di Maria R. Calderoni, Liberazione del 18/06/2009
E’ venuto appositamente per la Festa di Liberazione ; è una personalità cubana di primo piano e questo ci dà qualche motivo di orgoglio, ebbene sì. Se permettete, qui davanti al nostro taccuino abbiamo Raymundo Navarro Fernàndez, deputato, esponente del Partito comunista cubano, membro della segreteria nazionale della Ctc (sta per Central de Trabajadores de Cuba, vale a dire la Cgil dell’Isla). 45 anni, sposato, due figli, di professione medico di famiglia. Compagnero, bel sorriso aperto, semplice, senza cerimonie – «ci diamo del tu?» -, un incontro franco.Deputato? Ci viene subito una curiosità fuori tema, dimmi, Raymundo, qual è il tuo stipendio di deputato? Sguardo sorpreso: «Non abbiamo stipendio in quanto deputati». E quindi lui continua a percepire quanto guadagnava prima, da medico. «Ci paga il popolo. E il popolo ci ha già pagato». Sguardo cubano bello dritto: «Te lo spiego raccontando di me stesso. Mia madre aveva la quarta elementare, mio padre la terza media, erano poveri, entrambi nati e cresciuti prima della Revoluciòn. Ebbene, io sono nato e cresciuto dopo la Revoluciòn, e sono medico, gli altri due miei fratelli sono medici, anche se la mia famiglia era povera. Questa è la differenza. E per questo dico che il popolo mi ha già pagato».
Omettiamo di fargli sapere di preciso quanto guadagna da noi un deputato e gli poniamo la prima domanda: com’è fare il sindacalista a Cuba?
La Ctc è una grande organizzazione, cui sono iscritti 3 milioni e mezzo di lavoratori, sui 5,8 che rappresentano la forza lavoro attiva di Cuba. Con una lunga storia: nata nel’39, ha conosciuto il regime di Batista e si è poi riorganizzata e consolidata dopo il ’59, con la vittoria di Castro. Sindacato a pieno titolo, dunque, su due livelli: «Da un lato,rappresentare i lavoratori davanti all’Amministrazione; e, dall’altro, impegnarsi nei collettivi di lavoro per il rispetto dei programmi e degli obiettivi concordati sul piano produttivo. Tenendo conto che a Cuba non esiste la proprietà privata. Un movimento sindacale, il nostro, che non solo si fa carico delle rivendicazioni dei lavoratori, ma si preoccupa anche dello sviluppo della società. A tutti i livelli e in tutto il Paese».
Anche con lo sciopero, magari? «Sì. Non c’è niente a Cuba che possa impedire di fare uno sciopero». Però non ne avete mai fatto uno, scusa Raymundo se te lo faccio notare. «Vero. Fino ad oggi non se ne è sentita la necessità.Contestazioni, rivendicazioni ci sono. Ma non sono contraddizioni, conflitti antagonistici».
E’ diverso, d’accordo; ma magari non tutto fila via con perfetta armonia; e magari nemmeno a Cuba la Rivoluzione è “un cavallo bianco che non suda”. Vero, lo ha riconosciuto anche l’Oil, il vostro livello welfare è eccellente, scuola, salute, infanzia, università, cultura, sport. Però, per esempio, si è scritto e si scrive molto, sui nostri giornali, circa il basso livello dei salari cubani. Ivi compresi quelli dei lavoratori intellettuali, medici, ingegneri, professori, maestri. «Sì, vero. I nostri salari sono bassi. Sono insufficienti. Largamente insufficienti. E infatti la Ctc si batte sul fronte salari. Che purtroppo restano commisurati alle condizioni economiche del Paese. Ma, detto questo, è giusto aggiungere l’altro lato della situazione. Al salario vero e proprio, vanno sommate altre voci. La salute è gratuita, l’educazione è gratuita (dall’asilo all’università), è gratuita la partecipazione alle attività ricreative, culturali, sportive. Tutto quello cioè che noi chiamiamo salario indiretto; messo tutto insieme e fatti i debiti conti, il valore totale non sembra più tanto basso, anzi somiglia molto a quello vostro».
Tasso di disoccupazione all’1,9; Pil 2008 piazzato ad oltre il 4 per cento; e questo nonostante i tre cicloni che hanno devastato l’Isola, «danni enormi e almeno sei anni per ricostruire». Sono passati vent’anni da quel terribile “periodo speciale”, quando il crollo dell’Urss ha lasciato il Paese a terra di tutto; solo ora Cuba comincia a respirare, «diciamo da appena qualche anno».
Lo scenario è molto cambiato, il “cortile di casa” non è più quello, yankee go home, l’impossibile è accaduto. In meno di un decennio otto stati dell’America latina – Brasile, Argentina, Venezuela, Uruguay, Ecuador, Bolivia, Nicaragua e anche il Cile – hanno voltato pagina, «trent’anni di neoliberismo sotto il tallone Usa hanno devastato il continente latino-americano, ma la lotta dei popoli ha portato alla liberazione economica e democratica. Cuba oggi non è più sola».
Lo sottolinea anche il segretario del Prc Paolo Ferrero al dibattito sui cinquant’anni della Revoluciòn che si svolge qui alla Festa con la partecipazione dell’ospite d’onore, Raymundo Navarro Fernàndez: «Cuba ha aperto una porta per sé, e l’ha aperta anche per gli altri».
Cuba respira, la nuova America latina fa bene non solo all’orgoglio dell’Isla rebelde, fa bene anche alla sua economia, alla sua bilancia commerciale. «L’Alba – Alternativa Boliveriana per le Americhe – è un accordo di interscambio commerciale, di integrazione e di appoggio reciproco. Per esempio è sorto il PetrolCaribe, interscambio di petrolio, però con condizioni di pagamento e agevolazione fra Paesi ben diversi dai metodi praticati in era di rapina capitalistica».
E, sì, la Cina è vicina. «Non da adesso – dice Raymundo -, la Cina ci è sempre stata vicina e solidale, anche durante il “periodo speciale”. Ci ha aiutato e sostenuto. Oggi lo fa molto di più, tra i nostri due paesi c’è un grande rapporto di fiducia e reciproco scambio, di mutuo aiuto e rispetto. No, tra noi niente legge del pesce grosso che divora quello piccolo». Già, la Cina ad esempio compra il nickel cubano, ma non certo a prezzi forzatamente ribassati: come trent’anni fa, su imposizione Usa, il civile Occidente faceva con lo zucchero. Ad esempio.
Non quello che Pangloss chiamerebbe il migliore dei paesi possibili: Cuba i suoi problemi ce li ha, e anche pesanti; e anche aggravati dalla crisi globale in atto, che morde non poco anche lì. «Dobbiamo importare anche il fabbisogno agricolo e oggi il sussidio per l’alimentazione ci costa di più. Siamo un paese grande produttore di tabacco e oggi ne esportiamo molte tonnellate in meno. La protezione sociale di cui Cuba è dotata, fa sì che la crisi non ricada rovinosamente sulla popolazione, ma il contraccolpo c’è e forte».
Aspettando Obama (ma non troppo…). Il maledetto embargo è sempre lì, dopo dieci presidenti Usa: «Vedremo l’undicesimo.
Attendiamo gesti concreti. Per ora constatiamo che è cambiato l’uomo, non è cambiato il sistema».
La “libreta” dunque c’è sempre, c’è sempre la “povertà condivisa”. E la famosa esportazione cubana di medici e maestri, c’è sempre anche quella? «Sì, c’è sempre anche quella, anzi di più. Oggi sono 48 mila i cubani, tra medici e insegnanti, che operano in giro per il mondo, in America latina, in Africa, in Asia, nella stessa Cina».
Qualcuno la chiama “l’imperdonabile Cuba”.