Intervista al segretario generale Cgil Guglielmo Epifani. Il disegno di legge contro lo Statuto dei lavoratori


di Gemma Contin su Liberazione del 5 marzo 2010

Il Parlamento ha varato un disegno di legge governativo che azzera di fatto, più ancora dell’insieme di norme che compone il “diritto del lavoro”, quella conquista dei lavoratori, pagata con anni e anni di lotte, che passa sotto il più ampio concetto di “democrazia del lavoro”. Da oggi il lavoratore sarà completamente solo e nudo davanti al padrone. Da oggi la contrattazione collettiva viene definitivamente sommersa e inficiata non solo da una miriade di contratti aziendali ma, più ancora, da un pulviscolo molecolare di contratti individuali.

Questo disegno di legge mette le mani su una molteplicità di norme che riguardano assetti consolidati, o che credevamo consolidati, di diritto del lavoro, anche se il fuoco è sugli aspetti che riguardano il ricorso all’arbitro al posto del giudice in caso di controversie, i tempi e gli “sconti” alle aziende per la conciliazione. Il governo ha fatto proprie tutte le sollecitazioni e le richieste del padronato italiano che partono da molto lontano.

Abbiamo già assistito al reiterato attacco all’articolo 18 per “liberalizzare” i licenziamenti, alla cosiddetta “riforma Biagi”, alla frantumazione degli accordi collettivi dal primo al secondo livello. E’ questo il disegno? Siamo di fronte alla polverizzazione della contrattazione?
Sì. Siamo di fronte al tentativo più organico mai messo in atto, anche se paradossalmente si esprime in tanti piccoli provvedimenti apparentemente poco coordinati, di ribaltare quello che è l’asse fondamentale del diritto del lavoro che si trova nella Costituzione, laddove si afferma che va tutelata soprattutto la parte più debole dei soggetti in campo.
Con l’insieme di questi provvedimenti: sia quando riguardano l’interpretazione da dare nelle questioni del reintegro per giusta causa, sia quando riducono i tempi per impugnare la fine dei contratti a termine, sia nel caso più discusso di ricorso all’arbitrato, che in prima stesura era addirittura obbligatorio per tutti i nuovi contratti di lavoro, passa la stessa filosofia, e cioè che attraverso questa simmetria fittizia il rapporto di lavoro viene sostanzialmente omologato a un rapporto di tipo commerciale, privato, individuale, in cui le parti sono formalmente sullo stesso piano.
Ma il lavoratore nel momento in cui si appresta a sottoscrivere l’agognata assunzione è del tutto disarmato. E’ evidente che è la parte debole davanti a un datore di lavoro reso più forte da quest’arma di ricatto fornita oggi dal governo Berlusconi. In questo modo l’assunzione non diventa quasi l’estorsione di un rapporto di lavoro sbilanciato?
Infatti, è proprio questo il cuore del provvedimento che noi contestiamo. Naturalmente la parte più visibile è quella che riguarda l’arbitrato e la conciliazione, perché è evidente quello che lì si propone: che in tutti i nuovi rapporti di lavoro – prevalentemente ma non necessariamente solo di giovani assunti, anche di anziani che rientrano in produzione dopo un licenziamento – si esercita un’indebita forzatura, noi crediamo incostituzionale perché costringe la persona a dichiarare che rinuncerà a ricorrere alla magistratura. Una forzatura che segnerà e determinerà la qualità del rapporto di lavoro per tutta la sua durata e perfino al momento della sua conclusione. E’ fin troppo facile prevedere che il lavoratore in quel momento non sarà nelle condizioni di contrattare la sua assunzione, né di decidere liberamente e serenamente, perché in realtà è quasi costretto a sottostare alla clausola dell’arbitrato. E a quel punto, quale che sarà il futuro del suo rapporto di lavoro, quale che sarà il futuro delle vessazioni o di abusi a cui potrebbe essere sottoposto, lui dovrà rinunciare a ricorrere alla magistratura per avere giustizia.
Siamo di fronte a una grave violazione costituzionale, come hanno detto fior di giuslavoristi. Il ministro del Lavoro pensa davvero che norme così possano passare senza contraccolpi?
Siamo di fronte, secondo me, alla configurazione di una palese e ripetuta questione di legittimità costituzionale. In un convegno di qualche settimana fa con i rappresentanti dell’Associazione nazionale magistrati abbiamo discusso e analizzato le materie connesse a questo provvedimento. Noi riteniamo del tutto fondato un ricorso di legittimità, che faremo sicuramente, anche perché questa volta abbiamo il conforto di uno stuolo di giuristi del lavoro: da Ichino a Treu, da Romagnoli a quelli legati a un’interpretazione più di sinistra. Da tutti viene una sola voce che ci dice che si tratta di un provvedimento che non corrisponde al dettato costituzionale.
Queste norme però, al di là del provvedimento specifico, come abbiamo detto, vengono da lontano. Da anni e anni di tentativi del padronato italiano, e dei governi che più lo hanno rappresentato, per cercare di erodere le basi della democrazia del lavoro nel nostro Paese. Perché? qual’è la ratio?
E’ esattamente così. Questa norma sta dentro una lunga questione che si ripropone ogni volta che la destra ritorna al governo, anche se questa volta la propone in modo più furbo, in maniera apparentemente più morbida, annegata e confusa in mezzo a molte altre cose. Purtroppo tutto questo, anche se noi abbiamo denunciato a suo tempo quello che si stava preparando, non è riuscito a ottenere dall’opinione pubblica sufficiente attenzione. Adesso ci troviamo di fronte al fatto compiuto: il provvedimento è stato approvato, bisognava bloccarlo prima, ma non siamo riusciti a farlo diventare così evidente da suscitare la reazione del Paese. Se tu mi chiedi qual’è la logica, io devo dire che una logica non c’è: la realtà in questo momento va da tutt’altra parte, perché siamo in presenza di troppa mobilità, di troppa deregolamentazione.
Adesso il sindacato che cosa farà? che ruolo può svolgere?
In questo schema la contrattazione collettiva resta in tutta la sua forza e rappresenta ancora di più il luogo delle tutele. Io chiedo a Cisl e Uil di valutare bene il tipo di reazione a questo provvedimento. Non basta dire che bisognava rispettare l’autonomia delle parti sociali quando di fatto l’autonomia è già stata toccata. Condividiamo la rivendicazione dell’autonomia, ma come si fa a non vedere che questo è un vulnus a una cultura molto cara alla Cisl? Ci aspettiamo una reazione ponderata ma anche determinata: per dire che così non va bene e che il sindacato in questo modo sarà costretto a ricorrere alla Consulta.
La Cgil ha indetto la manifestazione del 12 marzo, seppure con parole d’ordine diverse, come la questione fiscale. In un momento in cui il sindacato non sembra molto aggressivo su tutta questa partita, pensate di riuscire a organizzare una grande manifestazione come quella sull’articolo 18?
Lo sciopero si caratterizzerà, come l’altro sull’articolo 18, su parole d’ordine che riguardano molte cose: il lavoro, l’occupazione, le tutele durante la crisi. Questo provvedimento arriva adesso, dopo due anni che si trascinava in Parlamento, ma sul tappeto c’erano e ci sono anche altri problemi, come la difesa del reddito e la riduzione della pressione fiscale sui redditi da lavoro, nel momento in cui un governo che dice di voler combattere l’evasione fiscale si inventa uno scudo fiscale al 5% sui capitali. E la politica di accoglienza dei migranti. Tutti temi che richiedono e meritano la più grande mobilitazione. Il provvedimento appena approvato non fa che accentuare il carattere che la manifestazione dovrà avere: difesa a 360 gradi dei diritti del mondo del lavoro.