di Roberta Fantozzi*
Jobs Act: Renzi fa i compiti assegnatigli dalla Troika e riduce il lavoro a merce. Rilanciare le mobilitazioni, costruire un ampio schieramento referendario.
 
Mentre in Europa il governo greco cerca di aprire una breccia nelle politiche di austerità, in Italia Renzi fa i compiti assegnatigli dalla Troika: riscrive lo statuto del lavoro riducendolo a merce e cancella decenni di lotte delle lavoratrici e dei lavoratori. Ovviamente Renzi e il suo l’apparato propagandistico sono all’opera nello “spiegare” come le riforme creeranno nuovo lavoro, faranno crescere il Pil, risolveranno la precarietà… e via con le magnifiche sorti e progressive. Si tratta di falsità evidenti che vanno contrastate, rilanciando le mobilitazioni e lavorando sin d’ora alla costruzione di un ampio schieramento referendario.
I decreti attuativi del cosiddetto Jobs Act non fanno altro che generalizzare la precarietà e riportare il lavoro alla condizione servile. Questa è la verità, come è vero che Renzi fa oggi quanto neppure i governi Monti e Berlusconi erano riusciti a compiere. E’ questa la sostanza dell’operazione, che coerentemente riceve il plauso convinto di Confindustria.
I decreti confermano la cancellazione dell’articolo 18 per i nuovi assunti.
Sarà sufficiente d’ora in poi etichettare ogni licenziamento con la motivazione economica perché sia esclusa la possibilità della reintegra e perché – anche nel caso in cui quella motivazione sia falsa e venga riconosciuta l’illegittimità del licenziamento – il lavoratore licenziato abbia diritto solo ad una mancia. Il testo finale del decreto attuativo conferma infatti che in caso di giustificato motivo oggettivo cioè per motivazioni economico-produttive “nei casi in cui risulta accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento.. il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità”.
Come si ricorderà anche la controriforma Fornero aveva provato ad aprire la strada della piena libertà di licenziamento su questo stesso terreno, laddove sempre in relazione alla motivazione economica a base del licenziamento, aveva indicato la sola possibilità della reintegra nel caso in cui fosse rilevabile la “manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento”, una formulazione con cui si voleva impedire ogni ruolo del giudice che non fosse di mera presa d’atto. Quel tentativo era stato tuttavia fortemente limitato proprio in sede giurisprudenziale, svuotando significativamente la controriforma del 2012. Il Jobs Act “rimedia” ai pasticci del 2012 e ne porta a compimento gli obiettivi. Il testo conferma anche la manomissione delle norme sui licenziamenti collettivi che anch’essi saranno utilizzabili per “dismettere” i lavoratori indesiderati, giacchè alla violazione di procedure e criteri corrisponderà solo il pagamento dell’indennità. Si accoglie dunque  in pieno la posizione di Alfano e NCD, si nega ogni ascolto alle richieste avanzate unanimemente dai sindacati.
Il risultato è la ricattabilità totale di ogni lavoratrice e di ogni lavoratore che pure sia assunto a tempo indeterminato, la restaurazione del dominio pieno dell’impresa nei rapporti di lavoro. Ovviamente tra qualche tempo si dirà che non è giusto che i nuovi assunti abbiano diritti inferiori ai vecchi e partirà l’offensiva per estendere le nuove norme a tutti. Non è così che è andata avanti in questi anni la sistematica distruzione di ogni diritto? Frammentando, colpendo una parte e poi livellando tutti alle condizioni peggiori.
Per altro verso la precarietà nei rapporti di lavoro fa un salto di qualità anche “in ingresso”. Il primo decreto Poletti aveva già sancito il possibile utilizzo generalizzato dei contratti a termine per le assunzioni, eliminando la necessità di indicare “la causale” cioè il motivo che giustificasse il ricorso al lavoro temporaneo. A questo si aggiunge oggi l’estensione dell’utilizzo dei voucher, i buoni-lavoro acquistabili anche dal tabaccaio, la forma massima di lavoro “usa e getta”.
Quanto alla vantata eliminazione delle collaborazioni, siamo in presenza di una nuova operazione di propaganda, di un falso.  Non solo le collaborazioni restanto nel settore pubblico, ma il criterio indicato per l’individuazione delle false collaborazioni e per la loro riconduzione al lavoro subordinato, cioè il contenuto ripetitivo della prestazione ed il suo essere eterodeterminata nelle modalità di esecuzione, non risolve affatto i casi in cui il lavoratore ha qualche margine di autonomia nella concreta esecuzione del lavoro ma è dipendente di fatto, perché la propria sopravvivenza materiale è legata a quel rapporto di lavoro.
I decreti infine danno il via libera alle norme gravissime sul demansionamento dei lavoratori, riscrivendo codice civile e Statuto dei diritti dei Lavoratori.
Il Jobs Act non porterà un solo posto di lavoro in più, come è dimostrato dalla storia degli ultimi anni. Il lungo processo di erosione dei diritti del lavoro non ha fatto altro che affermare un modello produttivo ed economico che, all’opposto della propaganda profusa a piene mani, è all’origine della marginalizzazione crescente del paese nella divisione internazionale del lavoro, con un sistema di impresa esentato dagli investimenti su innovazione e qualità del prodotto, perché certo di poter competere sulla compressione di salari e diritti.
Il Jobs Act rappresenta invece un salto di qualità senza precedenti nella riduzione a merce delle persone che lavorano e nella distruzione della possibilità di organizzazione collettiva delle lavoratrici e dei lavoratori.
Va contrastato in ogni modo, con le mobilitazioni e dichiarando fin d’ora la nostra volontà di arrivare al referendum, assunto peraltro come possibilità dalla stessa Cgil nel suo ultimo direttivo.
Anche questo è un modo per sostenere la Grecia, lottando fino in fondo a casa nostra, per scardinare le politiche neoliberiste e riprendersi i diritti.
* responsabile lavoro, segreteria nazionale PRC
da: www.rifondazione.it