Il 21 gennaio del 1921, con il Congresso di Livorno in cui si consumò lo strappo con i socialisti di Turati, nasceva il Partito Comunista d’Italia. Un anniversario ricordato in questi giorni dai media, che sono tornati a fare i conti con un pezzo importante della storia italiana, che continua suscitare interpretazioni divergenti. Nei mesi scorsi si è ricostituito a Marsala il circolo di Rifondazione Comunista, che attraverso il segretario comunale Davide Licari sta lavorando per ridare al partito un ruolo centrale nel dibattito politico della comunità lilibetana, con un occhio al patrimonio di valori del passato e uno alle sfide della società contemporanea.

In questi giorni si stanno celebrando i cento anni dalla nascita del Pci. Cos’è rimasto, oggi, della grande eredità politica del partito di Togliatti e Berlinguer?

L’esperienza centenaria del partito comunista, nato Partito Comunista d’Italia a Livorno il 21 gennaio 1921 e rinominato Partito Comunista Italiano successivamente, durante la clandestinità e la lotta contro il fascismo, si è dispersa progressivamente a seguito dei numerosi cambi di nome e d’identità che hanno seguito la svolta della Bolognina di Occhetto, il quale intendeva chiudere con l’esperienza della Terza Internazionale aspirando a fare rientrare quel corpo-partito nei ranghi del socialismo europeo. A oggi del partito che fu di Gramsci, di Terracini, di Togliatti, di Longo e di Berlinguer rimane la consapevolezza di ciò che fu il partito di massa, il partito dei lavoratori, il partito della classe operaia, una consapevolezza che anima ancora migliaia di militanti sparsi per tutta Italia, ma divisi. L’eredità del PCI esiste ancora e può essere raccolta, rielaborata, rilanciata. Oggi più che mai la pandemia ha evidenziato le profonde contraddizioni presenti nel nostro sistema e le differenze sociali sono aumentate radicalmente a vantaggio dei pochi e a danno dei molti. Oggi 26 miliardari posseggono le ricchezze di 3,8 miliardi di persone, e questo dato risale a prima della pandemia. L’eredità del PCI deve essere recuperata insieme alle esperienze della nuova sinistra sessantottina.

I valori e gli ideali comunisti possono ancora suscitare entusiasmo e attenzione tra le nuove generazioni, nate e cresciute in una società liquida, segnata dal tramonto delle ideologie?

Secondo alcuni studi condotti recentemente negli Stati Uniti il termine socialismo raccoglie l’entusiasmo del 70% dei giovani americani tra i 23 e i 38 anni di età, i cosiddetti “Millennials”. La recente vittoria di Biden su Trump è stata possibile solamente grazie al grande movimento di opinione che è stato organizzato e lanciato da Bernie Sanders: mi riferisco a Black Lives Matters, alle militanti femministe, agli ambientalisti. I giovani di oggi sono più sensibili verso certe tematiche e la profonda connessione con il mondo permette loro di essere costantemente aggiornati. Ambiente, diritti civili, diritti sociali, mai come oggi le lotte si stanno intrecciando a formare un unico fronte di lotta. Probabilmente la società è più liquida rispetto ai tempi di Berlinguer, ma le idee sono ancora capaci di attrarre e organizzare le forze e il consenso. Tutto si riduce alla visione del mondo: la tutela dell’ambiente, dei diritti di tutti, il ripudio della guerra. Se Lenin riuscì a fare la rivoluzione poté grazie alla semplicità difficile a farsi: la pace e la terra ai contadini. Sono sempre le idee semplici, quelle che proiettano la visione del mondo, ad attrarre l’entusiasmo.

La storia della sinistra italiana, proprio a partire dal 1921, è piena di diaspore e scissioni. E’ immaginabile tornare a parlare di unità nel campo progressista?

L’unità della sinistra mi ricorda quell’opera del teatro dell’assurdo, Aspettando Godot, tutti la invocano ma nessuno la fa, e nel frattempo il popolo della sinistra attende. Mi ricollego alla precedente risposta, occorre ripartire da pochi e semplici concetti, che in verità implicano una precisa scelta di campo. Qual è la visione del mondo che la sinistra di oggi intende perseguire? Per intenderci, è difficile stare al tempo stesso con i lavoratori e con i padroni, con chi sfrutta e con chi è sfruttato. Una scelta va fatta, Berlinguer l’avrebbe fatta. E stiamo parlando di chi ha ipotizzato il compromesso storico. Per questo noi di Rifondazione abbiamo deciso di intitolare alla sua figura il nostro circolo di Marsala.

Marsala ha una storia di città progressista che adesso si ritrova a fare i conti con una rappresentanza nelle istituzioni ridotta al minimo. Quale direzione ritiene auspicabile per ricostruire il rapporto di fiducia con la comunità?

Durante il Ventennio il partito comunista poteva contare sulle forze di 25.000 militanti, una inezia. Quando i partigiani scesero dalle montagne e i prigionieri politici, prevalentemente comunisti e socialisti, uscirono dalle prigioni, e tra questi vorrei citare Umberto Terracini del PCI, firmatario della Costituzione e recordman di anni di prigionia durante la dittatura, lavorarono all’interno dei territori, nelle lotte contadine e operaie, e il partito raggiunse i 2 milioni di militanti. La storia ci insegna che la presenza nei territori, tra la gente, è fondamentale per la costruzione di una forza popolare forte e diffusa orizzontalmente. Non voglio dettare ad altre formazioni politiche locali la linea più giusta da perseguire, ma ciò è quanto auspico di riuscire a fare insieme ai compagni di Rifondazione Comunista a Marsala e nel territorio della provincia di Trapani. Servirà tempo, lavoro e pazienza.

Intervista tratta da ItacaNotizie