di Paolo Ferrero per Liberazione del 4 dicembre 2009
Sono arrivati nel cuore di Roma, percorrendo migliaia di chilometri con i loro trattori, per rivendicare il mantenimento del tessuto produttivo di lavoro e culture nelle campagne,per ricordare che questo è un interesse collettivo, una necessità che ci chiama in causa tutti.
Li avevo incontrati qualche settimana fa, sempre a Roma, ad un presidio in cui avevano portato i loro prodotti, il frutto del loro lavoro.
Erano in Piazza, gli agricoltori dei comitati e delle realtà di base, con le loro bandiere, cartelli e striscioni di diverse regioni. Parlavano dialetti diversi ma davano subito il senso di una grande unità. Portavano con loro l’orgoglio della gente che lavora, la dignità di chi ha un compito sociale consolidato in millenni di storia.
Offrivano, insieme ai volantini con le proposte e gli obiettivi della loro lotta, il pane. Per loro produrre il grano costa almeno 27 centesimi al chilo, glielo pagano 13 centesimi, mentre un Kg di pane costa ai cittadini anche 3 o 4 Euro al Kg.!
Mi spiegavano che questa crisi nelle campagne è mortale, riguarda tutti i settori produttivi, si manifesta nella forbice sempre più larga fra i costi di produzione e i prezzi al campo, ma ha ragioni ben più lontane e strutturali. È la crisi del modello della competizione neoliberista, che ha stravolto l’equilibrio millenario fra le aree rurali e le città. Analisi lucida espressa da soggetti che, come loro stessi ammettono, hanno creduto alle promesse che la globalizzazione dei mercati avrebbe portato benessere e prosperità per tutti. Oggi, la loro mobilitazione parla di un salto nella consapevolezza del fallimento di quel modello e di come si avanzi l’idea che la crisi sia il prodotto diretto di scelte politiche e sociali sbagliate.
È il prodotto di un’Europa delle privatizzazioni e della finanza che smantella i sistemi di welfare, di cui la Politica Agricola Comune è stata per decenni un pilastro, che sceglie di fare a meno del lavoro dei propri contadini e che considera l’Italia come una piattaforma commerciale nel centro del Mediterraneo.
Un’ area mediterranea di cui sfruttare terra, lavoro e genti della sponda del Nord Africa dove spostare le produzioni agroalimentari da importare come “materia prima” per confezionare il cibo spesso etichettato dai tanti marchi di made in Italy, sempre più proprietà di multinazionali ed investitori finanziari.
Una lettura dei processi in atto comune ai tanti soggetti sociali colpiti dalla brutalità del capitalismo del nostro tempo,pronto a consegnare a noi campagne desertificate senza uomini e donne al lavoro e cittadini impoveriti nel diritto fondamentale dell’accesso al cibo.
Su questo terreno si articola il conflitto in Italia e nel resto del mondo ed il movimento per la Sovranità Alimentare ha conquistato credibilità nelle aree rurali e fra i movimenti sociali urbani.
È stato naturale, in nome di questa comune lettura, portare l’esperienza dei GAP, i Gruppi di Acquisto Popolare, che nei mesi scorsi ha mobilitato il nostro Partito i costruendo reti e relazioni attorno al prezzo ed al diritto al cibo.
Lo scambio di esperienze fra soggetti diversi, chi produce e chi consuma il cibo, può essere un terreno importante di crescita di un progetto comune di fuoriuscita dalla crisi del capitalismo neoliberista.
A me sembra che gli agricoltori in mobilitazione ci chiedano, a noi ed alle sinistre in campo, di riflettere sulla rottura che nel dibattito, nella produzione di senso, cultura e proposta politica si è prodotta con chi vive nelle campagne italiane. Una rottura che ha finito per archiviare la questione agraria come “vecchio armamentario del passato”, mentre, proprio sulla costruzione del dominio agroalimentare, il capitale globale edificava uno dei suoi pilastri più moderni e brutali.
Gli agricoltori in mobilitazione in questi mesi ci chiedono di ritornare “in campo”, di restituire alla questione agraria il senso di una sinistra che ricuce i rapporti con la società vera, i suoi protagonisti, le loro aspirazioni.
Ci chiedono di contribuire a riaprire nella società la partita per la sopravvivenza del ruolo dell’agricoltura, facendo la nostra parte e, dunque, provando ad inserire nell’agenda sociale e politica le istanze e gli obiettivi di una nuova Riforma dell’Agroalimentare.
Mi hanno chiesto di scrivere: questo editoriale è una prima risposta. Loro hanno rispettato l’impegno, duro, gravoso e forte nel grido simbolico che stanno lanciando al Paese e oggi sono, per la seconda volta in venti giorni, in manifestazione con i loro trattori a Roma.
La nostra accoglienza non è solo un atto dovuto: è l’impegno a chiamare noi stessi ed il corpo più ampio delle sinistre, ad invadere il campo con loro, a misurarci in un impegno comune.