In quelle ore frenetiche del pomeriggio del 7 maggio, fumando una sigaretta dietro l’altra, mentre aspettavamo il rientro dai seggi di tante ragazze e tanti ragazzi, guardando l’accalcarsi di una piccola folla attorno ai tavoli di plastica di un chiosco di paese, non sapevamo ancora che stavamo facendo la storia. La storia umile di una cittadina di provincia che ha insegnato tanto alle metropoli snob non così diverse da Palagonia. Il 21 maggio c’era solo da commuoversi, emozionarsi, festeggiare. Valerio Marletta era diventato sindaco, dodici ragazze e ragazzi sedevano finalmente nel consiglio comunale una volta infestato dagli sciacalli amici dei don.
Non era solo la rivolta di liberazione di un paese, la consapevolezza delle cittadine e dei cittadini di ribaltare le sorti della propria comunità. Era qualcosa di più intenso, più importante. Era qualcosa che irrompeva nelle esistenze e sconvolgeva l’essenza dell’agire politico: l’avverarsi di un sogno, la consapevolezza di poter vincere, la certezza di poterli sconfiggere, mandare a casa.
La Sicilia non è diversa da Palagonia. Tanti Fagone si aggirano famelici per i palazzi del potere e frequentano gli autogrill degli amici degli amici. Tanta gente vive nella miseria invisibile dei quartieri abbandonati lontani dalle cartoline delle spiagge affollate da sempre meno turisti. Tante ragazze e ragazzi non vivono le proprie città prive di teatri, palestre, centri sociali. Tanti bambini non vanno a scuola inseguiti da servizi sociali inermi e impotenti. Tanti altri decidono di scappare da una terra che inspiegabilmente dalla sua bellezza genera crudeltà e sofferenza.
Ma la Sicilia non può essere diversa da Palagonia. È sparpagliata nell’isola una generazione che cerca riscatto e giustizia, fa capolino da una strada abbandonata una mamma che non ha più intenzione di vendere il suo voto, un bracciante che non vuole togliersi il cappello, una ragazza che non vuole più partire. È siciliano un popolo che non vuole più delegare, che pensa che la Sicilia possa essere bene comune.
Forse è solo un sogno ma vorremmo che il cuore di quella Palagonia che è riuscita a riscattarsi possa battere in tutta la Sicilia. Pierpaolo Montalto ha solcato il palco di Piazza Garibaldi in ogni minuto di quella straordinaria avventura che ha fatto scoppiare la rivoluzione con un tratto di matita. È anche per questo che oggi vorremmo che lui, insieme al coraggio respirato in quella piazza, sotto una prefettura, durante un blocco stradale, in marcia per uno sciopero, accanto a chi ogni giorno è umiliato dalla ferocia della crisi, possa arrivare dove si fanno le scelte, si produce il cambiamento, si guardano in faccia gli assassini della nostra speranza.
Noi non sappiamo se Pierpaolo potrà dar voce a chi fin ora è stato segregato nel silenzio. Non sappiamo se con lui possano arrivare al Parlamento regionale le studentesse e gli studenti, le lavoratrici e i lavoratori, i disoccupati, i precari, i migranti che oggi vogliono dire basta e cambiare tutto. Ma non sapevamo neanche che quel pomeriggio del 7 maggio avrebbe cambiato la storia della nostra terra, che Valerio sarebbe diventato sindaco. Ma da quel giorno abbiamo iniziato a prendere sul serio i nostri sogni, a comprendere di poter vincere, abbiamo imparato a guardarli in faccia con la certezza di poterli sconfiggere.
L’abbiamo fatto tutti insieme. Senza delegare. Perché non vogliamo sostituire il grigiore del potere con l’opacità di un nuovo tiranno. Vogliamo riprenderci ciò che è nostro, trasformarlo in bene comune.
Ieri in una piazza di Palagonia abbiamo vinto. Vogliamo vincere ancora. Per la Sicilia Bene Comune.
Matteo Iannitti