Intervista ad Antonio Ingroia procuratore aggiunto Dda di Palermo
di Gemma Contin su Liberazione del 05/07/2009
Arriva al Senato il disegno di legge sulle intercettazioni, e subito il Guardasigilli Angelino Alfano viene convocato dal Capo dello Stato per una verifica, “politica” oltre che costituzionale, sui “nodi” che attorno a tale norma sono andati addensandosi e che negli ultimi giorni hanno dato ragione alle preoccupazioni dei magistrati, dei pm in particolare, soprattutto delle procure del Sud, ascoltati venerdì dal Consiglio superiore della magistratura.
Preoccupazioni che riguardano anche il mondo dell’informazione che si fermerà il 14 luglio con un giorno di silenzio contro “il bavaglio” che si vorrebbe imporre a giornali e giornalisti.
Su tutta la faccenda abbiamo chiesto un giudizio al procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia.Vizi di incostituzionalità, bavaglio ai cronisti, mani legate ai magistrati. Ha ragione di preoccuparsi il presidente Napolitano?
Dal punto di vista dei magistrati e delle forze che indagano – che in fondo è il problema dei cittadini, dato che noi svolgiamo il ruolo della giustizia in nome dei cittadini – io credo che il rischio più grosso e concreto che si corre, se il testo dovesse diventare legge così com’è, è non dico un azzeramento ma un serio indebolimento delle potenzialità e delle capacità di investigazione che ha la magistratura inquirente e le forze di polizia, soprattutto nei confronti di un certo tipo di reati.
Quali?
Di sicuro non i reati di strada, per i quali basta un’attenta presenza sul territorio e un pronto intervento per reprimerli e colpirli, ma per i reati che operano in modo occulto, per i quali le intercettazioni servono proprio per portare in luce ed evidenziare le forme più nascoste di commissione del reato. In particolare, entrando nel merito, prevedere che per poter attivare le intercettazioni telefoniche sono necessarie non solo, come è già oggi previsto, l’indispensabilità delle intercettazioni in presenza di un reato commesso, ma addirittura degli indizi di colpevolezza a carico del soggetto sottoposto a intercettazioni, indizi di colpevolezza che addirittura nella prima stesura del testo erano “gravi indizi di colpevolezza” – cioè quelli sufficienti per arrestare e mandare a giudizio un indiziato, quindi in una situazione in cui le stesse intercettazioni sono del tutto superflue – e che nella nuova versione diventano “evidenti indizi di colpevolezza”.
Una categoria nuova.
Una categoria che rischia di aprire enormi dubbi interpretativi, perché non si riesce a sapere come si faccia a definire tale “evidenza”. Inoltre questi “evidenti indizi di colpevolezza” non si capisce come si possano distinguere dai precedenti “gravi indizi di colpevolezza”. In sostanza il pubblico ministero non si trova più in condizioni di indagare, quando vi siano degli elementi a carico di un soggetto sospettato che ha commesso un reato, se non ci sono già a suo carico questi “evidenti indizi di colpevolezza” per i quali il sospettato potrebbe già andare a giudizio, con l’intercettazione che diventa superflua perché serve appunto ad acquisirli.
Che senso ha?
Nell’intento del legislatore, o del governo, si dovrebbe avere come effetto un abbattimento del numero delle intercettazioni possibili. Purché si sappia che questa scelta di abbattimento delle intercettazioni, che è una scelta politica, si trasformerà in un fortissimo indebolimento delle potenzialità di indagine, di repressione dei reati, di individuazione dei colpevoli, nello stesso momento in cui si dice di voler tutelare la sicurezza dei cittadini.
A favore dell’area “grigia” dei reati di associazione mafiosa e di concorso esterno.
Direi di più: direi che i reati commessi dai poveracci, che sono in genere per così dire reati “alla luce del sole”, si incrementeranno ed è prevista anche una legislazione, come nei confronti degli stranieri, molto severa; mentre per i reati commessi in modo più occulto, in genere la criminalità dei potenti, rischia di conquistare nuovi spazi di impunità.
C’è poi il nodo dell’incostituzionalità, con diversi “trattamenti” tra procedimenti in corso e quelli successivi, che suscita la preoccupazione del Presidente Napolitano e la rivolta delle toghe per l’ingestibilità di due diverse procedure.
Una questione che renderà ancora più complessa l’applicazione, con disparità di trattamenti che rischiano di apparire ingiustificati e aprono la breccia a eventuali profili di incostituzionalità. Questo però è un tema molto delicato, sul quale va riflettendo e ragionando, da quello che leggiamo sui giornali, anche il Quirinale. E’ bene lasciare su questo punto spazio alle valutazioni che farà il Presidente della Repubblica.
Cosa intende l’Associazione Nazionali Magistrati quando dice che “sarà la morte della giustizia”? Non c’è un eccesso di aspettative dalle intercettazioni?
Il punto è che per un certo tipo di indagini, ripeto, soprattutto per la criminalità occulta, si possono avere elementi soltanto riuscendo a ottenere rivelazioni dall’interno. Non dobbiamo scordarci che ci sono stati anni in cui, soprattutto nei processi per fatti di mafia, lo strumento di prova privilegiato era costituito dai collaboratori di giustizia. Si scatenò all’epoca una campagna di stampa contro i cosiddetti “pentiti” che ebbe come epilogo una legge che penalizzò i collaboratori di giustizia e sostanzialmente azzerò il fenomeno. Ci venne detto allora che però non avremmo perso ogni possibilità di investigare perché c’erano altri strumenti, innanzitutto le intercettazioni. Noi che cosa potevamo fare? Abbiamo preso in parola il legislatore che ci toglieva lo strumento dei collaboratori di giustizia ma ci dava lo strumento delle intercettazioni; quello strumento abbiamo usato, e senza collaboratori proprio le intercettazioni sono diventate lo strumento principale. Ora ci dicono che le intercettazioni non vanno più bene e ci levano l’unico strumento che abbiamo a disposizione. Ma senza notizie dall’interno, dai testimoni o dai collaboratori di giustizia, e senza rivelazioni dall’interno ottenute da intercettazioni telefoniche e ambientali, come si fa a penetrare soprattutto organizzazioni segrete come la mafia?
Nel disegno di legge però si dice che per mafia e terrorismo le intercettazioni sono consentite.
Ci viene detto che per i processi di mafia rimane applicabile la vecchia normativa. Questo è vero fino a un certo punto, come hanno spiegato bene i procuratori del Sud nell’incontro che c’è stato al Csm: è vero per i mafiosi noti, ma non è affatto vero per gli “insospettabili”; perché la maggior parte delle indagini di mafia, specie a carico di insospettabili, parte da altre ipotesi di reato. E per queste altre ipotesi di reato non sarà più possibile, una volta approvata la legge, procedere alle intercettazioni se non in presenza di quegli “evidenti indizi di colpevolezza”. E’ chiaro quindi che anche per le indagini di mafia le intercettazioni potranno farsi per i soliti noti, ma sarà impossibile farle per i soliti ignoti.