di Achille Bonifacio per prcenna.it
Interessante e bella recensione , quella di Fosco Giannini del capolavoro letterario <<Il comunista>> di Guido Morselli, sulla rivista “Su la testa” di marzo 2010.
Un lavoro di riscoperta dell’opera morselliana da parte di Rifondazione Comunista nella sua interezza, auspica Giannini, assumerebbe un alto valore culturale perchè nell’arco di tempo dell’ esistenza di Morselli, dal 1912 al 1973, morto suicida, essa si sviluppa <<-in modo drammaturgicamente classico, direi, “pavesiano”- un’esistenza di dolore, solitudine-subita e cercata-e strenuo lavoro intellettuale e letterario che segna-non crocianamente, non romanticamente, nè tantomeno da poeta maudit, la stessa opera morselliana.>>
Malvisto dalla critica e dalle case editrici perchè anticonformista e ribelle alle regole letterarie e non solo, Morselli scrive il “Comunista” tra il 1964 e il ’65. <<La storia si svolge tra il ’58 ed il ’59, tra i “protagonisti” centrali vi è l’intero PCI: nelle sue dinamiche e nella sua (ancora carsica e protetta) discussione interna, nei suoi dirigenti, nella sua grandezza politica, sociale e culturale, nella sua iniziale involuzione istituzionale, nel suo iniziale distacco dal progetto rivoluzionario, nel suo appena accernnato, ancora lieve, appannamento morale….>>.
Il personaggio principale però è Walter Ferranini, comunista di base, dirigente della Federazione di Reggio Emilia , un <<operaio intellettuale>> come si usava ai tempi. Avendo conosciuto sella sua pelle la durezza del lavoro e della fatica, Morselli ha coniugato tale consapevolezza << con la concezione scientista (e leopardiana) della crudeltà oggettiva che ha in sè l’intero blocco della natura inorganica, pronta a distruggere e disfarsi – senza pietà e ripensamenti – di quell’eccezione che è la vita, entro la quale vi è anche la “nostra vita”, che è anche, dunque, un duro e penoso resistere all’onnipresente pulsione distruttiva dell’onda oscura dell’inorganico>>.
Il lavoro per Ferranini quindi è sofferenza e pena che nemmeno il socialismo, che è pure l’unica forma di resistennza alla barbarie capitalista, potrà debellare completamente.
Dichiara Ferranini: <<Chiamiamo pure, se così ci piace, alienazione la semivita (e chi scrive ne ha una diretta e personale) dell’operaio che si consuma giorno dopo giorna alla catena di montaggio, al tornio o alla fresatrice. Ma alienazione è una parola che presuppone una fase precedente, espansiva, dell’uomo e della sua attività, e questo a me pare ottimistico, più che realistico. Quella dell’operaio preferirei chiamarla :mortificazione. E secondo me bisogna renderci conto che essa è solo un aspetto di una condizione umana più generale…. Siamo coatti. Lavorare, produrre, non è mai qualcosa di spontaneo, non è l’affermarsi di una nostra personalità; è soltanto una necessità, che non da tregua… Il lavoro, con la sua penosità, è dunque qualcosa di universale, insopprimibile. Senza riscatto>>.
Una seria riflessione bisogna pur farla, è stata fatta, sul lavoro, sull’uomo, sulla natura, sulla felicità dell’uomo. Bisogna pensare alla qualità del lavoro e alla qualità della vita. L’uomo dovrebbe lavorare per realizzare sè stesso, per avere tempo e spazio per leggere e studiare, per conoscere, ascoltare Mozart o Miles Davis, per andare a mare, per fare all’amore….
Giustamente , conclude Giannini: <<Sappiamo che , dialetticamente (Hegel e Marx) il lavoro ha anche e profondamente liberato uomini e donne (“Arbeit macht frei,il motto che i nazisti posero all’ingresso di Auschvitz, suona, in quel luogo dell’orrore, ferocemente sarcastico. ma, in sè, è totalmente vero). Ma il compito del socialismo, dei comunisti, dei rivoluzionari, non è solo contemplare la dialettica della liberazione: è, invece, quella di parteciparvi attivamente e -dentro essa – sedimentare e progettare scientemente la completa “scarcerazione” umana, anche dal lavoro. Per un tempo umano liberato.>>. Concordo pienamente.
LE NOTE di A. Canzi :”Il lavoro uccide, no al lavoro, reddito sociale!!” e “Non denunciano per paura di ritorsioni, no al lavoro”, mi spingono a ripresentare la mia di qualche tempo fa. Ho letto, tra l’altro, un gustoso articolo di Gibbs sull’ultimo numero della rivista “LEFT” dal titolo :”Mi voglio liberare. Dal lavoro.”
Tra il serio ed il faceto Gibbs affronta il tema evidenziando gli equivoci voluti e inconsapevoli che sono stati fatti in nome del lavoro.
Propongo alcuni stralci: << La libertà del lavoro di svilupparsi come libera attività umana in sintonia con la natura per il soddisfacimento dei nostri bisogni e il conseguimento della felicità. La libertà dal lavoro, perchè come dice Marx: << Il lavoro è per sua essenza l’attività non libera, inumana, asociale; esso è condizionato dalla proprietà privata e la crea a sua volta. L’abolizione della proprietà privata diventa dunque realtà solo quando è concepita come abolizione del lavoro>> (Ideologia tedesca 1845).
Quanta confusione e quanti danni ha provocato questa pessima abitudine di enfatizzare il lavoro, prima il lavoro e poi la distribuzione, prima il lavoro e poi l’ambiente, prima il lavoro e poi le le proteste per la sicurezza, prima il lavoro e poi l’onda nera del petrolia che inquina il Golfo del Messico….>>.