di Guglielmo Migliori – La città futura.it
Dal 21 Aprile si discute la riforma della scuola. Ora più che mai si rende necessaria una mobilitazione generale di tutte le componenti scolastiche contro una riforma liberticida e autoritaria, proseguimento ideale della Riforma Gelmini comprensiva dei commi della Legge Aprea. Un carico di provvedimenti pensati per svilire l’insegnamento e a subordinare il ruolo formativo della cultura e dell’istruzione pubbliche alle logiche di convenienza delle imprese e dei grandi capitali. Sveliamo le menzogne con cui il testo di legge nasconde la reale natura classista dei provvedimenti.
Nubi plumbee aleggiano sui destini della nostra scuola pubblica. Mentre migliaia di studenti trascorrono le loro giornate in edifici fatiscenti che cadono a pezzi, il Governo ha presentato il testo del decreto di legge sulla “Buona Scuola”. Fra i tuoni autoritari e le piogge di tagli, la riforma prospettataci dal Ministro Giannini prefigura una scuola pubblica privatizzata e in balia di crudeli logiche di competizione e di sfruttamento del lavoro giovanile.
A partire dal 21 Aprile sono previsti i primi voti sulla riforma della scuola. Ora più che mai si rende necessaria una mobilitazione generale di tutte le componenti scolastiche contro una riforma liberticida e autoritaria, proseguimento ideale della Riforma Gelmini comprensiva dei commi della Legge Aprea. Se davvero esiste una coscienza comune all’orizzonte scolastico – una vera coscienza di classe – allora è giunto il momento di dimostrarlo: non possiamo rimanere silenti di fronte a un simile carico di provvedimenti pensati per svilire l’insegnamento e a subordinare il ruolo formativo della cultura e dell’istruzione pubbliche alle logiche di convenienza delle imprese e dei grandi capitali.
Il governo Renzi ha ammantato questo decreto di legge con una veste subdola e ideologica; le istanze neoliberiste in essa contenute, volte senza dubbio a liquidare definitivamente l’ingombrante sistema della scuola pubblica, sono astutamente mascherate come istanze del progresso e della modernità. Impoverimenti e riforme strutturali che, nella loro gravità, vengono nascoste dietro anglofoni prestiti linguistici, pacchiani riferimenti alla “scuola 2.0” e alla modernità dilagante, tanto funzionale quanto aderente al “balordissimo senso comune”, per citare Gramsci. Martellante e onnipresente è il riferimento, in questo testo, a temi quali “valutazione”, “competizione”, “curriculum”, esattamente nell’ottica decisionista e subordinante delle menti che l’hanno partorito. Non sono praticamente mai citati in esso, invece, i valori e i principi posti alla base del nostro Stato e della nostra Costituzione, ossia solidarietà, formazione, inclusività, laicità, pubblicità.
Questo breve scritto si pone nell’ottica di smascherare le menzogne e l’ingannevole veste linguistica che il testo di legge presenta, al fine di svelarne la natura classista e violenta.
1. “Un preside con più poteri garantisce più autonomia alla scuola.”
Non è vero: se il DDL verrà approvato, il Dirigente Scolastico potrà nominare a suo piacimento non solo – come già avviene – i “docenti di staff” (i vicepresidi), ma anche i “docenti mentor”, ossia insegnanti incaricati della valutazione dei colleghi. Visto che tale meccanismo valutativo avrà anche un discreto peso economico sulla retribuzione salariale degli insegnanti, è evidente che queste squadre dirette e formate dal preside stesso avranno una notevole forza di ricatto sugli insegnanti. Il super-preside potrà inoltre scegliere i docenti per la propria scuola a piacimento dagli albi territoriali, scavalcando ogni graduatoria o criterio di oggettività ed innescando una serie di dinamiche che con estrema facilità possono sfociare nel nepotismo e nel clientelismo.
Un “preside assoluto” rappresenterebbe la definitiva svolta del nostro sistema scolastico in senso autoritario e clientelare.
2. L’entrata di finanziatori privati nella scuola porterà nuove risorse.
Il degrado e l’assenza di investimenti pubblici nel sistema-scuola sono costanti talmente radicate nel nostro paese da apparirci quasi intrinseche e naturali. L’errore di fondo, chiaramente, ha sede in seno alle istituzioni che decidono di non finanziare l’istruzione pubblica, non riconoscendole il nobile compito di formare i cittadini del domani; in nome del pareggio di bilancio e del contenimento della spesa pubblica, la scuola italiana – una delle più efficienti d’Europa – ha subìto negli anni numerosi tentativi di riforma e consistenti tagli sull’edilizia, sulla manutenzione, sui materiali didattici e sull’assunzione di nuovo personale
L’Italia non investe sul suo futuro (solo il 4,6% del P.I.L., una delle percentuali più basse d’Europa) e al contempo chiede aiuto ai privati per sopperire alle proprie mancanze. Ma perché mai un privato dovrebbe decidere di aiutare degli studenti?
La risposta è scontata: vantaggi economici. Le implicazioni?
I privati entreranno negli organi collegiali delle scuole, al pari di studenti, genitori e insegnanti, ma in numero molto più consistente: le scelte delle singole scuole saranno di fatto calate dall’alto dai nuovi padroni degli istituti superiori, che potranno realizzare nei loro nuovi feudi i progetti delle proprie imprese soffocando le decisioni delle componenti scolastiche e stravolgendo il concetto stesso di scuola pubblica.
Nota bene: questo punto riprende la Legge Aprea, bloccata nel 2012 dal movimento studentesco e dalla dai docenti di tutta Italia. Perché in prossimità dello stesso provvedimento, inasprito ed ampliato, non si accende una simile mobilitazione?
3. “L’alternanza scuola-lavoro permetterà agli studenti di trovare più facilmente sbocchi lavorativi.”
Al contrario, i progetti lavorativi concordati nei cosiddetti “Piani Triennali” sottrarranno centinaia di migliaia di posti lavoro retribuiti a professionisti già impiegati. L’alternanza scuola-lavoro, prevista in una quota di 400 ore per gli istituti tecnici e professionali e di 200 per i licei, potrà svolgersi mediante sostituzione o complementarietà all’insegnamento in classe; nel primo caso, migliaia di studenti verrebbero strappati dalle scuole per andare a lavorare gratuitamente presso una qualche azienda; nel secondo caso, perderebbero fino a 4 ore a settimana di lezioni, per un monte- ore di circa 133 ore all’anno.
Qualunque sia la modalità con cui si svolgeranno questi progetti, rimane il fatto, come ha scritto Rino Capasso (Cobas) nella sua dispensa sul tema, che “si tratta di due fondamentali strumenti di subordinazione degli obiettivi didattici e culturali agli interessi imprenditoriali”. Il lavoro estivo gratuito di cui ha parlato anche il ministro Poletti, che dovrebbe “togliere gli studenti dalle strade” ed impegnarli anche d’estate, si inserisce nell’ottica di un moderno schiavismo giovanile 2.0, essendo a titolo gratuito e puramente “curricolare”.
4. “La competizione renderà più efficiente la scuola.”
C’è chi ne parla come fossero un concetto unico, ma meritocrazia e competizione sono due cose diverse: la prima premia il merito, la seconda genera odio, differenze e prevaricazione.
L’introduzione di spietate forme di competizione all’interno della scuola pubblica – stilema tipicamente neoliberista che Renzi applica alla perfezione – non si limiterà solo agli insegnanti (i quali, peraltro, saranno soggetti al controllo e al ricatto economico dei docenti “staff” e “mentor”), ma anche fra gli stessi studenti, posti di fronte a strumenti di controllo e di verifica sempre più schematici, piatti e nozionistici.
È efficiente questo modello, o si tratterà semplicemente di un nuovo strumento di ricatto? Sarà una gara al rialzo o una competizione al ribasso?
5. “Finanziare e agevolare le scuole private aumenta l’offerta scolastica ed è espressione di pluralismo democratico.”
Nel nostro paese, il 90% degli studenti frequenta le scuole pubbliche, e soltanto un 10% scarso quelle private. Le motivazioni sono da ricercare nei presupposti economici di ogni famiglia: le consistenti rette annuali delle scuole private e paritarie rasentano le migliaia di euro, e non tutti i figli dei poveri lavoratori dipendenti dispongono di un tesoretto da investirvi. Tuttavia, nonostante la quasi totalità degli alunni frequentino il sistema d’istruzione pubblica, la quantità di finanziamenti pubblici per la scuola (il 48,9% circa della spesa pubblica) viene ripartito praticamente equamente fra scuole private e scuole pubbliche. È giusto questo?
La democrazia è un concetto ampio, e che non si può limitare alla sua teorizzazione formale: essa, per essere pienamente effettiva, necessita di un’applicazione concreta nella realtà, e tale applicazione consiste nella creazione delle condizioni materiali che permettano anche ai figli di un operaio di iscriversi agli istituti che preferiscono o che sono considerati “migliori”. Ma visto che queste condizioni non ci sono, il sistema che ci troviamo dinanzi è un sistema iniquo: lo Stato in primis si fa difensore di un privilegio classista e prevaricatore.
Come se non bastasse, visto che il DDL prevede che le scuole-aziende debbano accaparrarsi ferocemente i finanziamenti privati, il gap fra le risorse economiche del pubblico e del privato si acuirà ulteriormente. Nel caso fosse poi approvato il comma per il quale genitori, finanziatori ed imprese private potrebbero destinare il 5 per mille anche alle scuole private e paritarie (oltretutto già esentate dal pagamento dell’IMU), il nostro già vessato sistema scolastico sarebbe allora costretto a fare i conti con ulteriori disuguaglianze e disparità: nelle scuole di periferia, negli istituti tecnici e professionali e in quelli dei quartieri popolari i figli di operai, precari e immigrati si troverebbero ben presto in scuole povere di risorse, mentre i benestanti liceali dei quartieri alti e delle scuole “prestigiose” sguazzerebbero nell’oro.
Un po’ come negli iper-classisti paesi anglosassoni, i ricchi frequenterebbero scuole di serie A, i poveri di serie B. Ma il diritto allo studio è un diritto di tutti: esistono forse libertà per soli ricchi? Inoltre, nessuna forma di redistribuzione degli introiti è prevista dalla norma: non avrebbe più senso donare il 5 per mille al Ministero dell’Istruzione che, a seconda delle necessità, potrebbe distribuire il denaro in entrata laddove sono più necessarie spese e investimenti?
Se a ciò aggiungiamo il fatto che verranno incentivate le erogazioni liberali con credito di imposta (65% nel 2015 e 50% dagli anni successivi) e che verranno applicate detrazioni di imposta del 19% per le spese di iscrizione alle scuole private, possiamo stimare regali più che milionari al privilegio dei privati (da aggiungersi agli oltre 700 milioni di Euro di finanziamento diretto destinate quest’anno dallo Stato alle scuole paritarie).
Svelata la vera natura di questa riforma, lancio il mio appello a tutti coloro che si sentono indignati e non possono tollerare un simile oltraggio ai nostri valori e alla nostra Costituzione. Parafrasando il partigiano Hessel, grido che non basta soltanto indignarsi: è ora di agire e di agitarsi.
Se vogliamo che questo decreto non venga approvato il momento per impedirlo è ora!