lavoro

di Roberto Farneti su Liberazione del 01/05/2010

A colloquio con Gianni Rinaldini, segretario generale della Fiom Cgil

Mentre il sindacato celebra il primo maggio, il mondo del lavoro, ancora una volta, è sotto attacco. Il primo fronte è quello della crisi. L’Istat ha reso noto che dal marzo 2009 a marzo 2010 il numero degli occupati in Italia è sceso di 367mila unità. Il ministro Sacconi non solo minimizza questi dati ma dice che per favorire le assunzioni bisogna riscrivere lo Statuto dei lavoratori. Ossia, ridurre i diritti.

Gli ultimi dati sulla disoccupazione, da una parte, e gli annunci di Sacconi, dall’altra, delineano in modo assolutamente evidente cosa si preannuncia per il mondo del lavoro. Siamo entrati nella fase più pesante della crisi dal punto di vista occupazionale e non c’è nessuna reale ripresa in atto, se ovviamente si assume come riferimento la condizione dei lavoratori e delle lavoratrici. Anzi, i vincoli posti da Bruxelles per il rientro dal deficit pubblico porteranno a una nuova offensiva anche sul terreno della spesa sociale. Contemporaneamente Sacconi conferma che siamo alla vigilia dell’assalto allo Statuto dei diritti dei lavoratori, con l’obiettivo di portare a compimento l’operazione di ridefinizione degli assetti sociali del nostro paese partita con l’accordo separato sul modello contrattuale.
Un quadro allarmante. Come può rispondere il sindacato? Voi della Fiom Cgil avete da tempo indicato la strada del rapporto democratico con i lavoratori. Adesso avete persino presentato una proposta di legge su cui state raccogliendo le firme.
Quello che si continua a non capire è che si è aperta una offensiva generale per annullare il ruolo contrattuale del sindacato. Ed è una operazione che viene condotta da diversi versanti. La stessa vicenda Fiat, al di là di alcuni aspetti positivi che pure nel piano ci sono, viene posta in modo da negare il negoziato. Perchè presentarsi al tavolo con una proposta “prendere o lasciare” significa non riconoscere il ruolo contrattuale del sindacato. Di fronte a una offensiva a tutto campo come questa è illusorio pensare che la risposta possa essere quella di tentare di ridurre il danno volta per volta. Che il sindacato ci debba provare è anche ovvio, il problema è se questo sta dentro il rilancio di una iniziativa di opposizione sociale organizzata dal sindacato stesso. E’ necessario che emerga con forza una idea alternativa rispetto ai processi sociali che sono in atto. Stanno applicando il libro bianco di Maroni senza che sia stata messa in atto una vera azione di contrasto.
Per la verità la Cgil qualche sciopero lo ha proclamato. Semmai sono Cisl e Uil che stanno ferme…
Ci sono stati momenti di protesta, ma non la costruzione di una linea di contrasto come è avvenuto nel 2002, quando la Cgil riuscì a portare tre milioni di persone in piazza partendo dalle assemblee, dagli scioperi regionali e di categoria. E’ così che si è arrivati a quella che è stata la più grande manifestazione del dopoguerra.
Il guaio è che mobilitare i lavoratori in una fase di recessione è più difficile. L’idea di lavorare su 18 turni probabilmente non piace agli operai di Pomigliano. Però in molti potrebbero pensare che è meglio subire il ricatto della Fiat che correre il pericolo di finire disoccupati.
A Pomigliano faremo lunedì l’assemblea con i lavoratori, vedremo cosa ci diranno. Quello che temo è che anche a Pomigliano si possa riproporre il tema della democrazia, se cioè i lavoratori possono votare sì o no. Io penso che, tanto più in una fase come questa, la democrazia abbia un ruolo decisivo. Tutto quello che sta succedendo, dall’accordo separato sul nuovo modello contrattuale all’accordo separato dei meccanici, avviene escludendo il rapporto democratico con i lavoratori. E’ per questo che noi abbiamo aperto anche una raccolta di firme certificate per una legge che imponga la validazione degli accordi attraverso il referendum. Altrimenti noi avremo un susseguirsi di accordi separati.
A dire il vero, la gran parte dei rinnovi contrattuali – gli ultimi sono quelli dell’edilizia e dell’artigianato alimentare – sono stati firmati anche dalla Cgil.
Non mi sorprende, perché nel momento in cui la scelta della Cgil è che ogni categoria tratta senza neanche il paracadute di regole democratiche, per cui se ci sono posizioni diverse sono i lavoratori a decidere, è chiaro che se ti incammini su quella strada lì hai di tutto: contratti separati e unitari, alcuni pessimi, altri un po’ meglio. Se il giorno dopo che ti hanno fatto l’accordo separato sul sistema contrattuale tu apri il tavolo di trattativa senza definire cosa succede se si ripete la situazione dell’accordo separato, è chiaro che è una trattativa viziata. Per cui a seconda della storia e della forza di ciascuna categoria, dai chimici agli alimentaristi, ognuno fa quello che può. Noi sulla democrazia facemmo un’altra cosa quando subimmo l’accordo separato agli inizi del duemila. Cioè dicemmo che, finchè non fossero state sottoscritte regole condivise per stabilire che se c’erano posizioni diverse sulle ipotesi conclusive votavano i lavoratori, noi non avremmo fatto più piattaforme unitarie per il rinnovo dei contratti, perché era una finta. Tanto è vero che abbiamo riconquistato i contratti nazionali quando abbiamo definito assieme quelle regole, che poi sono state cancellate grazie all’accordo separato sul sistema contrattuale.
A che punto è la raccolta di firme?
Guarda, io adesso non ho dati precisi. So però che sta andando molto bene, perché tra i meccanici questa questione della democrazia è molto sentita. E penso che sia anche una delle questioni centrali e prioritarie della discussione nel congresso della Cgil, anche per quanto riguarda la democrazia interna alla Cgil stessa. Io dico che vanno cambiate le regole di vita della nostra organizzazione. Perché se in un congresso ci sono due mozioni e però solo in poco più del 50% delle assemblee vengono presentate entrambe, è evidente che non c’è pari dignità. E che le regole non funzionano.