In questi giorni si è fatto un gran parlare degli abusivi delle botteghe IACP a Messina, ovvero di quelle famiglie con bambini che ne hanno occupato alcune nelle vie del centro della città, nel quadrilatero via Saffi-Natoli-Trieste-Bassi, l’ultima nell’is. 91 di Via Natoli. Vani i tentativi di “mettere in sicurezza” gli immobili alzando veri e propri muri antistanti le porte d’ingresso o con l’installazione di sistemi di videosorveglianza e di inferriate anti effrazione alle finestre, spendendo decine di migliaia di euro. Non fatichiamo a pensare come tra la gente comune, nelle istituzioni e soprattutto tra le persone del luogo emergano sentimenti di rigetto, indignazione e di paura; timori e preoccupazioni scaturiti dal fatto che queste nuove povertà possano penetrare e contaminare con il suo carico di indisciplina le vie centrali della città. Ci si indigna e si avversano queste intrusioni perché il territorio è lo specchio delle divisioni sociali e ci si batte per rafforzare e difendere il proprio status sociale vivendo e garantendo i propri spazi di “distinzione”. Assistiamo a richiami forti all’ordine, alla legalità ed al decoro, compromessi dall’irruzione di queste famiglie, per alcune si configura, pensate, pensate, anche l’ occupazione abusiva di stallo di sosta (alcuni hanno improvvisato piccoli stand per vendere,lavorare e campare) o si denunciano fatti di “degrado urbano” come l’esempio dell’homeless che ha piantato una tenda vicino al tribunale.
Chi occupa è dapertutto costretto a sorvegliare l’abitazione contro possibili invasori (altre famiglie in cerca di casa) o contro interventi governativi di sfratto. I dati mostrano che le famiglie prive di riconoscimento della proprietà passano in media 13,4 ore a settimana per assicurarsi questa “sicurezza informale” della casa. Sorvegliare la casa coincide con una riduzione del 14% delle ore lavorative per le famiglie occupanti, nondimeno si garantisce almeno un letto ai propri figli. Diciamo con estrema chiarezza, che sono altre le cose che dovrebbero provocare indignazione pubblica, e ci riferiamo a coloro che hanno occupato anche abusivamente suolo pubblico per le loro attività imprenditoriali/commerciali in questi anni o a coloro che hanno consumato suolo attraverso costruzioni di immobili in zone geologicamente fragili del nostro territorio,grazie Piani Regolatori “generosi” e producendo altresì fenomeni di sprawl urbano o fenomeni di gentrificazione. Si è costruito tanto e male ed il paradosso di questa urbanizzazione tentacolare resta: la nostra area urbana perde abitanti, dai 260 mila del 1981 siamo arrivati ai 240 mila odierni. Una città oramai tappezzata dai “vendesi” e dagli “affittasi” e nonostante il calo dei prezzi per una famiglia colpita dalla crisi, è impensabile acquistare una casa. Il mercato degli affitti è anch’esso inaccessibile, i canali tradizionali di fruizione nel mercato degli alloggi, sono pieni di ostacoli, infine l’ assegnazione di un’ abitazione sociale rimane un sogno (spesso un vero incubo), per cui resta il gesto ultimo dell’occupazione per non finire in mezzo ad una strada. Dobbiamo innanzitutto analizzare e comprendere per fare proposte politiche e tutto questo ci appare come il sintomo di una malattia non curata, è il fenomeno di un grande disagio sociale che affonda le sue radici nella povertà, nella disoccupazione e si acuisce nell’indifferenza istituzionale. Secondo il Dir. Gen IACP Maria Grazia Giacobbe, oltre al danno materiale, vi è un danno economico, questo locale si poteva destinare alla locazione commerciale, pertanto l’istituto non può affittarlo. Al momento con l’economia in forte contrazione è improbabile che sorgano iniziative private per avviare nuove imprese commerciali e/o artigianali nei locali in oggetto. I dati sono impietosi: secondo l’ufficio statistico della Camera di commercio di Messina e Confesercenti, i dati relativi al primo trimestre 2015 rivelano una marcata diminuzione del numero delle imprese rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, tra gennaio e aprile 2015 si evidenzia un saldo negativo tra aperture e chiusure di 343 imprese. Le cessazioni di imprese, infatti, sono state il 20% in più delle nuove iscrizioni ed il settore trainante della città, quello commerciale, è il 34,44% sul totale delle imprese registrate. Insomma,non è il periodo propizio per fare impresa. Allora perché non si pensa a convertire, soprattutto in questa fase di grandissima precarietà abitativa, le botteghe Iacp o comunali in abitazioni? Pensiamo che, dove ci siano i margini e rispettando tutti i criteri per garantire sicurezza e locali salubri e vivibili, si potrebbe così aumentare l’offerta di alloggi in un quadro davvero desolante (nell’ultimo bando ERP, 2 anni fa, circa 700 famiglie hanno fatto domanda e sono state assegnate una manciata di case). Si è parlato di centinaia di case popolari occupate in città e senza infingimenti diciamo ciò che pensiamo: al netto di qualche caso di “scaltrezza” si annida un serio problema.
Nel cono d’ombra della precarietà abitativa ed esistenziale, c’è da dire, si muovono organizzazioni criminali che sfruttando la crisi economica, concedono spesso l’approvazione e stabiliscono il prezzo per gli immobili da occupare, nella fattispecie alloggi popolari, violando in tal modo il diritto di chi, da tanto tempo in graduatoria, aspetta una soluzione alloggiativa dignitosa. Da Napoli a Roma, passando per i maggiori comuni siciliani il metodo è lo stesso, l’effetto è una grande guerra fra poveri. Non è questo il caso,ma il problema c’è. Quindi è la politica che deve intervenire per spezzare questo sodalizio pericoloso e deve produrre politiche abitative inclusive, innovative ed ecosostenibili, prendendo congedo dall’ approccio meramente assistenziale. Pianificazione urbanistica,politiche per la casa e servizi sociali devono agire non come la somma di azioni giustapposte,ma come lavoro sinergico.
L’Amministrazione, ad esempio, recuperi gli immobili ERP non assegnati, sulla Gazzetta Ufficiale della Regione Siciliana numero 29 del 17/07/2015 è stato pubblicato l’Avviso relativo alla circolare 8 luglio 2015, concernente i “criteri di formulazione di un programma di recupero e razionalizzazione degli immobili e degli alloggi di edilizia residenziale” ai sensi dell’art. 4 della legge n. 80 del 2014. Adesso non ci sono scuse, i soldi ci sono, si avviino i progetti per intercettare parte della dote Regionale che ammonta a 42mln di euro. Inoltre si devono avviare al più presto accordi di programma con l’ Agenzia del Demanio ai sensi dell’Art. 26 comma 1 e comma 1 bis della legge 133/2014 per reperire e valorizzare immobili dello Stato in disuso e destinarli a cittadini in emergenza abitativa.
Le politiche neoliberiste provocano esclusione ed emarginazione sociale, nelle capriole linguistiche si obbedisce al principio sovraordinante dell’austerità imposta dall’Europa, tradotto in soldoni, risanamento dei conti pubblici, pagamento prioritario dei debiti contratti, tagli ai servizi e il welfare subisce inevitabilmente un progressivo sfaldamento qualitativo e quantitativo. A pagarne lo scotto sono i soggetti più vulnerabili. Dobbiamo fare territorio, sperimentare pratiche di riappropriazione dopo anni di spossessamento in cui la città ed i suoi cittadini furono spettatori inconsapevoli e vittime. Di fronte a queste riconfigurazioni, la città riemerge nella sua centralità come luogo del conflitto, la città ci parla con i suoi uomini e con le sue donne con gesti spesso impulsivi e disordinati, ma che urlano dalle feritoie buie della nostra società che sono vivi e vogliono continuare a vivere ribellandosi alle ingiustizie. Le amministrazioni e le istituzioni dovrebbero imparare da queste forme primitive di riappropriazione dell’esistente, soprattutto nel quadro attuale dove la capacità di gestire la crisi economica non si può certo dire che sia possibile di fronte ad una mancanza totale di risposte che puntino all’inclusione sociale per le classi più deboli. Alcuni comuni virtuosi nel passato hanno dato esempio di pratiche innovative approfittando di queste spinte dal basso per promuovere politiche di autorecupero o autoscostruzione accettando i limiti tipici dell’ordinarietà istituzionale cercando di superarli e migliorarli nel senso inclusivo. L’amministrazione comunale dal basso potrebbe promuovere questo senso di riappropriazione dell’abbandonato al fine di sfruttarlo al meglio per la collettività, facendosi promotrice di queste politiche, riconoscendo che gestire i conti e “metterli a posto” non basta,anzi, ma che serve un grossa spinta comunitaria per fare uscire dalla crisi le persone prima che le istituzioni.
Circolo “P.Impastato” – Rifondazione Comunista Messina