di Eleonora Martini su il Manifesto del 9 marzo 2010

«Dopo. Dopo un terremoto, sulla terra in movimento senza pace, mentre sopra le macerie la giustizia tace…», possono accadere cose che «prima», all’Aquila, nessuno avrebbe mai immaginato. Può succedere per esempio quel che è successo alle crew di giovanissimi aquilani e abruzzesi che così rappano nel cd autoprodotto, «Voci dal cratere», ma che prima del sisma nemmeno si conoscevano tra loro. E può succedere di vedere una popolazione – finora decisamente poco abituata alle manifestazioni e poco avvezza, dopo quarant’anni di Democrazia cristiana, alla politica attiva e alla partecipazione diretta nella gestione della cosa pubblica – trasformarsi, dopo un anno di «dignitoso» silenzio, in un soggetto protagonista di cui non si può più non tenere conto.

Le manifestazioni nel centro storico e il faccia a faccia di gente comune contro esercito e polizia per quattro domeniche di seguito; il lavoro concreto di smistamento delle macerie che non è stata solo un’azzeccatissima iniziativa mediatica in grado di scavalcare i confini nazionali; la fiaccolata contro il processo breve che ha visto sfilare sabato scorso nelle vie percorribili del centro storico in commosso silenzio almeno cinquemila persone, molte delle quali provenienti da altre regioni d’Italia; il moltiplicarsi di iniziative culturali e politiche, di gruppi in rete, e di comitati cittadini, alcuni dei quali sono diventati addirittura centri sociali occupati, mai visti prima da queste parti. Sono le tante facce, scomposte e ricomposte come in un caleidoscopio, di una società – quella aquilana – probabilmente in marcia verso una presa di coscienza collettiva, forse ancora pre-politica ma sicuramente feconda.
Ma non è tutto: si può dire che qui, nel cosiddetto cratere terremotato, si possono oggi toccare con mano i frutti di quel «lavoro politico sul territorio» tanto teorizzato quanto difficilmente attuato dai partiti di sinistra. Succede, per esempio, che all’Aquila, in controtendenza rispetto a tutto il resto d’Italia, cresce il numero di tesserati e di militanti della sezione giovanile di Rifondazione comunista. «Oltre ai tesserati veri e propri – spiega Fabio Pelini, 35 anni, segretario aquilano del Prc – molti in questi mesi si sono avvicinati ai Giovani comunisti, soprattutto nelle scuole e all’università dove è cresciuto il numero di rappresentanti eletti». «Grazie soprattutto all’esperienza delle “Brigate di solidarietà attiva” – aggiunge Francesco Marola – che dal giorno dopo il sisma hanno cominciato a lavorare, montando due tendopoli con mensa a Camarda e Tempera dove in cinque mesi si sono alternati oltre 600 volontari provenienti da tutta Italia. Un lavoro di soccorso alla popolazione e di socializzazione fatto in silenzio e che, giorno dopo giorno, ha sviluppato forme di partecipazione straordinaria, facendo avvicinare alla politica tantissimi giovani che ancora oggi, anche se non tesserati, fanno volontariato nelle nostre strutture». È il caso di Simone Virgili, appena iscritto al Prc: «Mi sono avvicinato al partito quando ho visto la volontà di incidere sul territorio, con le “Brigate” o con l’assistenza legale fornita agli esclusi dal progetto C.a.s.e. che è diventata una battaglia per la trasparenza delle graduatorie. E come me è successo anche a molti giovani non proprio di sinistra che però hanno apprezzato questo tipo di solidarietà così diversa dall’unica che conoscevano, quella della Chiesa e della Caritas».
Una forma diversa di solidarietà sta nascendo anche tra le migliaia di persone che ormai da quattro domeniche di seguito si riprendono il centro storico della città. Domenica prossima torneranno addirittura con ruspe e bobcat affittati, per completare il lavoro di rimozione delle macerie da Piazza Palazzo in tempo per il primo anniversario del 6 aprile. «Ogni maledetta domenica», così l’hanno chiamata in un video che viaggia in rete, il popolo delle carriole si arricchisce di nuove facce: «Domenica scorsa c’erano tantissimi studenti fuori sede ad aiutarci – dice Giusi Pitari, docente di Biotecnologie all’università dell’Aquila – l’ho rivisti a lezione stamattina e tutti avevamo le braccia doloranti per lo sforzo». Stanchi ma soddisfatti, più uniti di prima da un nuovo sentimento identitario che non è fatto solo di «aquilanità»: «Non c’è solo l’affezione per la città, stiamo manifestando qualcosa di più – continua Pitari -: a spingere centinaia di cittadini che mai lo avrebbero fatto prima a forzare i posti di blocco sono state le voci degli sciacalli della “cricca”. È stata l’acquisita consapevolezza dell’incompetenza delle istituzioni preposte alla soluzione dei problemi, è stata l’insofferenza per il pressappochismo degli amministratori, per la superficialità e il cinismo dei politici. E ora sappiamo di non essere soli: riceviamo centinaia di messaggi da tutta Italia che ci incitano ad andare avanti». Lo dimostrano le centinaia di persone che da Giampilieri, da Palermo, da San Giuliano di Puglia o da Viareggio si sono strette nel capoluogo abruzzese in un abbraccio a tutte le vittime dell’illegalità istituzionalizzata. Un clima tale che perfino molte delle persone che domenica scorsa hanno manifestato all’Aquila in difesa di Bertolaso, alla fine hanno mollato a terra le loro bandiere e sono andate a lavorare sulle macerie, fianco a fianco di chi considera il capo della Protezione civile il primo responsabile dello scempio aquilano.