di Luca Nivarra (Comitato di Garanzia FDS)
È difficile immaginare una distanza maggiore di quella che separa Marghera dal Lingotto. Una distanza esaltata dalla coincidenza temporale ma, in realtà, tutta interna alla radicale, ed insuperabile, diversità dei linguaggi, dei temi, delle prospettive.
Da un lato, la spudorata riproposizione da parte di un politico già sconfitto di un “sogno” intessuto di reboanti citazioni bibliche e di stucchevoli richiami alla nuova frontiera kennediana: un “sogno” che, per essere fatto della stessa materia di quello proposto al paese da Marchionne, è, a tutti gli effetti, un incubo.
Dall’altro, la convergenza intelligente e riflessiva dei protagonisti delle battaglie che si sono sviluppate in questi ultimi mesi contro il progetto neoliberista di privatizzazione del lavoro subordinato, della conoscenza, dell’acqua.
È proprio questo il dato che rende la “due giorni” di Marghera un evento particolarmente significativo, cioè la consapevolezza che, da adesso, non è più soltanto teorica, ma anche politica, del legame oggettivo che passa tra le lotte dei metalmeccanici, quelle degli studenti e dei ricercatori e quelle dei movimenti per l’acqua pubblica.
Per la prima volta, da molto tempo a questa parte, si registra, così, la presenza di un soggetto politico schiettamente antagonista il quale prova ad opporsi, sulla base di una piattaforma coerente ed omogenea, allo schiacciasassi mercatista, di cui vede e, in pari tempo, svela l’indole intimamente totalitaria.
Del resto, un indice chiaro del totalitarismo insito nelle forme di pensiero mainstream emerge dalle argomentazioni utilizzate dall’ ad della FIAT a sostegno del “sì” al referendum/ricatto proposto ai lavoratori prima di Pomigliano e poi di Mirafiori: argomentazioni tutte tese a dimostrare, anzi ad esibire, il carattere necessitato del “sì” al suo progetto di trasformazione del sindacato in una cinghia di trasmissione del capitale, e del singolo lavoratore in pura e semplice merce da utilizzare secondo le mutevoli ed imprevedibili esigenze dell’impresa e del mercato.
Insomma, i padroni (ed i loro corifei: Berlusconi, Sacconi, Scalfari, Fassino, Fini, Veltroni, Chiamparino, solo per fare qualche nome) sono fermi al TINA (There is not Alternativ) con cui la sig.ra Thatcher battezzò la resistibile ascesa della controrivoluzione liberista. Ed è incredibile che sia così, nonostante un trentennio segnato da guerre, distruzioni ambientali, impoverimento e vertiginosa crescita delle diseguaglianze.
La assoluta indisponibilità del capitale ad una qualche mediazione, altra faccia della programmatica negazione del conflitto (e non è certo un caso che Marchionne proclami urbi et orbi la fine della lotta di classe nel momento stesso in cui la pratica nella sua modalità più feroce) ha, però, dal canto suo, l’ indiscutibile merito di portare alla luce la miseria del riformismo il quale, oggi, come il Lingotto ha mostrato con evidenza palmare, altro non è che lo scialbo ed insopportabile controcanto della voce del padrone.
Questo passaggio contiene indicazioni univoche per la FDS che, pur nella consapevolezza delle sue debolezze, oltre che della difficoltà di una interlocuzione con la nascente opposizione sociale, è dentro “Marghera” che deve stare, definitivamente archiviando ogni inutile e dannoso tatticismo; ma indicazioni ancora più preziose fornisce a chi, a sinistra, coltiva il sogno (anche questo destinato a trasformarsi nell’incubo di una mortificante subalternità) di scalare il PD e di sovvertirne la costituzione che ne fa, viceversa, una concrezione di potere geneticamente ed irreversibilmente collocata dentro il “Lingotto” veltroniano.
Non è più tempo di quinte ruote del carro; è tempo, piuttosto, di costruire una forza politica che sappia portare anche all’interno del poco che resta delle istituzioni repubblicane, la voce di chi, nel vivo dello scontro sociale, si è finalmente levato in piedi per pronunciare un chiaro no alla follia del capitale.