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Turchia. Fermare con le armi il contagio indipendentista e laico della sinistra kurda (il Pkk ma anche la coalizione politico-sociale del Rojava in Siria) è l’obiettivo di Erdogan. Ma anche della «nostra» Alleanza atlantica che applaude ogni volta che un F16 decolla per bombardare.

Cen­ti­naia di com­bat­tenti del Par­tito dei lavo­ra­tori del Kur­di­stan (Pkk) sono rima­sti uccisi e cen­ti­naia feriti in una set­ti­mana di raid dell’aviazione turca con­tro le basi dei ribelli. Col­piti anche vil­laggi e la popo­la­zione kurda. Tra i feriti ci sarebbe anche Nuret­tin Demir­tas, fra­tello del lea­der della for­ma­zione curda Par­tito demo­cra­tico del popolo (Hdp) Sela­hat­tin Demir­tas — che ha avuto una straor­di­na­ria affer­ma­zione alle ultime ele­zioni tur­che con il suo 13%, impe­dendo così di fatto la mag­gio­ranza par­la­men­tare all’Akp di Erdo­gan e per que­sto messo in que­sti giorni sotto accusa, lui e il suo partito.

Sta avve­nendo, sotto i nostri occhi, una car­ne­fi­cina. Che ci riguarda diret­ta­mente. Infatti l’offensiva mili­tare — iro­nia della sorte l’agenzia parla di una ine­si­stente offen­siva con­tro l’Isis — è scat­tata dopo il ver­tice della Nato di Bru­xel­les di nem­meno una set­ti­mana fa, di fatto con­vo­cato da Ankara per avere par­te­ci­pa­zione e avallo alla sua nuova guerra con­tro i kurdi, fatta con la scusa di attac­care anche, per la prima volta le posta­zioni siriane dello Stato isla­mico. La par­te­ci­pa­zione atlan­tica piena non c’è, ma l’avvallo sì e, soprat­tuto, c’è quello degli Stati uniti.

Ora dun­que con l’applauso dell’Alleanza atlan­tica i cac­cia­bom­bar­dieri tur­chi fanno a pezzi i com­bat­tenti della sini­stra turca, vale a dire i mili­tanti che quasi da soli finora com­bat­tono con le armi in pugno in Siria e in Tur­chia con­tro le mili­zie jiha­di­ste dell’Isis. Mili­zie invece soste­nute e finan­ziate negli ultimi tre anni pro­prio da Ankara che ha adde­strato tutte le for­ma­zioni ribelli siriane — com­presa Al Nusra, vale a dire Al Qarda, nelle sue basi a par­tire da quella Nato di Adana, come sanno tutti i governi occi­den­tali e come ha denun­ciato pro­prio la sini­stra turca.

È stato scritto che la svolta «ambi­gua» di Erdo­gan sarebbe deri­vata dall’impossibilità per Washing­ton di sop­por­tare ancora per troppo tempo che un pro­prio alleato potesse mostrare sim­pa­tie per un gruppo ter­ro­ri­sta come l’Isis che gli ame­ri­cani ora sono impe­gnati a distrug­gere. Quando mai? Il fatto è che la Tur­chia, alla fron­tiera tur­bo­lenta della Siria in guerra, ha adde­strato, finan­ziato e soste­nuto i jiha­di­sti pro­prio su man­dato della coa­li­zione degli Amici della Siria, gui­data pro­prio dagli Stati uniti e dall’Arabia sau­dita insieme alle petro­mo­nar­chie mediorientali.

Così adesso anche la Casa bianca (dopo l’esperienza san­gui­nosa di Ben­gasi dell’11 set­tem­bre 2012) corre ai ripari e bom­barda da mesi gli stessi jiha­di­sti che, come in Libia, ha usato per desta­bi­liz­zare l’area. E que­sto gra­zie ad Ankara che mette a dispo­si­zione la sua base di Incir­lik, men­tre gli ame­ri­cani chiu­dono tutti e due gli occhi sul mas­sa­cro della sini­stra kurda.

Ecco dun­que il nuovo ruolo dell’islamista mode­rato Erdo­gan, il sul­tano atlan­tico. Altro che «distratto» mem­bro della Nato.

Cin­que anni fa, scon­fitto nel ten­ta­tivo di entrare in Europa, ha ripie­gato nell’area per costruire una nuova «pax otto­mana», dalla Bosnia a Gaza„ dall’Azerbaijan alla nuova Libia in fun­zione anti-Iran. Ora invece, per accr­di­tarsi con l’Occidente, gioca la carta della «guerra ottomana».

Con una spina nel fianco però, che deve pro­prio levarsi: il popolo kurdo. Per­ché le guerre ame­ri­cane ed euro­pee, deva­stando tre paesi cen­trali dell’area nor­da­fri­cana e medio­rien­tale — nell’ordine tem­po­rale, Iraq, Libia e Siria — hanno atti­vato sia il pro­ta­go­ni­smo jiha­di­sta, prima alleato dell’Occidente con­tro i regimi in carica, e ora diven­tato nemico; ma hanno anche chia­mato in causa il popolo kurdo, che resta diviso pro­prio tra Siria, Tur­chia e Iraq (pieno di petro­lio e nemico giu­rato del Pkk).

Fer­mare con le armi il con­ta­gio indi­pen­den­ti­sta e laico della sini­stra kurda (il Pkk ma anche la coa­li­zione politico-sociale del Rojava in Siria) è l’obiettivo di Erdo­gan. Ma anche della «nostra» Alleanza atlan­tica che applaude ogni volta che un F16 decolla per bom­bar­dare. L’Italia atlan­tica, che si pre­para ad una nuova avven­tura mili­tare in Libia, di Pkk del resto se ne intende: ha con­se­gnato alle «alleate» galere tur­che il lea­der Oca­lan venuto da noi per trat­tare la pace.