Luca Cangemi
É necessario che il congresso sia un momento forte di protagonismo dei compagni e delle compagne del partito ma che sia in grado anche di parlare all’esterno. Quest’obiettivo richiede modalità adeguate in tutto il percorso (in particolare una discussione aperta alle soggettività con cui vogliamo interloquire, sin dai congressi dei circoli) ma soprattutto riguarda la qualità dell’analisi di fase e della proposta politica, la capacità di dire parole significative sul contesto complesso in cui questo nostro appuntamento si situa. Un contesto, sottoposto a tensioni e accelerazioni, che richiede, una costante capacità di lettura e intervento.
Il congresso “deve” essere unitario è stato detto da molti e molte- con argomentazioni che condivido- sulla fase politica, sullo stato del Partito, sull’orientamento che viene dai compagni e dalle compagne. Credo che sia giusto porre l’accento anche sul fatto che il congresso “può” essere unitario, perchè l’elaborazione della linea politica è stata largamente unitaria, come segnalano, ormai da tempo, i documenti votati dal comitato politico nazionale.
Davanti al congresso e all’azione del partito sta il tema dello sviluppo, dell’articolazione e dell’applicazione della linea politica. Così come vi è la questione del rapporto tra linea, culture politiche, gestione del partito. Sono terreni che l’esperienza di questi anni ci ha mostrato essere non privi di contraddizioni, che potranno essere superate con un impegno che guardi con uguale attenzione ai contenuti dei documenti e alla coerenza dei comportamenti.
In quest’ottica va affrontata anche la questione della federazione della sinistra. La tendenza a ridurla a mero cartello elettorale, che ritorna esplicitamente in alcuni interventi e implicitamente in diverse posizioni, non solo contraddice quanto abbiamo più volte affermato ma rischia di introdurre elementi regressivi difficilmente gestibili.

Alfredo Crupi

Il capitalismo finanziario impone a livello europeo e mondiale politiche monetariste e liberiste che aggravano la crisi e peggiorano le condizioni di vita delle masse popolari. In questo quadro europeo e nazionale, in cui le ricette neoliberiste sono fatte proprie anche dal centrosinistra, negli attuali rapporti di forza, dobbiamo tenerci lontani dall’assumere responsabilità di governo.
Il segretario ci ha presentato la crisi del governo Berlusconi come frutto del forte vento di cambiamento sociale, che la borghesia cerca di imbrigliare in una gestione morbida della transizione verso nuovi equilibri. Io credo che taluni poteri forti abbiano iniziato da tempo lo scontro con il governo, non più idoneo a tutelare i loro interessi, e hanno individuato punti di convergenza con altri importanti soggetti sociali fino a costruire un fronte comune, da essi egemonizzato. Vi è dunque una convergenza d’interessi di settori sociali molto diversi verso l’obiettivo dell’abbattimento del governo, ma ciò nonostante la sconfitta di Berlusconi appare possibile ma non certa, e la sinistra sociale e politica non è oggi in grado di provocare e gestire da sola il cambiamento. Questo rende possibile e necessario il confronto. Non possiamo partecipare al governo, non possiamo eludere la domanda sociale di cambiamento che chiede la cacciata di Berlusconi. Da qui la proposta del fronte per la democrazia, per la difesa della Costituzione. Ma questo significa difendere non un pezzo di carta ma i diritti dei lavoratori, la pace, lo stato sociale, la libertà d’informazione, ecc. E’ rispetto a questi temi reali che dobbiamo chiarire se la cacciata di Berlusconi può rappresentare un passo avanti, pur nel quadro difficile che viviamo. Se la risposta fosse negativa dovremmo assumere una linea di opposizione netta anche al centrosinistra. Se viceversa, come capisco dalla relazione, è timidamente positiva, allora ci sono i margini per l’apertura di un confronto programmatico, da intessere in relazione con i movimenti, in modo da rendere visibili e forti le nostre posizioni. Una sfida da sinistra sul programma possibile che sarebbe suicida lasciare in mano a SEL. Tuttavia suggerisco prudenza nell’uso dei termini: il segretario ha parlato di primarie sul programma, ma alle primarie può partecipare solo chi è già in coalizione e il loro risultato vincola anche chi perde. Meglio parlare di confronto sul programma.
Anche l’accordo interconfederale, grave dal punto di vista delle relazioni sindacali che disegna, si inserisce nel quadro di ricomposizione di un blocco sociale moderato funzionale a un accordo politico PD-terzo polo. Ma io credo che ci dobbiamo interrogare pure sul rapporto tra le diverse categorie, la differente capacità dei diversi segmenti del mondo del lavoro di reggere uno scontro sociale prolungato in condizioni di divisione e isolamento sindacale contro un governo arroccato e sordo al dialogo. Ciò significa che la nostra critica non deve dimenticare il ruolo centrale di opposizione sociale e politica che la CGIL ha finora avuto e deve tenere conto delle difficoltà reali del movimento sindacale.
Dobbiamo avanzare una proposta di uscita a sinistra dalla crisi all’altezza della fase, ma per renderla credibile dobbiamo realizzare maggiori livelli di unità a sinistra e rafforzare il ruolo della Federazione, che non può restare un mero cartello elettorale, perché così non è sostenibile sul lungo periodo, non è attrattiva.
Sono per un congresso vero che affronti i nodi politici e teorici essenziali, che sia unitario perché vi sono le condizioni per farlo e perché diversamente semineremmo sconcerto. Un congresso a tesi, in cui su un corpo largamente condiviso si possano introdurre riflessioni diverse senza per questo provocare rotture. Il superamento delle correnti si può gradualmente realizzare, tenendo conto della funzione positiva che le aree hanno pur svolto, costruendo un’elaborazione comune e una fiducia reciproca nella conduzione del partito e nell’applicazione delle scelte che si assumono.