Perché votare “Rivoluzione civile”? di Frank Ferlisi

 
La scorsa legislatura si è caratterizzata per l’assenza di una sinistra vera. L’opposizione a Berlusconi è stata condotta per gran parte e con grande energia da Italia dei valori di Di Pietro, mentre il Partito democratico non sembrava metterci la stessa determinazione. Ma Idv è pur sempre una formazione politica che si identifica negli ideali liberali e la rappresentanza piena e coerente dei bisogni e delle speranze del mondo del lavoro brillava per la sua assenza. Persino i sindacalisti della Cgil, legati al Pd, denunciavano questa mancanza, questa assenza.
Poi è arrivato Monti. Con una operazione che sa di complotto dilivello internazionale. I vertici europei e della Bce da tempo premevano perché Berlusconi accogliesse in pieno le richieste di politica di austerità per, da un lato, combattere il debito dello Stato che superava il 120% del Pil, dall’altro, salvaguardasse le istituzioni bancarie e la mobilità dei flussi di denaro nelle operazioni finanziarie. Ci sarebbe da aggiungere qualcosa anche sulla serietà e affidabilità del personaggio, ma su questo c’è un accordo generale. Tremonti tentava di rispondere in modo positivo alle richieste europee e dei grandi centri della finanza internazionale, ma le iniziative del suo governo erano ritenute timide e insufficienti. Per cui la speculazione internazionale si scatenava sul debito facendo lievitare lo spread (???) massicciamente verso l’alto con la conseguenza che gli interessi del debito da pagare erano sempre più alti. Perché Berlusconi era inaffidabile secondo lecancellerie europee? Perché esibiva le corna a un ministro straniero durante le foto di rito? O perché, da cafone, piantò la Merkel che l’attendeva per riceverlo secondo il protocollo, perché stava parlando al cellulare. Magarianche per questo, ma la ragione principale è che Berlusconi rappresentava in pieno la borghesia mafiosa o delinquenziale italiana. E qua si intravedono le ragioni della sua incoerenza e timidezza nell’assumere pienamente i diktat dell’Unione Europea. Perché questa borghesia si mangia, o forse meglio si divora letteralmente le risorse pubbliche attraverso ruberie e imbrogli negli appalti pubblici, evade il fisco, ricicla denaro sporco con la complicità di personaggi della finanza e delle banche e via cantando. Interessi che in parte divergono da quelli della tecnocrazia europea di respiro internazionale. I soldi criminali fanno comodo anche a loro, ma, maggiormente, sono interessati all’equilibrio dei mercati e a un tranquillo flusso di risorse tra le Borse, le banche, le altre istituzioni finanziarie, pubbliche e private. Una situazione come quella greca non è auspicabile. Certo, data la crisi gravissima che l’attraversa, tutti, in particolare i Tedeschi, si accomodano alla sua tavola per acquistare a prezzo di svendita le sue risorse più preziose, ma un vero e proprio crollo sarebbe da evitare perché non controllabili tutti i contraccolpi sui mercati internazionali.
Ecco quindi arrivare alla Presidenza del Consiglio dei ministriMario Monti con un capolavoro del Presidente Napolitano che opera su Berlusconi una pressione fortissima affinché si dimetta, sostenuto da analoghe pressioni delle istituzioni europee. Mi sento, però, di dire che quella di Napolitano è stato un vero e proprio golpe in quanto Berlusconi non è mai stato sfiduciato dalle Camere. E questo avviene non per salvaguardare gli interessi nazionali, ma le richieste dei mercati. A meno che interessi nazionali e dei mercati coincidano, ma mi permetto di dubitare.
In ogni caso il duo Berlusconi Tremonti qualche compitino lo avevano svolto. Avviano, per esempio, l’iter legislativo per inserire nella Costituzione l’obbligo del pareggio di bilancio; alzano la pressione fiscale; approvano con il consenso dei sindacati nell’agosto 2011 un decreto legge dove l’art. 8 prevede che aziende e sindacati possono derogare con accordi locali dai contratti nazionali di lavoro e dalle stesse leggi della Repubblica. Ovviamente, e per fortuna, la Cgil non firma.
Ma con Monti arriva la valanga, inarrestabile e distruttiva. Ilfiscal compact, su volontà dell’UE, che prevede l’abbattimento del debito in vent’anni attraverso manovre finanziarie superiori ai quaranta miliardi l’anno. Al netto della crescita. Parola, quest’ultima, che viene declinata in molte forme per diversi mesi finché cade nel dimenticatoio. Poi l’ineffabile, seppure commossa, ministro Fornero promuove la riforma della Previdenza, alzando dibotto l’età pensionabile di uomini e donne che vengono condannati a lavorare per altri quattro, cinque, sei anni e più prima di approdare alla pensione. Addirittura si calcola che nel 2050 si andrà in pensione a settant’anni (????). Tanto non ci andranno loro davanti un altoforno o in una classe con venticinque marmocchi a insegnare loro a leggere, scrivere, far di conto e magari soffiarsi il naso. Coda tristissima e drammatica di questa legge è il fenomeno degli esodati che i sindacati calcolano siano trecentomila. Si tratta di lavoratrici e lavoratori messi in congedo attraverso accordi tra organizzazioni sindacali e imprese, pubbliche e private, che, però, all’improvviso, non possono più andare in pensione per la legge Fornero. Senza salario e senza pensione.
Altra bellissima legge è la riforma del mercato del lavoro che, a loro dire, doveva disciplinare e ridimensionare il lavoro precario. Il risultato finale non pare conseguire il risultato proclamato, però si interviene sull’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, sterilizzandolo. Ora licenziare è molto più facile perché anche senza giusta causa non è più obbligatorio il reintegro.
Poi abbiamo l’accordo sulla produttività firmato da Governo, Confindustria e organizzazioni sindacali tranne dalla Cgil che, secondo Monti, con questeresistenze, non tutela i lavoratori. Come si aumenterà la produttività? Conl’innovazione tecnologica e di organizzazione del lavoro? Neanche per idea. Prevale la filosofia di Marchionne, ad della Fiat: aumento dei ritmi, delle ore giornaliere di lavoro, diminuzione delle pause, della pausa pranzo se necessario, allungamento della settimana lavorativa. Cioè tutto viene scaricato sui lavoratori. D’altronde in Italia gli investimenti in ricerca scientifica e tecnologica risultano meno dell’1% del Pil, cifre ridicole sia nel settore privato che in quello pubblico. Non c’è ricaduta sul lavoro e sulle innovazioni tecnologiche. Da aggiungere che i padroni italiani sono anni che investono ben poco nelle loro aziende dirottando una parte cospicua dei profitti verso i mercati finanziari e verso il consumo. Gli indici di produttività italiani sono tra i più bassi d’Europa, ma la colpa è del lavoratore che è troppo lento. Sarà colpa anche dei giovani ricercatori se se ne vanno all’estero a lavorare con stipendi e soddisfazioni più alti.
Nel frattempo, sotto Monti, trova compimento l’iter legislativo che prevede nella carta fondamentale l’obbligo del pareggio di bilancio e viene approvata l’IMU che viene imposta anche sulla prima e unica casa su cui, magari, si sta pagando il mutuo. Una patrimoniale che colpisce pesantemente i ceti medi e i salariati che con sacrifici hanno acquistato la propria casa e magari qualcosina in più per i figli per quando cresceranno. Niente patrimoniale per i ricchi, però. Le ragioni restano fumose.
Ha ragione Paolo Ferrero, il segretario di Rifondazione comunista, quando afferma che la legislatura appena conclusa è stata costituente. Un intero patrimonio di diritti, di istituzioni quali sanità, scuola e università, sono stati bruciati all’interesse dei mercati che vedranno arrivare così una massa maggiore di risorse monetarie da utilizzare nel gioco perverso della finanza. Il destino per la grande massa degli italiani è l’impoverimento se non l’immiserimento, perché prima o poi dovranno pagarsi servizi, istruzione e salute che prima erano garantiti dalle leggi dello Stato o gratuitamente o a tariffe politiche. Non solo, ma il sistema contributivo esteso a tutti è molto meno conveniente per i lavoratori in quanto, quando abbandoneranno il lavoro, si troveranno un assegno molto basso che dovrebbe, a sentire i padroni, essere integrato da un assegno garantito da un fondo pensioni privato che ha speculato sui mercati con il loro tfr o liquidazione. In ogni caso incasseranno di meno di quanto si matura con il sistema retributivo.
Bene, tutte queste leggi e controriforme sono state approvate con i voti dei centristi, della destra e del Partito democratico di Bersani. Il quale Bersani, ripetutamente, a tutti gli organi di stampa e alle televisioni, haconfermato che non toccherà le leggi e i decreti approvati dal suo partito nella legislatura appena conclusa. La stessa cosa si evince dalla carta d’intenti che ha convocato le primarie del centrosinistra a cui hannopartecipato più di tre milioni di persone per scegliere il candidato alla Presidenza del Consiglio della coalizione. In questo gioco ha prevalso Bersani su Renzi che, politicamente, non ha vinto, ma non ha perso in quanto le sueidee, di destra nella politica economica, hanno ottenuto un ampio consenso nel partito e, data la giovane età del Sindaco di Firenze, ipotecano in una certa qual misura il futuro del Pd.
Non vorrei parlare di Nichi Vendola che con Sel aderisce al centrosinistra. Pur proclamando la sua assoluta contrarietà alle politiche di Monti –e quindi del Pd- con quest’ultimo si allea contraddicendo se stesso. O è un ingenuo e pensa di spostare a sinistra l’asse politico del Pd o mente puntando ad altro. Cosa sia questo altro non so e non mi preme saperlo.
In sostanza l’Italia, oggi, grazie alle politiche di austerità volute dall’UE, portate avanti dal Governo Monti e approvate da tutti i partiti a esclusione di Italia dei valori e Lega nord, si trova in profonda recessione con un tasso di disoccupazione che si avvicina al 12% , mentre per i giovani sale al 38%; per le donne abbiamo il dato spaventoso del 48%. Migliaia di piccole aziende, in particolare artigiane, chiudono e i salari di chi lavora, fermi da una decina di anni bastano, ma non sempre, a una esistenza appena dignitosa. I poveri in Italia sono circa otto milioni e di questi, non pochi, sono lavoratori. Nonostante questa tragedia Bersani insiste nell’ossequio alle politiche europeiste, le più responsabili di questo disastro. Parla di crescita. Ma come innescarla? Vi sono ragioni strutturali che ostano.
In Italia prevalgono le piccole e piccolissime imprese. Durantequesta crisi circa duecentomila imprese artigiane sono state chiuse. Hanno lavorato bene solo quelle dipendenti dall’industria tedesca e qua, probabilmente, stanno le ragioni dell’aumento delle nostre esportazioni. La grande industria è minoritaria. Gran parte di queste sono pubbliche. Il problema, però, sta nel venire massicciamente meno degli investimenti nel settore manifatturiero, come sopra scritto, della diminuzione conseguente della produttività e dal soccombere di alcuni settori alla concorrenza internazionale, in particolare dei paesi emergenti, il famoso Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica). Ma occorre aggiungere un’altra cosa che non viene presa in considerazione dai nostri giornalisti: il primo Governo Prodi, di centrosinistra, ha smantellato l’IRI privatizzando grandi imprese di grande nome e prestigio. L’Italtel produttrice di impianti telefonici, di cabine di commutazione, di apparecchi telefonici fissi, di cellulari e di software. Bene, la parte migliore se la sono presa i Tedeschi della Siemens che hanno smantellato l’impianto dell’Aquila, dove si costruivano i cellulari mentre la restante parte è in mano di un fondo pensioni della Cisco americana. L’Alumix, in Sardegna è finita in mano agli Americani dell’Alcoa che ha chiuso l’impianto in Sardegna settimane fa. Le acciaierie di Terni e Torino sono finite nellemani della Thyssen Krupp che ha chiuso lo stabilimento di Torino bruciando le vite di sette operai. Ha chiuso a Terni il reparto che produceva acciai speciali (brevetto dell’azienda italiana) trasferendolo in Germania e ora ha messo in vendita tutto lo stabilimento. Il resto della siderurgia italiana acquisita da Riva che ha tratto profitti enormi e oggi non vuole investire un centesimo nella bonifica degli impianti di Taranto, anzi minaccia di abbandonare tutto determinando in tal modo la morte di altri diciannove stabilimenti in Lombardia, Piemonte, Liguria e Veneto che impiegano oltre trentamila addetti con l’indotto. Nuova Pignone di Firenze, produttrice di turbine per centrali elettriche di qualsiasi tipo, acquisita dalla General Electric, americana. Motta e Alemagna, ridimensionate, comprate dalla Nestlè svizzera che nel 2009 le cede alla Bauli italiana. Fra pochi giorni, pare, un’altra industria pubblica, l’Ansaldo energia verrà ceduta a una impresa coreana. Insomma le imprese pubbliche travolte dalla mania privatizzatrice hanno determinato l’impoverimento industriale del paese con chiusure, ridimensionamenti e subalternità a interessi stranieri. Cosa dire della Dalmine che costruiva tubi per diversi usi: acquedotti, oleodotti, metanodotti, etc. Aveva, all’interno della acciaieria di Taranto, un proprio stabilimento assicurando la produzione e manutenzione delle condotte, numerosissime, all’interno della fabbrica. La sede di Bergamo è ormai un museo –e meno male che non è diventato un centro commerciale- e i padroni americani hanno ridimensionato il resto. Aggiungiamo la vicenda Fiat dove Marchionne vuole internazionalizzare e cioè spostare il cuore dell’azienda da Torino a Detroit sede della Chrysler, vediamo la gravità del processo di deindustrializzazione in atto che avrà come conseguenza un impoverimento economico, sociale, financo culturale risultando meno necessario avere una buona quota di tecnici, scienziati, ingegneri. Quindi, di quale crescita si ciancia?
Occorrerebbe una politica industriale che punti, per prima cosa, al recupero di quello che era il nostro patrimonio manifatturiero pubblico e indirizzarlo verso una produzione di beni d’uso con una tecnologia che salvaguardi l’ambiente, il tutto sostenuto da massicci investimenti nella ricerca scientifica e tecnologica. Ma non mi pare che il Pd sia interessato a questa proposta.
Tra l’altro, e in aggiunta, il Pd ha approvato la continuazione inaugurata da Berlusconi, dei tagli lineari nella scuola, nella sanità, nell’università e nei trasferimenti agli enti locali.
Parliamo di Mezzogiorno in mano a borghesie mafiose parassitarie che hanno letteralmente divorato montagne di risorse pubbliche devastando il territorio e inquinando moralmente milioni di Italiani. Anche le condizionidell’Itallia meridionale sono un ostacolo forte alla crescita.
 
La lista “Rivoluzione civile” mette radicalmente in discussione tutto quanto è stato legiferato dal Governo Berlusconi prima e dal Governo Monti poi, sostenuto, è bene ricordarlo dal Pd, dal Pdl, dai centristi. Nell’economia, nella giustizia, nel sociale, etc. etc. Vuole combattere le mafie fino a spazzarle via dalla penisola. Mette al centro la Costituzione nata dalla Resistenza al nazifascismo e offesa negli ultimi anni da pseudo riforme che ne hanno in parte alterato la sostanza, approvate sia dal centrodestra che dal centrosinistra, o, peggio, da una prassi assolutamente contraddittoria con lo spirito della Carta.
Votare “Rivoluzione civile” è il vero voto utile, perché tende a costituire in Parlamento una forza di sinistra, vera, che può assumere pienamente gli interessi, i bisogni, le aspirazioni, le speranze del mondo salariato, cioè della stragrande maggioranza del popolo italiano. Se così non fosse quei bisogni verrebbero cancellati completamente dall’agenda politica come è avvenuto nella scorsa legislatura. Queste le ragioni per un voto a “Rivoluzione civile”.