Una frode fiscale di oltre due milioni di euro è stata scoperta a Fasano dalla guardia di finanza che ha individuato una impresa che, tra l’altro, impiegava tre lavoratori in nero. Il titolare è stato denunciato. I finanzieri hanno accertato che l’impresa non ha presentato le dichiarazioni dei redditi tra il 2004 e il 2007 (per un totale di 1.500.000 euro) e che ha evaso l’Iva per circa 600mila euro. E’ solo una tra le ultime notizie battute quotidianamente dalle agenzie. Notizia che svela un problema che si innesta, questo sì, nell’attuale complesso dibattito sulla crisi economica: l’evasione fiscale. Ieri, è stata la Cgil a lanciare un input di discussione con la proposta di aumentare l’aliquota per i redditi superiori ai 150mila euro. Una proposta su cui, ora, economisti ed esperti discutono mettendo in luce altri aspetti di un dibattito tutto aperto come, appunto, la mancata considerazione di un altro fenomeno che resta ai più sconosciuto quanto eluso: la frode al fisco. Nonostante la difficoltà della stima, quest’ultima rappresenta una cifra impressionante: si calcola che siano ben 270 i miliardi sottratti, pari a circa un quinto del Pil. E gli ultimi dati della Agenzie delle Entrate forniscono altri elementi di riflessione. L’evasione accertata ammonta oggi a 14,5 miliardi di euro contro i 13,1 del 2006. Ciò porta immediatamente a dire che, sul fronte del contrasto, il 2007 è stato un “anno record”. L’anno si chiude con incassi, a seguito di attività di controllo pari a 6,37 miliardi di euro, in crescita del 46% rispetto ai 4,36 miliardi del 2006. Poco più della metà (3,22 mld) arrivano da versamenti diretti (+22%) e gli altri 3,15 mld da ruoli (+82%). Un buon andamento che si conferma nei primi quattro mesi del 2008 con gli incassi a quota 800 milioni, in crescita del 24% rispetto ai 645 milioni dello stesso periodo dell’anno scorso. «Si tratta – sottolinea in una nota Villiam Rossi, direttore centrale dell’accertamento dell’Agenzia – di risultati molto buoni». Ma risultati che non bastano a definire a quanto ammonti davvero l’evasione fiscale in Italia. Vale a dire: anche quella parte dell’economia non osservata costituita dal sommerso economico. Un’economia che lo stesso Istat ammette «è difficile da quantificare». I nuovi sistemi di contabilità nazionale impongono a tutti i paesi di contabilizzare nel Pil anche l’economia non osservata. Teoricamente, tutti i fenomeni che danno luogo a economia non osservata sono oggetto di stima e di inclusione nei conti nazionali. Allo stato attuale, però, la contabilità nazionale italiana, al pari di quella degli altri partners europei – sottolinea ancora l’Istat – «esclude l’economia illegale per l’eccessiva difficoltà nel calcolare tale aggregato» e la conseguente incertezza della stima rende poco confrontabili i dati dei vari paesi. Sta di fatto che alcune stime si possono fare. E quelle riportate sono rappresentate dall’ultima documentazione Istat riferita al giugno 2008 sugli anni 2000-2006 parlano chiaro. Nel 2006 il cosiddetto “valore aggiunto” prodotto nell’area del sommerso economico è compreso tra un minimo del 15,3% del Pil (pari a circa 227 miliardi di euro) e un massimo del 16,9% (circa 250 miliardi di euro). Nel 2000, la percentuale minima era del 18,2% e la massima del 19,1% (rispettivamente pari a circa 217 miliardi e a 228 miliardi di euro). Tra il 2000 e il 2006 il fenomeno ha subìto differenti andamenti. Ad un considerevole incremento nel 2001, che, nell’ipotesi massima, ha portato il peso del sommerso a sfiorare il 20% del Pil, segue una fase in cui la percentuale di sommerso risulta essere decrescente. Nel 2002 e nel 2006 il “valore aggiunto” del sommerso evidenzia una contrazione anche in termini assoluti. Ma resta un dato che è, nei suoi termini assoluti, “mostruoso”. Duecentocinquanta miliardi di euro sono circa un quinto del prodotto interno lordo, come detto. Cifra che è ancora calcolata al ribasso, se solo nel 2007 già l’Agenzia delle entrate contava in circa 270 miliardi di euro l’entità dell’evasione basata su un’analisi elaborata sui dati Iva del 2004. E appunto, all’appello, già mancavano ben 270.101 milioni di euro di «base imponibile evasa». La ricchezza prodotta nascosta al fisco è passata dai 44 miliardi di euro del 1980 agli oltre 270 del 2007. In 24 anni, dunque, l’ammontare si è più che sestuplicato. Il che porta naturalmente ad un’ulteriore riflessione: per redistribuire la ricchezza in modo uniforme non basta certamente tassare le rendite più alte ma occorre agire su più livelli, sottolineano gli esperti. Lo stesso Alessandro Santoro su “Liberazione” non ha mancato di spiegare che «individuare le fasce di ricchezza sopra i 150mila-200mila euro», la proposta della Cgil, sia «un po’ datata». Il motivo? E’ presto detto. Perché non si considera che – sottolinea Santoro – «solo una parte minimale della ricchezza transita nella dichiarazione dei redditi». Il che, semplicisticamente, vuol dire che non basta “tassare” i flussi di reddito, occorre andare in profondità. Cominciando, per esempio, dal valutare esattamente l’ammontare dell’evasione e contrastarla. Temi che, al momento, l’attuale governo non intende certamente affrontare.
di Castalda Musacchio per Liberazione del 18/02/2009