di Francesco Piobbichi, Dip. Partito Sociale PRC su il Manifesto del 2 aprile 2010
Quando mi chiamano dal nazionale per dirmi se dovevamo dare una mano ero già in viaggio verso l’Aquila. Pensavo mentre ero in autostrada che potevamo prendere i prodotti dei generi di prima necessità che distribuivamo per i Gruppi di acquisto Popolari contro il carovita ed arrivare direttamente sul posto. Una cosa del genere l’avevo vista da piccolo quando ci fu il terremoto dell’Irpinia e la sezione del PCI passò dal mulino popolare del mio paese per caricare generi alimentari nei camion. Arrivato a Roma con altri compagni carichiamo una 4 fuochi su un furgone e partiamo per l’Aquila. Quando arriviamo a Centicolella parliamo con un rappresentante della protezione civile che ci dice di aspettare, non siamo accreditati nella struttura e quindi non potremmo dare una mano. Per qualche strano motivo dopo una notte passata in macchina ci viene detto di andare a Tempera. Nel giro di poche ore montiamo la cucina “Carlo Giuliani”. Per una settimana forniamo cibo ininterrottamente a 1500 persone, cuciniamo anche la notte per dare un piatto di pasta ai pompieri che scavano tra le macerie. Gli unici sciacalli che vediamo sono i giornalisti che intervistano gente sotto shock, lacrime e nodi in gola, abbracci, caffè caldi, terra che trema. Chi è stato in quei giorni sul campo avrà il cuore tatuato a vita.
In quei giorni non si guarda in faccia a nessuno, si fa solidarietà attiva, quando un furgone di Casa Pound entra nel nostro campo gli occhi che s’incrociano si abbassano presto da ambo le parti. Poi Rifondazione riesce a tirar fuori da sotto terra la sua parte migliore, arrivano compagni e compagne generose da tutta Italia, con i furgoni, con i soldi, con la militanza. Nel giro di una settimana tra lo stupore di tutti, con una logistica inesistente, utilizzando Facebook e cellulari riusciamo a fornire pasti anche in altri paesi dell’aquilano montando cucine o fornendo materiali. Tempera, Camarda, Aragno, Filetto, mentre passo per un campo sento un ragazzo della protezione civile che parlando con un’altro si dice preoccupato perchè ci stiamo “espandendo”. Arriva troppa roba, l’Italia è generosa in quei giorni, decidiamo di fare lo Spaccio popolare “Giuseppe Di Vittorio”, lo montiamo in una mattinanata, in quel tendone distribuiremo in qualche mese 200 camion e furgoni di generi alimentari e vestiti.
Facciamo la Volante Rossa che rifornisce le case sparse dell’Aquila, portiamo cartoni di roba ad anziani che non vogliono lasciare la propria casa ed a tutti quelli non inseriti nei campi. Vediamo i funerali di stato in tv, le promesse sopra i morti di Berlusconi ci fanno capire che sull’Aquila si aprirà lo Show. La logica dell’emergenza pervade l’intervento, dopo pochi giorni dal sisma viene arrestata una badante rumena, accusata di sciacallaggio, processata per direttissima viene assolta, ma tanto basta per creare un clima di paura sociale, noi lo respiriamo insieme alla gente che ci chiede di fare le ronde. Per cominciare a chiudere i campi e difenderli dal nemico, come per i quartieri non c’è niente di meglio di qualche sciacallo virtuale in assenza di “stranieri”.
All’Aquila si è acutizzata la logica dell’emergenza con la quale da venti anni governano il nostro paese, trasportando le questioni sociali in penali con la retorica dell’emergenza. Nelle nostre cucine non mettiamo i pass, nelle nostre cucine mangiano tutti/e, l’accaparramento se c’è si evita parlando con le persone, siamo dentro l’emergenza ma fuori dalla sua logica. Nello spaccio popolare mettiamo una frase di Marx “Da ciascuno secondo le sue capacità e a ognuno secondo i suoi bisogni” dal popolo per il popolo, nei campi dove siamo noi si fanno assemblee e si discute, negli altri non si danno nemmeno volantini. La diffidenza iniziale degli abitanti nei nostri confronti viene cancellata a piattate di pasta, la nostra cucina montata in una giornata dal “Fiorentini” che l’ha portata giù dalla festa di Liberazione della Toscana diventa la migliore dei campi, la chiameranno Grande Hotl San Biagio, in sette mesi nessuna dissenteria, due primi e due secondi, facciamo pure l’inchiesta tra gli abitanti per dire come si mangia. A San Biagio in Tempera quando ancora la protezione civile è indietro, oltre la cucina montiamo uno spaccio, un tendone sociale dove si terrà spesso la messa, alla fine riusciremo anche a costruire bagni personalizzati per vecchi e bambini, fino a portare i barbieri comunisti.
Quando Berlusconi e Bertolaso decidono di fare il G8 all’Aquila ci prende un colpo. Dobbiamo gestire un campo mentre contestiamo i padroni della terra, non sarà semplice, ma alla fine nonostante una volta al giorno l’elicottero della Polizia ci gira sopra la testa facendoci tornare in mente Via Tolemaide va tutto liscio. A differenza di molte di quelle associazioni di promozione sociale che non erano né a contestare né a dare una mano effettiva noi abbiamo fatto l’opposto, dimostrando che si possono fare entrambi le cose. Gente strana i comunisti, merce rara in questi tempi di pentimenti e opportunismi, alle brigate della solidarietà attiva in 7 mesi arrivano persone di tutti i tipi, ultras e antifascisti senza bandiere, cattolici, anarchici… Se l’inverno spacca le ossa l’estate sotto le tende toglie il fiato, gli aquilani sono stati divisi, nessuno ha dato loro il tempo e i modi per capire cosa gli sarebbe capitato di lì a poco. Fin dall’inizio abbiamo detto che il progetto C.A.S.E era uno scempio, nessuno ci ha dato retta, manifestazioni sempre in pochi, sempre gli stessi. Se Berlusconi e Bertolaso hanno resposabilità oggettive non meno ne ha il sindaco della città Cialente ed il Vescovo. Invece di requisire le case hanno concordato con il gatto e la volpe la requisizione dell’anima della loro città, il resto è la logica conseguenza. Sarebbe bastato vedere l’esperienza dell’Umbria e del Friuli, si è voluto fare lo spot finito il quale si vede tutto un altro film. Oggi ad un’anno dal sisma, il popolo delle carriole sta riscoprendo sotto le macerie del centro storico l’anima sociale della città, continueremo a dare una mano. Oramai in fin dei conti siamo diventati tutti/e Aquilani.