di Roberta Fantozzi, Segreteria nazionale PRC, Area Lavoro e Welfare e Marco Nesci, Resp. nazionale Sanità PRC
E’ entrato in una fase di acceso confronto, tra  Regioni e Governo, il cosiddetto “patto per la salute”, in cui dovrebbero essere scritte regole e modalità per l’erogazione dei servizi sanitari dentro un quadro di finanziamenti certi. Le Regioni, con un durissimo documento, hanno già bocciato il patto proposto dal Governo e non solo perché mancano 7 miliardi di euro sul biennio 2010-2011 ma perché i contenuti regressivi sono pesantissimi. E’ entrato in una fase di acceso confronto, tra  Regioni e Governo, il cosiddetto “patto per la salute”, in cui dovrebbero essere scritte regole e modalità per l’erogazione dei servizi sanitari dentro un quadro di finanziamenti certi. Le Regioni, con un durissimo documento, hanno già bocciato il patto proposto dal Governo e non solo perché mancano 7 miliardi di euro sul biennio 2010-2011 ma perché i contenuti regressivi sono pesantissimi.
La proposta del patto contiene finanziamenti nel biennio di 104 e 106 miliardi a fronte di una necessità stimata dalle Regioni di 108 e 110. Il governo vuole ridurre i posti letto per acuti dal 3,8 al 3,3 per mille (7-10 mila posti letto in meno), arrivando ad ipotizzare persino accordi interregionali sulla mobilità per cui ad ogni cura eseguita in un’altra regione dovrà corrispondere analoga riduzione di posti letto nella regione di appartenenza.
Pesante intervento anche sul personale attraverso ipotesi di organico standard con ridimensionamento dei fondi per i contratti integrativi e conseguente riduzione degli organici nelle strutture semplici e complesse.
Introduzione di ticket: in caso di squilibrio già definito nel secondo trimestre dell’anno in corso, scatto obbligatorio di ticket sulla farmaceutica e sulle cure specialistiche con superamento e cancellazione di ogni tutela sociale attraverso l’annullamento di tutte le esenzioni.
Obbligo di introdurre il ticket sulla parte alberghiera per le prestazioni medico-chirurgiche in day hospital o in ricovero ospedaliero, introduzione di un incremento della tariffa a carico dei cittadini per le prestazioni in intramoenia. Per la riabilitazione nelle strutture accreditate, scatto della totale o parziale compartecipazione a partire dal 45° giorno anziché dal 60° come attualmente in vigore.
Piani di rientro: scatteranno inderogabilmente con  massimo della tassazione per i cittadini a partire da uno scostamento del 7% rispetto alla spesa per il finanziamento ordinario, il cui calcolo sarà prodotto dal meccanismo dei costi standard, probabilmente della regione migliore in termini di bilancio.
Tutte queste misure contenute nella proposta del patto sono inaccettabili nella sostanza e nel metodo. Nella sostanza perché piegate ad una logica di esasperato economicismo in cui si comprimono i servizi e si cancellano i diritti, anziché colpire privilegi, sprechi e connessioni malavitose insite nel sistema, con appalti e gestioni esternalizzate a vantaggio di amici degli amici. Nel metodo perché il sistema amministrativo nonché  la programmazione e la progettazione del funzionamento dei sistemi sanitari regionali sono costituzionalmente affidati alla competenza delle Regioni, le quali – in virtù di accordi di questo tipo – non potranno più operare per garantire qualità e quantità delle prestazioni sanitarie ai propri cittadini, e dovranno anche cancellare ogni ipotesi di   prevenzione. E’ di decisiva importanza dunque che le Regioni mantengano la posizione di netta contrarietà al “patto per la salute”. E’ altrettanto necessario che su questi  temi si riattivi iniziativa, riflessione, mobilitazione. Il dibattito pubblico, anche a sinistra, coglie giustamente tutta la centralità del diritto alla salute quando si parla di quanto avviene oltreoceano, nell’America di Obama. Ci pare necessario che il livello di attenzione su quanto sta avvenendo da noi si alzi significativamente, provando a rompere meccanismi di delega, specialismi, a cui troppo spesso viene consegnata la riflessione e l’iniziativa su questi temi. Il governo non sta solo compiendo l’ennesimo intervento pro-crisi, riducendo l’occupazione e peggiorando la condizione delle fasce sociali più deboli. Sta attaccando pesantissimamente la sanità pubblica con un progetto preciso e dichiarato. Sviluppare il “terzo pilastro” cioè consegnare al sistema a capitalizzazione e ai privati la sanità. Sanità che dovrebbe diventare  uno dei perni di sviluppo della “bilateralità”, l’affidamento di intere parti di stato sociale alla gestione congiunta di imprese e sindacati secondo un modello esplicito tanto nella riforma della contrattazione quanto nei vari Libri Verdi e Bianchi sul futuro del modello sociale. Ce n’è abbastanza per provare a rimettere in piedi iniziativa e mobilitazione con tutti coloro che ritengono che l’universalità del diritto alla salute sia decisiva  per i livelli di civiltà di un paese.