatrice e reazionaria oltre che una matrice fascista che continuamente emerge. Il governo Meloni sta portando avanti un attacco che profila il definitivo stravolgimento della Costituzione, lo smantellamento dello Stato sociale, la fine dell’unitarietà della repubblica, la messa in discussione dell’indipendenza della magistratura.
Un partito come il nostro – che si autodefinisce come “il partito della Costituzione” – non può assolutamente tenere un atteggiamento di sottovalutazione della necessità della costruzione del più largo fronte unitario contro l’autonomia differenziata, il premierato, la separazione delle carriere, le leggi repressive contro lotte sociali e in generale nell’opposizione al governo delle destre.
Ribadiamo la contrarietà alla separazione delle carriere tra magistratura requirente e giudicante e della conseguente separazione dei CSM, dunque, condurrà fin dall’ approdo del ddl in Parlamento una campagna massimamente unitaria. Un partito garantista non può tollerare che chi svolge le indagini e sostiene l’accusa sia, nei fatti, diretto dalla polizia giudiziaria dunque dall’esecutivo.
La nostra opposizione al premierato è nettissima perché rappresenta il colpo definitivo e di segno autoritario a quel che rimane della democrazia costituzionale. Sappiamo che sarà davvero difficile vincere il referendum confermativo perché tre decenni di pessime riforme istituzionali e leggi maggioritarie, di elezioni dirette dei sindaci e dei presidenti di regione, di delegittimazione del ruolo del parlamento, di mediatizzazione e americanizzazione della politica hanno preparato il terreno al colpo di grazia alla democrazia costituzionale.
Su questi terreni dobbiamo lavorare al fronte più largo possibile, con la Cgil, l’ANPI, l’ARCI, le associazioni, le reti e i movimenti e anche con i partiti del centrosinistra come con le formazioni della sinistra anticapitalista e i sindacati di base. Senza uno schieramento di questo genere non sarebbe neanche possibile raccogliere le firme in due mesi estivi per il referendum contro l’autonomia differenziata.
La nostra partecipazione al comitato promotore del referendum abrogativo della legge Calderoli rappresenta la naturale continuazione del lavoro che abbiamo condotto per anni promuovendo i comitati contro l’autonomia differenziata e il tavolo no AD con una approccio assai radicale nei contenuti ma aperto al necessario dialogo e alla cooperazione con forze assai diverse da noi. Una pratica non settaria ma rigorosa sui contenuti che ha fatto crescere dal basso e dall’esterno del parlamento la critica delle proposte di regionalismo differenziato e la consapevolezza delle conseguenze. Si tratta di una esperienza esemplare di costruzione di movimento in un contesto in cui il movimento di massa non c’era per determinarne le condizioni.
Nel paese è fortissima a sinistra e nei movimenti una legittima domanda di unità contro la destra al governo che noi dobbiamo saper cogliere senza rinunciare alle nostre discriminanti. La più larga unità è necessaria non solo per raccogliere le centinaia di migliaia di firme indispensabili per presentare il quesito abrogativo ma anche per tentare di vincere il referendum. Non dimentichiamo che la legittimazione e il via libera all’autonomia differenziata lo hanno dato dal 2001 il centrosinistra con la modifica del titolo V della Costituzione a cui solo noi ci opponemmo e poi il PD con il si ai referendum per l’autonomia e le intese di Gentiloni con le regioni del nordest a cui si è associata anche l’Emilia-Romagna. E dentro questa campagna dobbiamo imprimere un segno antiliberista forte e anche la nettezza del no a ogni autonomia differeniata rispetto ai messaggi ambigui degli esponenti del PD come Bonaccini.
Il doppio appuntamento referendario l’anno prossimo con i quesiti contro il jobs act e quello contro l’autonomia differenziata sarà nel segno non solo dell’opposizione alla destra ma anche una palese dimostrazione del fallimento delle politiche del centrosinistra neoliberista dato che i quesiti riguardano provvedimenti legislativi che hanno origine diretta o indiretta dai loro governi.
I referendum possono e debbono essere occasione per una mobilitazione politica di massa sulla via maestra della difesa e dell’attuazione della Costituzione.
Il Partito della Rifondazione Comunista lavora all’apertura di una fase nuova di movimento e lotta, per dare un orientamento di sinistra, antiliberista, anticapitalista e pacifista all’opposizione al governo Meloni.
La manifestazione nazionale di sabato prossimo indetta dalla Cgil a Latina rappresenta un momento fondamentale di lotta. La parola d’ordine dell’abrogazione della Bossi è oggi finalmente condivisa da uno schieramento largo. L’abbiamo sempre considerata essenziale dal punto di vista di una qualificazione di classe della stessa lotta antirazzista. L’omicidio di Satman Singh ha fatto riemergere la realtà della creazione di un’enorme sottoclasse di forza lavoro schiavizzata perché ricattabile attraverso norme prodotte nel clima creato dalle campagne xenofobe e razziste delle destre.
La nostra partecipazione ai Pride ieri, con lo slogan #noprideingenocide sullo striscione e le bandiere palestinesi, è tesa a respingere la strumentalizzazione dei diritti lgbtqi+ per legittimare la nuova versione della “missione civilizzatrice dell’Occidente” che viene usata per giustificare la complicità con il genocidio a Gaza. Lavoriamo per la convergenza delle lotte.
️VERSO IL CONGRESSO
L’apertura del percorso congressuale non è semplicemente una scadenza statutaria ma corrisponde a una necessità di riflessione collettiva per affrontare le difficoltà che il nostro partito vive da più di un quindicennio e il quadro nuovo che si è determinato nell’ultimo triennio sul piano internazionale, in Europa e anche nel nostro paese. E’ necessaria una riflessione strategica e un confronto costruttivo che coinvolga l’insieme del nostro corpo militante. Il percorso verso il congresso nazionale, da svolgersi entro la metà di gennaio 2025, dovrà essere accompagnato da momenti di analisi, approfondimento e autoformazione.
Il rafforzamento organizzativo, l’iniziativa politica e sociale, l’autonomia del partito hanno come condizione una cultura e una pratica unitaria al suo interno e la capacità di funzionare come intellettuale collettivo superando il correntismo che cristallizza le posizioni e impedisce un dibattito aperto sugli enormi problemi che deve affrontare una formazione anticapitalista e antimperialista in questa fase storica.
Questo CPN apre la fase congressuale e nella prossima riunione, da convocarsi entro il 20 luglio, procederà alla costituzione delle commissioni.
Il CPN impegna il partito al massimo impegno nel rilancio della campagna di tesseramento e nelle mobilitazioni che ci attendono a partire dalla manifestazione di Latina di sabato 6 luglio e nella campagna di raccolta delle firme contro l’autonomia differenziata.
(Il documento politico proposto dal segretario nazionale Maurizio Acerbo è stato approvato con 82 voti, 71 al doc. alternativo, 1 astenuto)