di Walter De Cesaris
LETTERA APERTA AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO MATTEO RENZI –  2014 SI CHIUDE UN “ANNUS HORRIBILIS” PER IL DIRITTO ALLA CASA – LE PROPOSTE AFFINCHE’ NEL 2015 POSSA AVVIARSI UNA INVERSIONE.
Egregio Sig. Presidente del Consiglio Matteo Renzi
Il 2014 si chiude con una decisione sconcertante presa dal governo da Lei presieduto.
Il Consiglio dei Ministri, che ha varato il cosiddetto decreto “mille proroghe”, quest’anno, per la prima volta dopo diversi anni, ha deciso di non rinnovare la sospensione degli sfratti per finita locazione ai danni delle famiglie disagiate.
Si trattava di una proroga che riguardava una singola fattispecie di sfratti, quelli per finita locazione (quindi escludeva sia la morosità, oggi causa prevalente delle sentenze, sia la necessità per il proprietario di riavere l’alloggio) e interessava esclusivamente un numero limitato di famiglie: i nuclei con redditi complessivi lordi inferiori a 29 mila euro e contemporanea presenza di anziani, minori, portatori di handicap gravi, malati terminali.
Si tratta di nuclei che per condizione di reddito e situazione familiare non hanno alcuna possibilità di reperire un alloggio alternativo nel mercato privato e rispetto ai quali i comuni sono senza alcuna possibilità di intervento, vista la cronica carenza di alloggi sociali.
Le rivolgiamo, pertanto, un appello a voler riconsiderare la questione e ad inserire la proroga nel testo, prima della sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.
In ogni caso, Le chiediamo la disponibilità ad emendare il testo durante la discussione parlamentare e ad intervenire presso i Prefetti affinché, nelle more della conversione, venga differita la concessione della forza pubblica per le esecuzione ai danni dei nuclei in possesso dei requisiti per aver diritto alla proroga.
La questione degli sfratti è senza dubbio il campanello di allarme più inquietante al riguardo della condizione abitativa del Paese. E’ questo anche il motivo essenziale per il quale parliamo di “anno horribilis” per il diritto alla casa.
I dati sono tutti concordi a confermare questa disperata situazione: 700 mila famiglie, che hanno fatto domanda di una casa popolare e che i comuni hanno certificato come aventi diritto, rimangono privi di una qualsiasi risposta; sfratti in continuo incremento e che ormai si assestano intorno alle 80.000 nuove sentenze l’anno, quasi 350 mila negli ultimi 5 anni.
Di queste sentenze, a causa della crisi che ha colpito in particolare i redditi più bassi, oltre il 90% sono per morosità.
Per ogni sfratto conclamato, ci sono almeno altre 10 famiglie “border line”. Sono le medesime associazioni della proprietà che hanno rilevato nel 2014 un ritardo di almeno uno o due mensilità nel pagamento degli affitti da parte degli inquilini, evidentemente in crescente difficoltà.
L’Italia, infine, mantiene negativi record in Europa rispetto alla carenza di alloggi sociali (ormai siamo a meno del 4% del comparto abitativo rispetto a una media europea del 16%) e alla coabitazione, specialmente dei giovani nelle famiglie di origine. In questo ultimo dato pesa certamente la difficoltà di trovare lavoro ma è determinante anche l’impossibilità di reperire alloggi compatibili con i redditi reali.
Un dato di questo 2014 è particolarmente significativo: a causa della recessione si segnala da parte degli istituti di ricerca specializzati un certo raffreddamento degli affitti (intorno Al 5 – 10%). A questo raffreddamento, comunque ancora non in linea alla diminuzione oggettiva del mercato e che segnala che non sono state rimosse le cause strutturali della bolla immobiliare, non corrisponde una almeno analoga diminuzione degli sfratti, che invece crescono ulteriormente e il cui numero rischia di essere pesantemente aggravato se il governo non corre immediatamente ai ripari, inserendo nel decreto mille proroghe almeno il differimento di quelli prima richiamati, per i quali negli anni scorsi vigeva la sospensione.
Il 2014, passa anche come l’anno delle occasioni perse e delle promesse tradite.
Il governo, infatti, ha varato un provvedimento dal titolo molto impegnativo “Misure urgenti per ridurre il disagio abitativo” ma i cui contenuti concreti rischiano di andare da tutt’altra parte.
Ci riferiamo, in particolare, all’articolo 3 del provvedimento che prevede l’emanazione di un decreto per accelerare la dismissione del patrimonio dell’edilizia residenziale pubblica di regioni e comuni.
Siamo riusciti, in extremis, a bloccare la pubblicazione di tale decreto che prevedeva l’introduzione della procedura della vendita all’asta delle case popolari sulla base del prezzo di mercato e senza adeguate misure di salvaguardia per gli assegnatari.
La motivazione fondamentale della nostra opposizione al decreto predisposto dal Suo governo è molto semplice: vendere all’asta pubblica le case popolari vuol dire aprire la strada al fatto che pezzi del patrimonio ERP, riservati per legge a nuclei familiari disagiati, possano andare in mano a soggetti privati, anche società e imprese che certamente non possiedono requisiti per prendere possesso di quegli alloggi. Le conseguenze, anche nel mondo degli assegnatari delle case popolari, potrebbero essere devastanti e la coesione sociale delle città ulteriormente compromessa.
Il Ministero delle Infrastrutture, dopo le proteste e le mobilitazioni, ha annunciato un ripensamento. Ne siamo lieti ma aspettiamo di conoscere le nuove disposizioni e Le chiediamo un confronto preventivo, prima del varo del decreto. Anzi, ci permettiamo di suggerire che in questo caso, un ripensamento complessivo sarebbe assolutamente preferibile. La condizione disperata che prima ricordavamo necessita di un altro tipo di intervento: sospendere i piani e le procedure di vendita e dedicarsi a un vero progetto di riqualificazione dell’intervento pubblico.
Ciò ancora non basta. L’articolo 5 del medesimo provvedimento prevede una norma per noi incostituzionale: negare la residenza, togliere acqua e luce a chi occupa un alloggio.
Sappiamo che il tema delle occupazione è delicata. Per noi, non si può fare di ogni erba un fascio: un conto è occupare una casa popolare quando è assegnata a un’alta famiglia, altro conto è occupare per necessità un immobile vuoto o degradato e chiederne il recupero e il riutilizzo a fini abitativi.
In ogni caso, non è accettabile che possano venire negati diritti, come quello della residenza o di beni primari come l’acqua o il riscaldamento, che sono alla base anche di norme costituzionalmente garantite, come l’assistenza sanitaria o l’istruzione.
E’ in questo contesto, che Le avanziamo una proposta, costituita da tre mosse affinché il 2015 possa segnare una inversione di tendenza reale.
Prima mossa.
Il varo di un piano strategico al fine di incrementare l’offerta pubblica di alloggi sociali in Italia di 1 milione di case.
In Italia, dal dopoguerra, ci sono stati due interventi fondamentali: il primo, subito dopo il secondo conflitto, con il cosiddetto “Piano Ina Casa”, che ha permesso a centinaia di migliaia di famiglie di riavere un alloggio dopo i disastri della guerra; l’altro, a cavallo degli anni 70 e 80 che ha costituito gli insediamenti delle case popolari che sostanzialmente rappresentano ancora l’ossatura fondamentale del sistema dell’ERP.
Due interventi strategici ma non senza contraddizioni. Specialmente, gli interventi tra gli anni 70 e 80, hanno costruito, specialmente in alcune aree metropolitane, grandi agglomerati, trasformatisi poi in ghetti in cui latitano servizi e la convivenza si è fatta sempre più difficile.
Non proponiamo, quindi, di riproporre la stessa modalità: è diversa la struttura del territorio, l’antropizzazione, il livello di cementificazione raggiunta.
Una delle contraddizioni fondamentali della condizione abitativa in Italia oggi è infatti data dal fatto che ci sono centinaia di migliaia di famiglie senza casa o con forte disagio abitativo e contemporaneamente centinaia di migliaia di alloggi vuoti, senza gente. E’ questo uno degli aspetti della contraddizione del mercato immobiliare: si costruisce (anche troppo) ma per non per la domanda effettiva di case che c’è e non per i nuclei familiari che esprimono il bisogno di casa, i cui redditi non sono compatibili con i prezzi.
Pensiamo che la linea strategica debba essere quella del recupero e del riuso ai fini della residenza sociale del già costruito, a partire dall’enorme patrimonio pubblico vuoto, in disuso o in dismissione. La nostra proposta è quella di un grande piano per la residenza popolare (in cui l’affitto sociale abbia un ruolo preponderante) senza ulteriore cementificazione del territorio, fornendo mezzi e strumenti per riconvertire il patrimonio pubblico ai fini abitativi e incentivare in questo senso anche quello privato non utilizzato e degradato.
Il governo ha annunciato a breve il varo di un pacchetto di interventi per la ripresa.
Un piano per l’abitare sociale in Italia con l’obiettivo di 1 milione di alloggi sociali, attraverso il recupero e il riuso del costruito, crediamo potrebbe rappresentare un volano anche per la ripresa.
Sarebbe anche un piano per il lavoro e rappresenterebbe un investimento per il futuro del Paese e una grande opera di ammodernamento infrastrutturale, di lotta al degrado e di riqualificazione delle nostre città, di ripopolamento dei centri storici abbandonati.
Seconda mossa.
Un intervento shock sul mercato degli affitti privati a costo zero. Per sconfiggere la piaga della morosità incolpevole occorre una misura che intervenga a monte.
La proposta è la seguente: zero tasse per i proprietari che accettino di ricontrattare gli affitti, abbassandoli di almeno il 30 – 40% rispetto agli accordi territoriali e finanziare questo intervento attraverso l’eliminazione della cedolare secca per i proprietari che invece si ostinano a voler rimanere nel libero mercato.
Il reddito netto del proprietario rimarrebbe sostanzialmente uguale, il fisco non perderebbe nulla in quanto la norma si autofinanzierebbe attraverso l’eliminazione dell’assurdo privilegio oggi esistente di avere una tassazione ridotta anche per gli affitti del libero mercato. Lo Stato infine potrebbe in questo caso, a regime, avere addirittura dei risparmi a causa dei minori esborsi a valle di sussidi e altri interventi necessari a far fronte a una emergenza che si riproduce ogni volta uguale.
Serve un intervento deciso ulteriore sulla fiscalità nella linea di penalizzare le case tenute sfitte ai fini di spingere il mercato verso l’affitto calmierato.
Terza mossa.
Serve un anno di tregua per mettere in campo gli interventi necessari per rompere la spirale perversa delle emergenza che si rincorrono: il blocco di un anno delle esecuzione di tutti gli sfratti (compresa la morosità incolpevole) e al contempo il varo del piano strategico per l’abitare sociale, una misura di incentivazione fortissima di un’area “no tax” per coloro che accettano affitti sostenibili (30 – 40% in meno degli accordi territoriali), l’eliminazione della cedolare secca per il libero mercato e la penalizzazione fiscale delle case sfitte.
In questo contesto, anche misure temporanee di requisizione di alloggi vuoti e sfitti da più anni può assumere il carattere di urgenza in determinate condizioni di precarietà estrema, specialmente in determinate aree del Paese, più colpite dalla crisi occupazionale ed economica.
Vogliamo eliminare l’espressione “emergenza casa”, innanzitutto perché è una espressione bugiarda: non siamo di fronte a catastrofi improvvise o a eventi straordinari. Siamo dentro una sofferenza abitativa strutturale che la crisi ha reso ancora più drammatica.
Per eliminare quella espressione è necessaria una strategia a lungo termine e servono misure immediate che diano una scossa.
Come avrà visto, non lesiniamo critiche dure all’operato del Suo governo nel 2014 ma non ci limitiamo a questo: avanziamo delle proposte concrete e fattibili per aprire una nuova fase.
Su questi contenuti, Le chiediamo di poter avere un incontro e avviare un confronto con Lei e il Suo governo.
Cordialmente
IL SEGRETARIO NAZIONALE
Walter De Cesaris