“In politica troppa confusione può portare al nichilismo”. Intervista a Paolo Ferrero
di Frida Nacinovich – Liberazione, 8 maggio 2009
Segretario Ferrero, in un’intervista a “l’Unità” il suo predecessore Fausto Bertinotti guarda alle elezioni europee e dice: «Tanto peggio, tanto meglio». Quindi pensa che in fondo sarebbe un bene se alla sinistra del Pd nessuno arrivasse al 4%. Alla cronista viene in mente un racconto di Edgar Allan Poe, il gatto nero, con il protagonista che uccide prima l’amato gatto di casa poi la moglie. Davvero è tutto da buttare, tutto da rifare? La sinistra italiana è davvero come l’araba fenice, deve rinascere dalle sue ceneri?Finalmente Fausto fa un’analisi della sconfitta elettorale simile a quella fatta dalla maggioranza che ha vinto il congresso di Chianciano. Ne prendo atto con favore.
Dal congresso di Chianciano è passato quasi un anno, nel mezzo c’è stata perfino una scissione. Può spiegarci?
Nell’intervista Bertinotti riconosce che era sbagliata la linea politica che ha portato Rifondazione comunista nel governo. E dentro questa linea la sua scelta di fare il presidente della Camera.
Su quest’ultimo punto la frase testuale è: «Una scelta problematica…».
Bertinotti è più netto quando parla dell’esperienza di governo, più reticente quando affronta l’argomento della sua presidenza della Camera.
In fondo questo è un dettaglio. Quello che conta è la linea politica. Ferrero ha appena riconosciuto a Bertinotti di aver ammesso l’errore. Tornerete insieme quindi?
Il problema è che Bertinotti non tira le conseguenze politiche della sua analisi. La sconfitta della sinistra Arcobaleno è il frutto di una linea sbagliata.
Ci spieghi ancora meglio.
Bertinotti annuncia il suo voto per “Sinistra e libertà”, un raggruppamento politico che fa l’analisi opposta della sconfitta elettorale.
Cerchiamo di essere ancora più chiari: cosa divide “Sinistra e libertà” da Rifondazione comunista?
Sinistra e libertà” non riconosce che andare al governo è stato un errore. Ecco perché si in lista con i socialisti craxiani e stringe alleanza con il Partito democratico a Napoli, Milano, Firenze e Torino. Insomma, si colloca come corrente esterna del Pd. E non è un caso che nell’intervista Bertinotti non affronti il tema della scissione da Rifondazione.
Due partiti, entrambi con il problema capitale di raggiungere il 4% alle europee. Tanto peggio tanto meglio?
C’è un fondo nichilista in questa affermazione che non è solo sbagliata ma dannosa.
Non servirebbe un bel big bang alla sinistra italiana?
Insisto: in quell’espressione c’è un elemento nichilista, che si traduce anche nell’accusa rivolta a Rifondazione di essere affetta da regressione neoidentitaria. Distruggere tutto per poi ricostruire, appunto. Il problema è che la distruzione della sinistra con un Pd in queste condizioni e un Pdl così forte rischia di coincidere con la cancellazione dell’idea di sinistra.
Ma Bertinotti dice che senza una tabula rasa la sinistra italiana non può rinascere.
Se si avverasse l’auspicio di Fausto l’esistenza stessa della sinistra sarebbe chiusa. Magari una parte di ceto politico finirebbe nel Pd, ma larga parte dell’elettorato si sposterebbe stabilmente nell’unico antiberlusconismo presente. Cioè l’Italia dei valori di Antonio Di Pietro. Un esito devastante, soprattutto perché Di Pietro non è sinistra.
La sinistra di cui parla lei è quella che è stata definita di volta in volta neoidentitaria, nostalgica della falce e martello, anche stalinista.
Ci attribuiscono una deriva neoidentitaria quando invece abbiamo proposto di fare una lista unitaria per le elezioni europee sulla base dell’appartenenza al Gue, il gruppo unitario della sinistra alternativa a Strasburgo. E’ sbagliato confondere la sconfitta della propria linea politica con la possibilità di costruire una sinistra.
Quindi, secondo lei di falce e martello c’è sempre bisogno.
Il pensare di dover tagliare le proprie radici per esistere è il principio con cui si è suicidata la sinistra in Italia. Un conto è la rifondazione, altro conto l’estirpazione.
Si parla sempre di due sinistra, quali sono?
A ben guardare la sinistra moderata era già così come è dieci anni fa, invece la sinistra di alternativa si è quasi suicidata nell’esperienza di governo. Il problema oggi è ricostruire la sinistra anticapitalista e comunista, non di fare l’occhiolino a D’Alema.
Sempre nell’intervista a “l’Unità” Bertinotti sostiene che dopo Genova Rifondazione si doveva sciogliere e contribuire a creare un partito più grande.
Già ai tempi del G8 dissi che Rifondazione comunista avrebbe dovuto essere il motore di una sinistra di alternativa vera ed aggregare altri pezzi. L’intuizione della sinistra europea andava proprio in quella direzione: un contenitore politico cui aveva aderito anche il segretario della Fiom. Poi quell’esperienza è stata sacrificato sull’altare della sinistra arcobaleno.
4% alle europee è davvero questione di vita o di morte?
Penso che sia davvero necessario che la sinistra anticapitalista e comunista raggiunga il 4%. Perché è l’unico progetto alternativo sul tappeto. Noi abbiamo scelto di andare del Gue, c’è chi invece ha gettato falce e martello un cambio di un’alleanza con i craxiani. Che posso farci?
Ferrero, non si sente “il vecchio”, rispetto a un Bertinotti che archivia “falce e martello” nel segno della “nuova nuova sinistra”?
Sul piano psicologico l’intervista di Bertinotti fa venire in mente la celebre frase “apres moi le deluge”. Ma c’è anche un piano politico: cancellare le proprie radici è un suicidio, come si è visto con Occhetto. Non è un caso che nei paesi latinoamericani – penso ai sandinisti, agli zapatisti , ai boliviani – si tengano invece ben stretto il filo rosso della loro storia. Quando la confusione diventa nichilismo si spiana la strada al bipartitismo, all’alternanza tra simili.