di Pasquale Rosania, coordinatore Giovani Comunisti Federazione di Messina

Nell’epoca ormai trascorsa in cui l’economia non era pervasa dalla superstizione, quando lo Stato (e con questo termine intendo le Istituzioni, dato che oggi, per fortuna, ne possediamo altre anche di sovrastatali), di fronte ad una situazione di crisi come quella in corso e di fronte all’esigenza di destinare moneta a determinati soggetti, decideva semplicemente di nazionalizzare le banche e verificare direttamente che il denaro emesso giungesse alla destinazione desiderata.
Ora, siccome questo semplice passaggio non si fa perché non si fa, o perché è brutto e cattivo, o peggio ancora perché è comunista, i soldi si danno alle banche, con la struggente preghierina di farne buon uso. Che è un po’ come se io volessi dare dei soldi a te e fermassi il primo che incontro per strada e li dessi a lui pregandolo di farteli avere. Ovviamente il risultato è che, se lo troveranno conveniente (e lo trovano conveniente), le banche riaffideranno i capitali alla speculazione finanziaria, che poi è quella che ha scatenato l’attuale crisi, ricreando la famosa gigantesca bolla, pronta al primo scossone a franare sull’economia reale e, quindi, sulla produzione, nonché, buon ultimo, sul lavoro dipendente. Senza contare che lo stesso destinatario che la nostra politica immagina per questi investimenti è del tutto sbagliato. Le crisi che affrontiamo, anche se di provenienza finanziaria, sono crisi “cicliche di sovrapproduzione”: dove “cicliche” significa che non se ne esce se non cambiando sistema economico, dunque si ripropongono “ciclicamente” appunto;  “di sovrapproduzione” significa che la merce prodotta non trova più sbocchi, ovvero non viene venduta, l’offerta è maggiore della domanda e non c’è rimedio se non licenziare. Questo nonostante eminenti teorici,  i quali poi sono gli stessi che spirano le nostre manovre economiche, si ostinino a sostenere che sia l’offerta a creare la domanda o che esista chissà quale spirito divino che con la sua mano invisibile governi il mercato.
La questione è semplice.
Se io produco 20 camicie e non le posso vendere perché i potenziali acquirenti  non hanno denaro a sufficienza, lo Stato (o la banca, s’intende)  è logico che presti denaro a me o ai miei acquirenti? E se su 20 potenziali acquirenti, 5 sono miei dipendenti, se li licenzio, potranno acquistare le mie camicie? Facendo riferimento al nostro esempio, lo Stato sta erogando denaro al produttore di camicie e in più lo facilita nel licenziare i dipendenti smantellando i diritti di questi ultimi. Ora, la risposta a tutto ciò non può non essere un cambio di rotta. Perché paradossalmente, attualmente non basterebbe nemmeno che le Istituzioni rinsavissero e decidessero improvvisamente di fregarsene della moneta e rilanciare i consumi. Probabilmente usciremmo più speditamente dalla crisi, pure a discapito del potere d’acquisto negli scambi internazionali; ma usciremmo, appunto, dalla crisi in atto, non dalla “ciclicità” del problema. A nessuno è venuto in mente che sarebbe possibile impedire agli speculatori di speculare, agli imprenditori di delocalizzare e licenziare, imporre maggiori tasse ai redditi alti e contribuire al consumo per quelli più bassi. Sempre perché è brutto e cattivo, perché non si fa, o peggio ancora perché è comunista. Nessuno ha pensato che se c’è più gente in grado di spendere, ne beneficiamo tutti. La competizione internazionale si sta spostando sul pericolosissimo piano dell’abbattimento dei costi di produzione, nello specifico del costo del lavoro, ovverosia licenziamenti facili e salari bassi. Nel XXI secolo la chiave dello sviluppo (sia umano che industriale) non può non essere la ricchezza diffusa. Più la popolazione è ricca, più gli imprenditori stessi sono in grado di produrre merci che dovranno pur vendere. Quando sentiamo che l’azienda tale piuttosto che la talaltra è in calo nelle vendite, non è per la congiuntura internazionale ma perché i cittadini, tutti, hanno meno denaro e dunque meno capacità d’acquisto. E adesso ci troviamo nella situazione in cui la popolazione è ridotta allo stremo, spende poco e (non è un controsenso) risparmia ancora meno, e il capitale riceve un profluvio di denaro e agevolazioni legislative e produce….. ma produce per chi? La competizione internazionale, oggi, va giocata sulla qualità dei prodotti e sulla qualità nella formazione (scuola, università e ricerca) di figure professionali che siano in grado di alzare l’asticella dello sviluppo ed aprire nuove frontiere; va indirizzata nella cooperazione più diffusa, ampliando i contenitori, rafforzando le organizzazioni sovrastatali e dando obiettivi e regole al mercato che da selvaggio deve diventare umano e positivo fattore di avanzamento globale. Questi sono i contenuti di una sinistra moderna: progresso e sviluppo socialmente ed ecologicamente sostenibile, il che va di pari passo con lo sviluppo complessivamente inteso, e non l’opposto. Attualmente, ci troviamo immersi in un sistema determinato da teorie economiche vuote e piene di tabù ideologici che dobbiamo riuscire a sfatare, convincendo anche gli eminenti soggetti che ci governano che essere anticomunisti a tutti i costi non può voler dire mancare di buon senso e mandare il mondo in rovina.
 

Pasquale Rosania, coordinatore Giovani Comunisti Federazione di Messina