G.M. è una giovane comunista, lavora con il forum antirazzista di Palermo e sta costruendo l’intervento con le Brigate della Solidarietà attiva a Lampedusa. E’ sull’isola da giorni, confrontandosi con una realtà che non immaginava.
Qui siamo in piena emergenza – ci dice al telefono – gli imbarchi non sono ancora iniziati, e la tensione sale.
4000 immigrati, tra cui minori, hanno 3 bagni chimici. Il cibo scarseggia e l’acqua viene razionata. Sono sconvolta per quanto visto in questi giorni, qui comincia a fare caldo e dare una bottiglia d’acqua ogni tre immigrati crea tensione perchè ognuno controlla che l’altro non beva troppo. Anche le voci sugli imbarchi che non arrivano, sui rimpatri evocati non fanno altro che aumentare tensione alla tensione. Lo stesso vale per le procedure di riconoscimento, gli immigrati vengono divisi casualmente a gruppi, e la scelta casuale di questi provoca il fatto che qualcuno prova ad inserirsi in quelli che probabilmente possono essere scelti. Un misto di inefficienza e cultura dell’emergenza incapace di misurarsi con un fenomeno previsto, annunciato, rende l’isola una zona con la democrazia sospesa per migliaia di persone. La polizia alla prima tensione mette gli elmetti antisommossa e minaccia – come ho sentito in questi giorni – di rimandare a calci in culo in Tunisia gli immigrati. I minori poi, ci racconta, sono stati spostati dalla casa della fratellanza dopo alcune denunce giornalistiche all’interno della base NATO Lorian. Non sappiamo più nulla di loro.
E’ ora, ci racconta, però di politicizzare l’intervento sociale che molte associazioni stanno portando avanti. Per questo stiamo costruendo le Brigate della Solidarietà per avere nell’isola un presidio democratico fisso. Le brigate – continua – le ho conosciute in Abruzzo e ho visto la loro capacità a Nardò con i braccianti, sono una struttura associativa aperta che si replica sulle pratiche. L’idea che abbiamo è quella di costruire un presidio democratico nell’Isola che funzioni in collegamento con gli altri che stanno facendo un ottimo lavoro davanti ai campi, come ha fatto l’associazione Finis Terra a Manduria, che con le sue informazioni ha permesso a moltissimi migranti di prendersi in mano il proprio destino ed il proprio percorso migratorio. Sta nascendo una forza di mediazione sociale dentro l’emergenza contro la cultura dell’emergenza e la guerra tra poveri, una cosa non scontata vista la situazione del nostro paese.