Non perdiamoci in logiche laceranti, ora un congresso a tesi per avere un dibattito apertoMaurizio Acerbo*Il nostro partito sta vivendo la fase più difficile della sua storia. La débâcle che abbiamo subito è di dimensioni epocali. Eppure sono convinto che vi sono tante energie disponibili a ricominciare. Lo si vede ovunque si organizzano iniziative ed assemblee. Lo si sente quotidianamente persino incontrando ex-elettori che il 13 e 14 aprile hanno scelto il “voto utile”, l’astensione o le liste con falce e martello. Questa disponibilità non va dispersa dentro logiche che non possono che condurre a ulteriori lacerazioni nel corpo del partito. Credo che mai come oggi la sinistra abbia bisogno di una buona dose di buonsenso nonviolento. Per dirla con Gandhi, «sono essenzialmente un uomo incline al compromesso perché non sono mai sicuro di essere nel vero». Per questo ho proposto la settimana scorsa, nella riunione della commissione politica per il congresso, di scegliere la modalità delle tesi e non quella delle mozioni. Non perché sia ingenuo né perché penso, come mi ha obiettato un autorevole compagno, che i nostri iscritti siano dei pirla o dei bambini incapaci di affrontare una normale dialettica democratica tra posizioni diverse. Semplicemente ho l’impressione che gran parte dei compagni e delle compagne ci considererebbero dei matti se ci presentassimo nei congressi di circolo con quattro o cinque mozioni. E credo che anche dall’esterno ci guarderebbero con non poco sconcerto. Basta leggere l’efficace ritratto che sul manifesto ha tracciato Gigi Sullo di Carta : «uno scontro interno che tende a diventare cronico, sprizza veleni in ogni direzione e calpesta le persone, e insomma sembra solo una competizione per il potere (ma quale?), non sembra proprio la via più adatta per ottenere l’opposto di questo, ossia, come tutti dicono, la creazione di “luoghi” della politica radicalmente diversi, la cui prima qualità sarebbe la relazione tra le differenze, la pluralità, l’annullamento di ogni gerarchia (e potere)».Un congresso per mozioni non può che peggiorare il clima interno perché tende per forza di cose a delimitare i confini della propria area e a cristallizzare posizioni proprio nel momento in cui avremmo bisogno di un dibattito aperto, di un ascolto reciproco, di un interrogarsi senza facili certezze. Dai gruppi dirigenti credo che ci si aspetti, fuori e dentro Rifondazione, qualcosa di diverso rispetto allo scenario bellicoso che si prepara. Le mozioni aiutano a contarsi e a difendere o conquistare il proprio spazio di potere, trasferendo nei circoli lo scontro interno ai gruppi dirigenti. E’ davvero questo ciò che serve al partito e a quel che rimane della sinistra? «Non voglio che la mia casa sia recintata da ogni lato e le mie finestre murate», ci consiglierebbe il buon vecchio Gandhi. Alcuni compagni hanno sottolineato nei giorni scorsi l’esigenza della “chiarezza”, ma questa non è assolutamente impedita dalla discussione su tesi ed emendamenti. Anzi il confronto di merito ne guadagnerebbe e, soprattutto sarebbe più facilmente circoscritto. E’ ovvio che la scelta di un congresso a tesi non risolve tutti i problemi senza una soggettiva tensione unitaria da parte di tutti, però è indubbio che costituisce una buona premessa. So che questa consapevolezza è assai diffusa, ma pare che i falchi stiano per prevalere sulle colombe. Di fronte alle difficoltà derivanti dalla nostra partecipazione al governo si era addivenuti saggiamente ad un allargamento di fatto della maggioranza aprendo anche ai compagni dell’area di “Essere Comunisti”. Adesso sembra diventato un grave peccato votare con questi compagni. Ora che è squadernata di fronte a noi la possibilità concreta della scomparsa di una sinistra politica autonoma e del nostro stesso partito, con assoluta irresponsabilità si affilano le armi per la conta interna, magari nel nome della nonviolenza. |