Intervista a Claudio Burlando, Presidente della Liguria
«No, davvero non capisco perché il mio partito abbia preso quella posizione.E sinceramente non credo neanche che gli convenga…». Claudio Burlando è alla guida della Regione Liguria. Governa assieme ad una maggioranza che una volta si sarebbe chiamata dell’Unione, un centro-sinistra con dentro molti esponenti della sinistra. Nella geografia interna al piddì è inserito nella casella «dalemiani», ma in realtà il Governatore ha sempre giocato un ruolo autonomo. Nell’ultima direzione del suo partito, per dirne una, è stato uno dei più polemici nei confronti di Veltroni. Ora dice di non capire le scelte dei democratici sulla riforma elettorale per le europee.Cos’è che non ti convince?
Sgomberiamo il campo dagli equivoci: io penso che l’eccesso di frammentazione faccia male alla politica. Alla sinistra. E sono convinto che esistono anche strumenti legislativi per impedire la polverizzazione della rappresentanza…
Un discorso che vale anche per l’Europa?
Appunto, il punto è proprio questo. Stiamo parlando di un Parlamento, a Strasburgo, dove non c’è alcun problema di governabilità, stiamo parlando di un’assemblea dove contano quasi solo le “prese di posizione”. Che senso ha, allora, introdurre una soglia di sbarramento così alta?
Già, che senso ha?
Davvero non lo so. Ma voglio essere ancora più chiaro. Io non avrei nulla in contrario se si fosse introdotta una soglia per impedire la nascita di liste personalistiche, e guarda che ne abbiamo avute anche alle ultime europee. Ma in quel caso basterebbe una soglia dell’1, dell’1 e mezzo per cento.
Invece Veltroni ha scelto un’altra strada. Perché secondo te?
Non capisco bene cosa ti aspetti che risponda. Diciamo che mi hai chiesto un giudizio politico…
Mettiamola così.
Non mi sottraggo. Anche qui però con una premessa. Questa: io sono convinto della giustezza della scelta che abbiamo fatto, quella di costruire un partito a vocazione maggioritaria. Di più: penso che nelle condizioni date sia stato giusto che il piddì corresse da solo alle politiche.
Detto questo?
Detto questo penso che dopo una sconfitta elettorale – e di quelle dimensioni – sia normale fermarsi un attimo e provare a riallacciare le fila di un discorso unitario, almeno provarci, cominciando dalle forze politiche del proprio campo. Lo abbiamo fatto nel 2001, sarebbe stato lecito aspettarselo anche l’anno scorso.
Invece sta avvenendo il contrario.
Voglio dirti di più: quello sbarramento è sbagliato nel contenuto ma è stato sbagliato anche il metodo con cui ci si è arrivati.
Parli del patto con le destre?
A quello verremo dopo, ora sto parlando di ciò che è avvenuto nel mio partito. Penso che quando la sinistra radicale restò fuori dal Parlamento, in molti dissero che era una ferita per la democrazia. E sostennero che bisognava tenere aperto un canale di collegamento con loro. La prima occasione seria, però, è stata disertata. E ancora: credo che una scelta di questo genere, un partito che si definisce federalista non può prenderla a Roma, nel chiuso di una stanza. Bisognerebbe ricordare che il piddì ovunque, in tante Regioni, in migliaia di amministrazioni governa come parte di uno schieramento che comprende le forze di sinistra. Sarebbe stato troppo interpellare qualcuno che in quelle realtà lavora e governa?
Perché? Vedi rischi che questa divisione possa ripercuotersi nelle giunte?
No, non credo, non avrebbe senso. Ma – lo voglio dire chiaramente – credo che le forze di sinistra abbiano ragione ad essere arrabbiate. E hanno la mia solidarietà.
Insomma, un orribile “inciucio”?
La tua espressione non mi piace e non credo che dia il senso di quel che è avvenuto. Se però ti riferisci al famoso dialogo, devi sapere che non mi è mai piaciuto. E penso che sia arrivato anche il momento di fare un bilancio di questo primo anno di legislatura. A conti fatti si può dire che il partito democratico ha raccolto solo “pesci in faccia”. La destra non vuole discutere su nulla. L’unica intesa che si fa, è quella che limita la rappresentanza. Non mi sembra granché.
Andiamo più a fondo. C’è chi dice che la riforma elettorale “ammazza sinistra” faccia parte di un patto molto più ampio, che comprende anche l’isolamento della Cgil. Insomma, non sarebbe stato un caso che Veltroni abbia lasciato Epifani da solo.
Ecco, questa è davvero una sciocchezza. Le due cose non c’entrano nulla.
Però la Cgil s’è trovata da sola a contrastare quell’intesa.
Io, assieme ad altri rappresentanti delle Regioni, ero a Palazzo Chigi in quelle riunioni. E ti posso assicurare che la voglia di rottura da parte del governo e della Confindustria era evidente, si toccava con mano.
Al più grande sindacato, però, Veltroni non ha offerto alcuna sponda. Non è così?
Io dico che l’accordo è sbagliato, io credo che ci fossero ancora spazi per modificarlo, se ce ne fosse stata la volontà. La penso, insomma, esattamente come Ciampi: non ha comunque senso un accordo che esclude la più forte confederazione. Detto questo, mi piacerebbe però che anche la Cgil riflettesse su ciò che è stata in questi anni. Su come un sindacato rischia di invecchiare se si ferma alla dialettica fra Fiom e segreteria confederale. Ma di questo, se vuoi, ne parliamo in un’altra intervista…
di B.M. per Liberazione 01/02/2009