Dopo mesi di annunci, finte consultazioni, notizie contraddittorie, ripetuti rinvii, nella giornata di ieri il governo ha varato il suo disegno di legge di controriforma del sistema scolastico. Come era prevedibile, non c’è ancora un testo ufficiale, soltanto l’immancabile profluvio di slide illustrate nell’altrettanto immancabile conferenza stampa trionfalistica del presidente del Consiglio. Ma da quello che si sa, grazie anche a qualche testo – ufficioso ma sicuramente attendibile – che comincia a circolare, è roba da rabbrividire.
La scelta del governo è netta: trasformare definitivamente le nostre scuole in aziende, capeggiate da un preside-manager dotato di poteri enormi sia sulla gestione del personale che sugli stessi contenuti della didattica, con il definitivo azzeramento delle prerogative degli organi collegiali democratici ridotti al più ad organismi da “sentire” o da “consultare”.
È il compimento del disegno regressivo avviato, dapprima timidamente, con l’autonomia scolastica e, in seguito, con ben maggiore determinazione con le controriforme Moratti e Gelmini. Anzi, la proposta del governo si spinge perfino oltre l’indecente disegno di legge Aprea, approvato da una delle Camere nella passata legislatura grazie all’apporto determinante del PD e bloccato dalle mobilitazioni di studenti, insegnanti e cittadini.
Il potere assegnato al dirigente scolastico, infatti, è pressocchè illimitato: è lui ad elaborare il Piano dell’offerta formativa “sentito il Collegio dei docenti e il consiglio d’istituto”, è lui a scegliere per chiamata diretta gli insegnanti del cosiddetto organico funzionale da un albo distrettuale, è sempre lui il titolare della valutazione dei docenti, è ancora lui a scegliersi il suo staff e ad elargire premi economici ad una parte dei docenti. Un vero e proprio dominus assoluto della scuola.
Concetti come partecipazione e condivisione sono in tutta evidenza sconosciuti al nostro presidente del consiglio e al suo governo, ancora più sconosciuti – o meglio, considerati pericolosi impacci da evitare – i concetto di diritti, regole e democrazia.
A completare il disegno, c’è l’asservimento di interi pezzi dell’istruzione alle esigenze delle imprese. Non solo con l’esaltazione dell’alternanza scuola-lavoro ma con l’incredibile previsione della costituzione di “laboratori per l’occupabilità” in collaborazione con enti e imprese private attraverso “l’orientamento della didattica e della formazione ai settori strategici del Made in Italy”.
Non poteva mancare, ovviamente, l’ennesima incostituzionale elargizione di fondi alle scuole paritarie private, sollecitata da un manipolo di deputati della maggioranza che, con grande spregio del senso del ridicolo, sono arrivati ad iscrivere d’ufficio nelle schiere dei sostenitori delle scuole private Don Milani, Maria Montessori e Antonio Gramsci. Altri 200 milioni di euro che si aggiungono al fiume di denaro che, direttamente o indirettamente, Stato, Regioni ed Enti Locali versano nelle casse delle scuole private.
Un discorso a parte merita la questione dell’assunzione dei precari. Il documento diffuso dal governo per la finta consultazione prometteva 148.100 assunzioni tra i docenti con tanto di tabelle dettagliate a dimostrazione di una presunta accuratezza di calcolo. Dopo il tira e molla dei giorni scorsi i numeri si sono fortemente ridimensionati, arrivando, forse, si e no a 100.000 unità. Sembrano una enormità, dopo anni di assunzioni con il contagocce, ma non arrivano nemmeno a coprire tutti i posti effettivamente disponibili e, a quanto pare, potrebbero essere effettuate solo in parte per il prossimo anno scolastico mentre il resto sarebbe rinviato a quello successivo.
Senza contare che una parte di queste assunzioni sarebbero legate al finto organico funzionale, con meno tutele e meno diritti. Di fatto insegnanti di serie “B”. Una beffa per i tanti precari che avevano sperato nella fine delle loro peregrinazioni da una scuola all’altra cui annualmente sono costretti per garantire il funzionamento del sistema.
Infine, tra gli elementi più pericolosi contenuti nel disegno di legge c’è il ricorso alla delega per una quantità infinita di materie senza indicazioni stringenti dui limiti della delega stessa, come già è avvenuto con il Jobs Act. Di fatto, una delega in bianco a riscrivere l’insieme delle regole che presiedono al governo delle scuole.
Tra queste, quella relativa alla “istituzione del sistema integrato di educazione e di istruzione dalla nascita fino a sei anni” che riprende l’impostazione di un disegno di legge della Puglisi, parlamentare e componente della segreteria del PD. Con questo anche la scuola dell’infanzia, unico segmento scolastico che grazie alle lotte di insegnanti e genitori era rimasta immune dalla furia devastatrice della Gelmini, verrà di fatto trasformata in un servizio a domanda, dopo i decenni trascorsi da quando il movimento democratico aveva fatto sì che si emancipasse dalla condizione di “scuola materna” per diventare a pieno titolo parte del sistema scolastico.
C’è molto altro ancora di negativo nel progetto del governo, ma già questo basta a delineare un quadro a tinte fosche.
Occorre quindi apprestarsi ad una dura battaglia di opposizione, nelle piazze e nelle scuole, coalizzando le forze di quanti, e sono tantissimi, pensano che la scuola debba saldamente ancorata alla Costituzione e che per fare ciò bisogna battere il disegno reazionario del governo.
Già ieri gli studenti hanno riempito le piazze di moltissime città con una piattaforma di mobilitazione chiara e netta che, tra l’altro, dichiarava il sostegno incondizionato alla Legge di iniziativa popolare (LIPScuola), alternativa chiara, frutto di un percorso democratico e condiviso, alla scuola renziana.
Il successo di quelle manifestazioni è un dato confortante al quale c’è da sperare, e lavorare perchè accada, si possa aggiungere una mobilitazione ancora più larga che coinvolga gli insegnanti in un movimento di massa. Le mobilitazioni proclamate dalla FLC Cgil e dagli altri sindacati “rappresentativi” di categoria, alle quali si aggiungeranno quelle non meno importanti che sicuramente saranno indette dai sindacati di base, vanno in questa direzione.
Sta a tutti noi essere consapevoli che la scuola è specchio del paese che si vuole, e che da lì passa il futuro delle nuove generazioni, e assumere gli impegni conseguenti.
Noi del PRC, come sempre, faremo la nostra parte.
Vito Meloni, responsabile nazionale scuola PRC-SE