Il 5 maggio del 1971 fu ucciso il Procuratore capo della Repubblica di Palermo, Pietro Scaglione, definito – anche in sede giurisdizionale penale – “un magistrato integerrimo, dotato di eccezionali capacità professionali e di assoluta onestà morale, persecutore spietato della mafia”.
Il quarantaduesimo anniversario dell’omicidio del procuratore Scaglione e del suo fedele agente di custodia Antonio Lorusso sarà ricordato con una S. Messa (celebrata in forma privata dai familiari, a Palermo, lunedì 6 maggio) e con l’intitolazione di una strada nel Comune di Castrofilippo (Agrigento). La Commissione Straordinaria di Castrofilippo inaugurerà la “Via Pietro Scaglione” durante una manifestazione pubblica in programma venerdì 10 maggio. In passato, al magistrato Scaglione sono state dedicate altre strade a Palermo e in altri comuni.
Nella sua lunga carriera di giudice e, soprattutto, di pubblico ministero, Pietro Scaglione si occupò dei principali misteri siciliani: dal banditismo del dopoguerra agli assassini dei sindacalisti Placido Rizzotto e Salvatore Carnevale, dalla strage di Portella della Ginestra alla scomparsa del giornalista Mauro De Mauro.
Per quanto riguarda gli “Atti relativi ai mandanti della strage di Portella della Ginestra”, nelle Conclusioni del PM Pietro Scaglione (datate 31 agosto 1953), i moventi principali accreditati furono i seguenti: la “difesa del latifondo e dei latifondisti”; la lotta “ad oltranza” contro il comunismo che Salvatore Giuliano “mostrò sempre di odiare e di osteggiare”; la volontà da parte dei banditi di accreditarsi come “i debellatori del comunismo”, per poi ottenere l’amnistia; la volontà di “usurpazione dei poteri di polizia devoluti allo Stato”; la “punizione” contro i contadini che cacciavano i banditi dalle campagne.
In relazione agli assassini dei sindacalisti siciliani negli anni Quaranta e Cinquanta, l’allora sostituto procuratore generale Pietro Scaglione chiese l’ergastolo per i boss imputati nel processo Rizzotto e il rinvio a giudizio per i campieri accusati dell’omicidio Carnevale. Nelle sue dure requisitorie, il pm Scaglione parlò di “febbre della terra” ed esaltò le lotte sindacali.
Dopo la strage di Ciaculli del 1963, grazie soprattutto alle inchieste condotte dall’Ufficio Istruzione del Tribunale di Palermo (guidato da Cesare Terranova) e dalla Procura della Repubblica (diretta da Pietro Scaglione) “le organizzazioni mafiose furono scardinate e disperse”, come si legge nella Relazione conclusiva della Commissione parlamentare antimafia del 1976.
Secondo quanto scrisse il giornalista Mario Francese (ucciso dalla mafia nel 1979), il Procuratore Pietro Scaglione “fu convinto assertore che la mafia aveva origini politiche e che i mafiosi di maggior rilievo bisognava snidarli nelle pubbliche amministrazioni. E’ il tempo del cosiddetto braccio di ferro tra l’alto magistrato e i politici, il tempo in cui la “linea” Scaglione portò ad una serie di procedimenti per peculato o per interesse privato in atti di ufficio nei confronti di amministratori comunali e di enti pubblici”; il riacutizzarsi del fenomeno mafioso, nel biennio 1969-1970, “aveva indotto Scaglione ad intensificare la sua opera di bonifica sociale”, infatti, richieste di “misure di prevenzione e procedimenti contro pubblici amministratori ……. hanno caratterizzato l’ultimo periodo di attività del Procuratore capo della Repubblica”. (M. FRANCESE, Il giudice degli anni più caldi, in il Giornale di Sicilia, 6 maggio 1971, p. 3).
In questo contesto – come affermò Paolo Borsellino (in La Sicilia, 2 febbraio 1987, p.10) – “la mafia condusse una campagna di eliminazione sistematica degli investigatori che intuirono qualcosa. Le cosche sapevano che erano isolati, che dietro di loro non c’era lo Stato e che la loro morte avrebbe ritardato le scoperte. Isolati, uccisi, quegli uomini furono persino calunniati. Accadde così per Scaglione [….]”.
L’uccisione del procuratore Scaglione – come scrisse, a sua volta, Giovanni Falcone (in La Posta in gioco, edizioni Bur, 2011, p. 320) – ebbe sicuramente “lo scopo di dimostrare a tutti che Cosa nostra non soltanto non era stata intimidita dalla repressione giudiziaria, ma che era sempre pronta a colpire chiunque ostacolasse il suo cammino”.
Il Procuratore Scaglione svolse, con impegno e dedizione, anche la funzione di Presidente del Consiglio di Patronato per l’assistenza alle famiglie dei detenuti ed ai soggetti liberati dal carcere, promuovendo, tra l’altro, la costruzione di un asilo nido; per queste attività sociali, gli fu conferito dal Ministero della giustizia il Diploma di primo grado al merito della redenzione sociale, con facoltà di fregiarsi della relativa medaglia d’oro. Infine, con Decreto dello stesso Ministero della Giustizia del 1991, previo parere favorevole del Consiglio Superiore della Magistratura, Pietro Scaglione fu riconosciuto “magistrato caduto vittima del dovere e della mafia”.
I familiari del Procuratore Scaglione