Hans Modrow, membro della Volkskammer della DDR dal 1958 al 1990, Presidente del Consiglio dei Ministri della DDR dal 1989 al 1990, Presidente del SED-PDS dal 1989 al 1990 e poi vicesegretario insieme a Wolfgang Berghofer del PDS, deputato al Bundestag dal 1990 al 1994, eurodeputato dal 1999 al 2004, dal 2007 è Presidente onorario de Die Linke

Gorbacev? «Parlava molto ma agiva poco. Se la transizione fu incruenta fu dovuto a scelte prese dentro i confini della Ddr». Gli Usa? «Impedirono la nascita di una Germania neutrale, per spostare 800 chilometri a Est i confini della Nato». La riunificazione? «Fu in realtà un Anschluss, una verae propria annessione. Che ha lasciato ancora oggi divisa la Germania». Chi parla è Hans Modrow, uno dei personaggi chiave del 1989. L’ultimo capo di governo della Ddr espresso dalla Sed, il partito unico della Germania Est. Dopo le dimissioni di Honecker – avvenute il 18 ottobre 1989 sull’onda delle grandi manifestazioni di Lipsia e Dresda – e quelle del suo delfino Egon Krenz, consegnate l’8 dicembre dello stesso anno – fu Modrow a guidare la transizione del vecchio partito unico in un nuovo soggetto politico, la Pds. E che ha dato vita, insieme alla Wags dell’ex socialdemocratico Oscar Lafontaine, a Die Linke, il nuovo partito della sinistra radicale tedesca. Modrow non è semplicemente una figura chiave nella storia recente della Germania ma anche un uomo presente. Rappresenta quel filo rosso che dalle due Germanie del dopoguerra arriva fino a oggi. È presidente onorario della Linke, che alle ultime elezioni per il Bundestag ha raccolto il 12 per cento dei voti, confermandosi il terzo partito tedesco. Il 28 gennaio del 2010 Modrow compirà 82 anni. Ma sui difficili e contrastati giorni della caduta del muro ha ancora molto da dire. Come sulla Germania di oggi.
Presidente, è vero che lei era stato designato come successore di Honecker da Mosca, in quanto più gradito a Gorbacev?
Il mio nome fu fatto proprio nel 1986, quando il diplomatico sovietico Koptelzew, in risposta alla domanda di un giornalista dello Spiegel, disse che Gorbacev pensava a me come successore di Erich Honecker.
Nella notte dell’8 dicembre 1989 si svolge il congresso straordinario della Sed, il partito unico della Ddr. Lei presiedeva l’assemblea, che decise di non sciogliere il partito ma di trasformarlo. Fu una scelta giusta?
In tutti i Paesi del socialismo reale ci si chiedeva, nell’89, quale sarebbe stato il futuro dei partiti di regime. Anche per la Sed, era questa la questione cruciale. Il 3 dicembre 1989 la direzione si dimise e fu organizzato un gruppo di lavoro incaricato di preparare il congresso del partito. Durante il congresso fu avanzata la proposta di fondare un nuovo partito di sinistra. In un’atmosfera molto tesa si decise di darsi una pausa di riflessione. A me, in quel frangente, toccò il compito di pensare a una via per mantenere in vita il partito ma sulla base di un sostanziale rinnovamento: da qui nacque la Pds, (il Partito del socialismo democratico, ndr). La mia argomentazione principale era la seguente: se il partito più forte del Parlamento, che esprime anche il presidente del Consiglio dei ministri, si fosse sciolto, allora nella Germania Est non sarebbe esistito nessun tipo di governo. Per il Paese sarebbe stata una catastrofe. Poiché l’Spd negava ogni collaborazione ai membri della Sed, si formò velocemente all’interno della Pds un pluralismo molto costruttivo. Fu così che le tre culture politiche della sinistra (comunisti, socialdemocratici e i socialisti di sinistra) ebbero un ruolo importante nel nuovo soggetto.
Come dimostra la storia della Pds, e in tempi più recenti l’azione della Linke, quella fu la scelta giusta.
Lei ha vissuto in prima persona la fine della Ddr. Come fu possibile mettere in moto un processo pacifico senza conflitti tra gli schieramenti militari che si fronteggiavano lungo il confine delle due Germanie?
Ciò che oggi, visto con un’ottica di distanza storica, appare semplice, fu in realtà un processo assai complesso.
Oggi si dice che l’apertura dei confini tra Ddr e Repubblica Federale segnarono la fine della Guerra fredda, e che la caduta del muro ne fu il momento simbolico.
Non sono d’accordo: non si può leggere il passato con le lenti di oggi. Il 2 e il 3 dicembre del 1989 Gorbacev e Bush si incontrarono a Malta. Gorbacev analizzò l’incontro il 4 dicembre a Mosca, nell’organo politico del Patto di Varsavia; lo stesso giorno Bush a Bruxelles riunì i leader della Nato. In quell’occasione non si parlò assolutamente né di una nuova strategia militare né dello scioglimento dei blocchi militari, perché la deterrenza nucleare era e rimaneva un elemento costitutivo delle loro strategie. E la Germania era un punto geografico centrale per le truppe dei due blocchi.
Nella Ddr sia il governo che l’opposizione – come dimostrarono l’8 e 9 ottobre le manifestazioni pacifiche di Dresda e Lipsia – non volevano alcuna violenza. Non per merito di Gorbacev ma del comandante militare del Patto di Varsavia, il generale Lushev. I comandi militari sia a Mosca che a Berlino espressero le loro preoccupazioni e le loro aspettative ma Gorbacev li aveva già lasciati soli. Parlava tanto, teneva molti discorsi ma per ciò che riguarda l’azione Gorbacev dimostrava tutta la sua incapacità.
Se ci fosse stata solo una minima esplosione di violenza all’interno della Ddr era chiaro sia al governo che all’opposizione che le truppe dell’Unione Sovietica sarebbero intervenute. Allora si sarebbe potuto sviluppare un conflitto tra i due blocchi militari sul suolo tedesco. Se guardiamo come sono andate le cose, dobbiamo essere riconoscenti a tutti coloro che hanno partecipato agli eventi di quell’anno.
Molte forze politiche parlano non di una riunificazione ma di una annessione della Ddr da parte dell’Ovest. La via intrapresa era l’unica o ci potevano essere altre possibilità?
Sì, è perfettamente lecito dire oggi che la riunificazione è avvenuta attraverso l’annessione della Ddr alla Repubblica Federale. Per quanto riguarda la possibilità di intraprendere vie alternative, il 30 gennaio 1990 proposi ai sovietici un piano in tre fasi per la riunificazione dei due Stati: se si fosse andati in una direzione di neutralità militare, si sarebbe potuta costruire una confederazione tra Germania Est e Ovest.
È proprio qui che gli Stati Uniti intervengono con forza. Nonostante fosse prevedibile che il Patto di Varsavia sarebbe caduto, una Nato senza Germania era per gli Usa impensabile. Il segretario di stato americano James Baker si recò a Mosca l’8 e il 9 febbraio 1990, e convinse Gorbacev a non mantenere più gli accordi presi con noi.
È pura ipocrisia che oggi Gorbacev lamenti l’espansione a Est della Nato per oltre 800 chilometri. Certo, rileggere vent’anni dopo la storia, alla ricerca di possibili strade alternative, è molto difficile. Ma non è inutile. Il 7 ottobre 2009 ho avuto un colloquio a Mosca con un rappresentante del ministero degli Esteri che sottolineava, in modo molto legittimo, come il governo dell’Urss abbia fatto molti errori nella sua politica estera, nel 1990-91. Errori che oggi non è più possibile correggere.
Fu un’annessione e non una riunificazione, dunque. Quali conseguenze ha portato questo processo? E quali differenze permangono ancora oggi tra le due parti della Germania?
La Germania finora è stata unificata solo dal punto di vista statale mentre dal punto di vista politico, economico e sociale rimane tuttora divisa.
La Camera del popolo della Ddr e il Bundestag (il Parlamento della Germania Federale, ndr), hanno sottoscritto un accordo di unificazione al quale io, come deputato del Parlamento, non ho dato il mio voto. La Ddr, il primo marzo 1990, confermava la proprietà statale delle aziende espropriate tra il 1945 e il 1949 a chi aveva commesso crimini di guerra, come previsto dalla conferenza di Postdam del 1945. La Germania Federale ha tuttavia realizzato una privatizzazione radicale. Più dell’85 per cento delle proprietà popolari è stato acquistato da imprese private della Repubblica Federale, il 10 per cento è andato al capitale straniero e solo il 5 per cento è rimasto nelle mani dei tedeschi dell’Est. La conseguenza è stato il raddoppio della disoccupazione nella Ddr. Nonostante tutte le promesse, gli stipendi nell’Est sono ancora inferiori a quelli dell’Ovest di oltre il 20 percento. Intere generazioni dell’Est si sono sentite guardate con disprezzo dall’Ovest per le loro capacità inferiori.
E ancora oggi c’è chi divide i tedeschi tra buoni e cattivi come ai tempi della Guerra fredda. Se manca l’attenzione
reciproca e non ci si sforza di trovare un’armonia, è impossibile far nascere una comunità fondata sulla fiducia. La povertà infantile, prima della riunificazione non esisteva in nessuno dei due Stati. Adesso invece è un problema quotidiano e un numero sempre maggiore di cittadini affronta una povertà crescente a fronte di una ricchezza che interessa un numero sempre più esiguo di persone. Ma questa realtà, nella Germania di oggi, viene rimossa, a vantaggio di una rappresentazione del Paese sempre più lontana dalla verità. In tutte le osservazioni i nessi reali vengono sfocati.
Mentre la sinistra, in molti Paesi europei, anche in Italia, si trova all’interno di una grave crisi, in Germania la Linke, sebbene sia un partito nuovo, riesce a portare avanti battaglie di successo. Le ultime elezioni tedesche lo hanno dimostrato. Com’è stato possibile? 
La Linke terrà nel maggio 2010 il suo secondo congresso. E lì per la prima volta si tireranno le somme per realizzare un’analisi approfondita del suo operato. La Linke è nata dalla Pds-Linkspartei, che affonda le proprie radici ai tempi della Ddr, e dalla bisogno di un’alternativa di voto nell’Ovest, dove l’Spd non riusciva più a rappresentare le rivendicazioni sociali e sindacali. La Linke oggi nei lander dell’Ovest supera la soglia del 5 per cento e i risultati nell’Est sono sopra il 25 per cento. Alle elezioni per il Bundestag la Linke ha avuto molti voti tra coloro che un tempo votavano Spd, anche se l’emorragia di elettori dei socialdemocratici ha principalmente ingrossato le fila del non voto. Un’analisi sociale della Linke è tuttora aperta, il processo di sviluppo interno del nuovo partito non si è ancora concluso, e anzi è poliedrico e aperto. Il nostro rapporto con la storia e le tradizioni del movimento operaio tedesco devono ancora essere discusse insieme, i risultati raggiunti nell’Est devono essere consolidati e quelli dell’Ovest estesi. Solo nel 2011 la Linke avrà un programma capace di unire le sue aspirazioni sociali e politiche attuali con i propri obiettivi socialisti. È una strada difficile da percorrere, che ci offre la possibilità di determinare in modo più preciso il profilo di un partito popolare e socialista che si pone a sinistra dell’Spd.
(con la collaborazione di Cecilia Iannaco)