Le elezioni siciliane consegnano un quadro preoccupante dello scenario politico attuale. In un momento in cui la crisi si fa più forte e di pari passo si alza il livello dello scontro portato avanti dalla borghesia padronale e finanziaria, il governo risponde con misure ingiuste che colpiscono chi sta peggio e puntano a disegnare uno scenario di privazione di diritti per chi lavora e una complessiva ridefinizione dei rapporti sociali in senso antiegualitario. Tutto ciò avviene sotto lo spauracchio dello spread, del debito pubblico e dei mercati come entità sovrannaturali da accontentare utilizzati dai centri di comando delle istituzioni sovranazionali europee per imporre tagli senza precedenti alla spesa pubblica con l’obiettivo di garantire contributi sempre più numerosi e sempre più ingenti a banche e imprenditori.
La politica nel suo complesso sembra paralizzata nella dicotomia che oppone l’ambigua maggioranza che sostiene il governo Monti e le forze che, da posizioni diverse, si oppongono allo scenario attuale venendo prontamente bollate come estremiste o populiste. A questo si aggiunge la percezione sempre più diffusa dello scollamento tra un ceto politico che punta unicamente a riprodurre se stesso configurandosi come casta economicamente superiore ed estranea e la massa dei lavoratori stabili e precari e dei sempre maggiori disoccupati sempre più costretti a vivere alla giornata. Ne deriva una preoccupante disaffezione alla politica e una più generale crisi della democrazia rappresentativa utile alla comprensione del dato siciliano. L’altissima astensione (il 52,6% degli aventi diritto non si è recato alle urne) è l’espressione più chiara di questo sentimento; il “voto di protesta” al Movimento 5 Stelle ne è l’altra faccia.
Queste elezioni segnano la conferma e la legittimazione di un blocco di potere formatosi già da tre anni all’interno dell’Assemblea Regionale e basato sull’alleanza tra il Partito Democratico e le forze centriste e autonomiste che, in piena continuità con il modus operandi cuffariano e in contiguità con la borghesia mafiosa, hanno fatto della gestione clientelare del potere il triste marchio di fabbrica che ha portato alla paralisi economica e sociale dell’isola. Lo stesso Crocetta, personalità apparentemente estranea a queste logiche, se vorrà avere i numeri per governare sarà costretto a cercare il compromesso al ribasso con i partiti di Miccichè e Lombardo. Una “vittoria di Pirro” quella del Pd siciliano, che perde decine di migliaia di voti e lascia fuori dal parlamento molti nomi noti; anche il centro-destra ne esce ridimensionato, nonostante il crollo più evidente in termini percentuali (quello del Pdl che passa dal 33% al 13%) sia parzialmente spiegabile con le scissioni di Fli, Grande Sud e con la migrazione di molti ex-berlusconiani nel Pid di Saverio Romano.
Se i partiti di governo piangono con un occhio, la sinistra non può ridere. Le liste che appoggiavano Giovanna Marano restano entrambe sotto lo sbarramento e in particolare il dato della lista unitaria Fds – Sel – Verdi preoccupa in misura maggiore fermandosi al 3,07% (circa 59.000 voti). L’esperimento politico che sarebbe potuto diventare dirimente per sciogliere il nodo relativo alle alleanze per le elezioni 2013, naufraga essenzialmente per due ordini di motivi: prima di tutto il “caso Fava”, ossia la vicenda che portato all’esclusione di un candidato presidente la cui presenza in questa battaglia elettorale lasciava presagire riscontri positivi; in secondo luogo, ma a monte, l’ostinata volontà di Italia dei Valori di correre con il proprio simbolo. A questi si aggiunge ufficializzazione della partecipazione alle primarie da parte di Nichi Vendola, evento che evidenzia l’esistenza di due progetti politici radicalmente alternativi all’interno della lista, incrinandone in maniera definitiva la credibilità.
All’interno di questo risultato non si può nascondere come il dato di Rifondazione Comunista sia fortemente negativo. La somma delle preferenze ottenute dai nostri candidati non arriva alle 12.000 unità (complessivamente il 24% dei voti di preferenza espressi per i candidati della lista) e questi arrivano primi esclusivamente nei collegi di Catania, Agrigento ed Enna. La lista, come si diceva, è percepita come un cartello elettorale puro e semplice che non assume nell’immaginario collettivo dei siciliani il ruolo di soggetto politico di riferimento; l’aggregato, infatti, non vive di vita propria sia per la mancanza di una forte candidatura che la rappresenti (come accadeva nel 2008 con Rita Borsellino capolista) sia per la battaglia interna sulle preferenze che porta i soggetti organizzati a dover lavorare sul rispettivo candidato e non sul progetto politico. Sembra, così, sparire uno spazio politico a sinistra del Pd, risucchiato dall’ondata grillina che, almeno in Sicilia, attinge prevalentemente in un elettorato di sinistra.
Proprio sull’exploit del Movimento 5 Stelle bisogna cominciare a riflettere; un risultato possibile soprattutto grazie all’imponente campagna mediatica costruita intorno al fenomeno Grillo, ma che cresce con l’uso di strumenti e tecniche delle quali evidentemente non abbiamo una padronanza sufficiente. Questo voto di protesta contribuisce al rafforzamento di un movimento politico caotico nel quale convivono spinte populiste, velleità iperdemocratiche, ma anche momenti di critica avanzata al sistema capitalistico con posizioni e in termini simili ai nostri. La critica ai costi della politica e all’immoralità della Casta, pur partendo da premesse da noi condivise, sfocia in proposte difficilmente sostenibili con le quali, nostro malgrado, siamo e saremo costretti a confrontarci. Allo stesso modo la sperimentazione sul territorio di movimenti civici di questo tipo, ma con una chiara collocazione a sinistra, porta materiale utile alla revisione complessiva delle nostre capacità comunicative. Il linguaggio, le “parole chiave” e i canali per veicolarle devono essere in questo momento al centro della strategia del partito, sullo stesso piano dei contenuti, pena la già scontata esclusione dal dibattito politico, dai mezzi di comunicazione e in ultimo dall’orizzonte politico dell’elettorato.
Partendo da queste considerazioni si arriva immediatamente alla rilevanza del problema elettorale in vista delle elezioni politiche previste per la prossima primavera. Se da un lato la costruzione di un fronte a sinistra del Pd è la proposta più convincente, l’appiattimento di Sel sul Pd e il “congelamento” della Federazione della Sinistra disegnano i contorni di un’alleanza che dovrà collocarsi addirittura a sinistra delle organizzazioni che stanno lavorando sull’appuntamento delle primarie del centro-sinistra, e quindi Fiom, Alba, Sindacati di base, “sindaci” e quello che resta di un’Idv sempre più destinata al collasso. Le primarie, infatti, delineano un perimetro all’interno del quale Rifondazione Comunista non potrà collocarsi in nessun modo, non soltanto perché queste appiattiscono il dibattito politico sulle personalità in corsa e non sui contenuti e sulle proposte politiche, ma soprattutto perché concretamente impongono, con la Carta d’Intenti, alla coalizione e a colui che la guiderà un percorso obbligato in piena continuità con il governo Monti.
Lo spazio politico della nostra alleanza dovrà essere, quindi, quello dell’opposizione a Monti e alle politiche del più autentico neoliberismo. E il collante non dovrà essere più l’unità “ad ogni costo” per battere le destre o per superare gli sbarramenti, ma la centralità dei temi del lavoro. I protagonisti delle lotte dovranno trovare rappresentanza in parlamento e costruire un’opposizione di sinistra (che potrà anche, tatticamente, dialogare con i grillini che approderanno in parlamento). Per fare questo, però, Rifondazione Comunista deve riuscire a uscire dall’appiattimento sulla tattica elettorale; non perché le elezioni non rappresentino un momento rilevante (al contrario, queste, per i comunisti rappresentano un passaggio fondamentale), ma perché soltanto svincolandosi da questa logica si potrà evitare di dare alle elezioni la carica di momento discriminante sull’esistenza o meno del Partito.
Fondamentale sarà, quindi, lavorare su contenuti e interlocutori. Su cosa dire e a chi dirlo. I Giovani Comunisti, esprimendo gran parte del corpo militante del Partito, dovranno essere la punta più avanzata di un nuovo modo di porsi del partito. Si dovranno recuperare, prima di tutto, i legami con il mondo del lavoro (operaio, autonomo, precario) e del non-lavoro; riaggiornando i parametri del nostro intervento politico a partire da una nuova conoscenza delle realtà e dei soggetti sociali di cui ambiamo ad essere rappresentativi. Si dovrà lavorare certamente per aumentare il radicamento territoriale del Partito, perché è innegabile anche a partire dal dato elettorale che questo sia uno strumento ineguagliabile per la creazione di consenso. Si dovrà aprire un confronto più incisivo con le giovani generazioni, per capire in che direzione si muove il cambiamento continuo della società.
È in questo quadro che assumono una rilevanza decisiva le mobilitazioni previste per il 14 (sciopero generale Fiom e Sindacati di base) e per il 16 novembre (Giornata internazionale dei diritti dello studente) all’interno delle quali risulta imprescindibile la presenza dei Giovani Comunisti. In particolare la prima, per i soggetti politici promotori e per i settori di società che metterà in campo, sarà un primo momento aggregativo per lanciare contemporaneamente i contenuti radicali della nostra proposta politica e lo schieramento fisico con cui farli vivere. Saremo quindi tutti impegnati per la riuscita di questa manifestazione, la cui portata va oltre i semplici “numeri” del corteo.
Allo stesso modo, non tralasciando il tema fondamentale dell’Antifascismo, vediamo come fondamentale la partecipazione all’incontro previsto per venerdì 9 (ore 16.30 – Aula Seminari della Facoltà di Lettere) con il Presidente Nazionale dell’ANPI Carlo Smuraglia a cui la stessa associazione ci ha chiesto di contribuire all’organizzazione. In un momento in cui i movimenti di estrema destra alzano il livello dello scontro riuscendo a penetrare senza difficoltà tra gli studenti e i giovani in genere, riteniamo essenziale il ruolo che come Giovani Comunisti possiamo svolgere già a partire dal piano simbolico per dare un segnale ad un paese nel quale è ormai possibile che anche un partigiano venga cacciato dall’assemblea d’istituto di un liceo al grido «noi non siamo né di destra né di sinistra».
Giovani Comunisti – Palermo