Discorso Assemblea 18 gennaio 2016 Coordinamento per la Democrazia Costituzionale Sicilia
Buonasera a tutte e a tutti, e benvenuti all’assemblea pubblica indetta dal Coordinamento per la Democrazia Costituzionale, la realtà nazionale alla quale hanno aderito numerose associazioni, personalità della cultura e cittadini per riaffermare i valori democratici e sociali che fondano la Costituzione repubblicana, nata dalla Resistenza contro il nazifascismo. Diamo il nostro benvenuto al dr. Domenico Gallo, magistrato di Cassazione e tra i promotori del Coordinamento, che oggi ci onora della sua presenza in questa assemblea.
Viviamo in tempi indubbiamente difficili. Tempi bui per la nostra democrazia e per i valori sui quali è stata fondata la nostra convivenza civile. Già col tramonto della Prima Repubblica, con il passaggio dal sistema elettorale proporzionale a quello maggioritario si è assistito a un mutamento surrettizio della forma di Governo del nostro Paese. Modificare la legge elettorale significa incidere in misura potenzialmente notevole sulla qualità della vita democratica di un Paese, anche senza una modifica formale della Carta costituzionale. Dagli anni ‘90 in poi, non a caso, il nostro Paese ha visto Parlamenti sempre più deboli e Governi sempre più forti (basti pensare all’abuso della decretazione d’urgenza), con maggioranze artificialmente costruite mediante stratagemmi contenuti in leggi elettorali di natura progressivamente maggioritaria (Mattarellum, Porcellum, e da ultimo l’Italicum), che svuotano la rappresentanza di significato per ambire alla tanto acclamata governabilità.
La democrazia si è trasformata in un valore meramente formale, in un orpello, del tutto privo di un contenuto autentico, partecipativo, sostanziale. Quasi vivessimo nella Repubblica dell’estetica democratica. E tutto ciò allontana i cittadini dalla politica, accresce la distanza tra rappresentanti e rappresentati e alimenta l’antipolitica e i vari populismi, gettando ombre inquietanti sul futuro del nostro Paese.
La Riforma costituzionale del Governo Renzi (il cosiddetto DDL Boschi), in combinato disposto con la nuova legge elettorale (meglio nota come Italicum) muta in forma velata la forma di Governo del nostro Paese e persino la sua forma di Stato, trasformandola in un regime personalistico e autoritario.
Da un lato, una legge elettorale che consegna a una minoranza il Governo del Paese con un premio di maggioranza che viene attribuito al primo turno a chi otterrà almeno il 40% dei voti.
Se – come appare probabile – nessuno raggiungerà tale soglia, si procederà a un ballottaggio tra le due liste più votate, indipendentemente dal numero dei voti ottenuti al primo turno. Questo pur di sapere chi governerà “la sera stessa del voto”, come Renzi ama ripetere. Si tratta di un passaggio da una democrazia rappresentativa a una democrazia d’investitura e plebiscitaria. In una repubblica parlamentare gli elettori eleggono i propri rappresentanti in Parlamento, e non il Governo. Finiamola con questi frequenti equivoci: in Italia, almeno formalmente, il popolo non elegge direttamente l’Esecutivo, ma il Parlamento che voterà (o negherà) poi la fiducia ai Governi. Con l’Italicum, invece, la nostra diverrà nella sostanza una Repubblica presidenziale. Tra le altre cose, la nuova legge elettorale non sembra attenersi alle censure mosse dalla Corte costituzionale nella sent. 1/2014, che ha dichiarato incostituzionale il c.d. Porcellum con il suo abnorme premio di maggioranza, tale da distorcere l’elemento della rappresentanza, fondamentale in ogni democrazia. E questo Parlamento, eletto con una legge elettorale dichiarata costituzionalmente illegittima, non solo non è stato sciolto dal Presidente della Repubblica, non solo legifera sull’ordinaria amministrazione, ma ha addirittura l’audacia e la sfrontatezza di modificare la Costituzione, il patto sociale sui quali si fonda la nostra vita in società.
Il Senato sarà composto da 95 sindaci eletti dai consigli regionali e non voterà più la fiducia al Governo. Non sarà più un organo eletto dai cittadini o con membri da loro indicati (seppur indirettamente), ma verrà lottizzato tra i vari partiti presenti nelle assemblee regionali.
Inoltre, il processo legislativo – nonostante la retorica della semplificazione promossa dal Governo – diverrà decisamente più complicato: alcune leggi verranno approvate da entrambe le camere, altre dalla sola Camera dei deputati, in certi casi il nuovo Senato potrà chiedere una nuova deliberazione che la Camera potrà scavalcare riapprovando la legge a maggioranza assoluta. Insomma, pur di superare il bicameralismo paritario, si crea un sistema confuso e pasticciato, che probabilmente genererà un vasto contenzioso tra le Camere dinnanzi alla Consulta, rallentando il processo legislativo piuttosto che accelerandolo.
Di fatto una minoranza del Paese, grazie all’Italicum, diventerà maggioranza di Governo. L’Esecutivo, con la riforma Renzi-Boschi, potrà poi fare il bello e il cattivo tempo, esautorando il Parlamento delle proprie funzioni, potendo persino eleggere gli organi di garanzia del nostro sistema costituzionale, senza alcun rispetto per le minoranze. Uno scenario sinistro di personalizzazione della politica, ben oltre il berlusconismo o il renzismo a cui siamo abituati: la politica demagogica del leader diventerà un elemento sistemico del nostro ordinamento. Uno sfascio del sistema, un premierato assoluto pericolosissimo per il Paese, che riecheggia, sebbene in forme differenti, quanto avvenuto sotto il fascismo.
L’Italicum non sembra poi così dissimile dalla legge Acerbo, la legge elettorale maggioritaria voluta da Mussolini nel 1923 che permise al Partito Nazionale Fascista di ottenere una solida maggioranza parlamentare e di instaurare un regime dittatoriale nel nostro Paese.
E dire che negli anni ’50 si assistette a una mobilitazione generale contro la Legge Truffa, che assegnava un premio di maggioranza a chi avesse raggiunto il 50% + 1 dei voti. Insomma, dava un bonus di seggi a una maggioranza assoluta, non conferiva a una minoranza del Paese la maggioranza assoluta dei seggi. Per la cronaca, alle elezione del 1953 il premio non scattò, e la legge fu abrogata l’anno successivo a causa delle ampie polemiche che aveva suscitato. Insomma, loro a confronto dell’attuale Governo erano dei dilettanti.
Oggi tutti gli studiosi di diritto costituzionale concordano che esistono due forme di potere politico: il potere costituente e i poteri costituiti.
Il potere costituente è quel potere – tendenzialmente illimitato – che dà origine alla Costituzione, delineando i tratti essenziali e i valori sui quali si fonda l’ordinamento. Nel sistema giuridico italiano si tratta dell’Assemblea Costituente eletta il 2 e il 3 giugno del 1946.
I poteri costituiti sono invece quei poteri che traggono la loro legittimità dalla Costituzione: il Parlamento, il Presidente della Repubblica, il Governo, la Corte costituzionale, la Magistratura, lo stesso potere di revisione costituzionale. La Costituzione italiana è una Costituzione rigida. Questo significa che può essere modificata solo con un procedimento aggravato (prescritto dall’art. 138), e non con legge ordinaria, e che le leggi che siano dichiarate in contrasto con essa dalla Corte costituzionale sono annullate e cessano di avere effetto.
I poteri costituiti (nell’ordinamento italiano questo ruolo è assegnato al Parlamento), possono modificare la Costituzione, ma rispettando le caratteristiche essenziali del nostro ordinamento delineate dal potere costituente (rispetto dei diritti inviolabili dell’uomo, principio democratico, ecc.), tra cui la nostra forma di Stato: anche la revisione costituzionale trova alcuni limiti (quelli che la dottrina chiama “limiti alla revisione costituzionale”) che il legislatore deve rispettare. Consolidata giurisprudenza della Corte costituzionale ha stabilito che alcuni “principi supremi” del nostro ordinamento (ovvero i suoi tratti fondamentali e identitari) non possono essere modificati nemmeno in sede di revisione costituzionale.
L’art. 139 afferma che “La forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale.” La dottrina prevalente ritiene che per “forma repubblicana” non si intende soltanto che non è possibile un ritorno alla monarchia, ma, estensivamente, che non può essere mutata la forma democratica del nostro Stato, espressione del principio di sovranità popolare di cui all’art. 1 della Costituzione.
Oggi, con la crisi dei corpi intermedi degli ultimi anni e la deriva populista e postdemocratica, rischiamo una torsione autoritaria. Renzi è affascinato dalla visione dell’uomo solo al comando, senza intermediari. Vuole trasformare il suo attuale comportamento in norma costituzionale. Siamo ben oltre il mero presidenzialismo di fatto degli anni passati: qui si modifica apertamente la Costituzione. Un tempo il Governo non avrebbe osato proporre una riforma costituzionale: la materia veniva considerata di stretta competenza parlamentare. Oggi il Governo non solo presenta disegni di legge costituzionale che demoliscono numerosi articoli della Costituzione, tradendo lo spirito del Costituente, ma si permette addirittura di ricattare il Parlamento, legando indissolubilmente le sorti dell’esecutivo all’approvazione della riforma, senza ammettere alcuna modifica.
Oggi più che mai è necessario organizzarsi per respingere il disegno eversivo del Governo.
I numeri attuali in Parlamento non permettono al DDL Boschi di passare con la maggioranza dei ⅔. Di conseguenza, sarà possibile chiedere il referendum, come già avvenuto nel 2001 (con il referendum che ha visto la conferma della Riforma del Titolo V) e nel 2006 (che ha visto la bocciatura dell’orrenda riforma voluta dall’allora Governo Berlusconi). Potranno chiederlo un quinto dei membri di ciascuna camera o cinque Consigli regionali, ma potrà chiederlo anche il popolo, raccogliendo 500.000 firme. Sarebbe significativo far partire la campagna referendaria dal basso, magari intrecciando la battaglia contro lo sfascio dell’ordinamento costituzionale, con altre lotte contro le riforma reazionarie, antisociali e neoliberiste volute dall’Esecutivo, promuovendo referendum abrogativi dell’Italicum, del Jobs Act, della Buona Scuola, solo per citare alcuni dei peggiori provvedimenti di questo Governo.
Il referendum costituzionale non è un referendum confermativo, come vuol farci credere il Presidente del Consiglio, non è un plebiscito sulla sua persona o sull’operato del Governo, ma è un referendum sul futuro della nostra democrazia. In realtà è un referendum oppositivo, che la Costituzione prevede a tutela delle minoranze contrarie alla revisione costituzionale, non certo per promuovere operazioni plebiscitarie finalizzate al rafforzamento della leadership del capo. Si badi Inoltre che il referendum costituzionale, a differenza di quello abrogativo, non ha bisogno del raggiungimento del quorum del 50% + 1 degli aventi diritto al voto per la sua validità.
Qualcuno ci accusa di essere conservatori, di voler resistere a tutti i costi al cambiamento. Quasi che il cambiamento fosse sempre, in ogni circostanza, un elemento positivo. Noi preferiamo interrogarci sulla direzione che stiamo imboccando, su dove rischiamo di andare a finire.
Se il cambiamento – come in questo caso – è nettamente peggiorativo, difendere l’esistente diventa necessario, per poi rilanciare la nostra idea di società, la nostra idea di cambiamento e di futura società. Noi non vogliamo che la Costituzione del 1948 resti immutata. La Costituzione italiana, come ogni costituzione, è un prodotto storico, ed è specchio del suo tempo. Noi vogliamo che sia aggiornata, ampliata, attuata, senza stravolgerne lo spirito di fondo, lo stesso spirito che ha animato le donne e gli uomini che l’hanno scritta, appena usciti da una tremenda dittatura e dagli orrori del secondo conflitto mondiale.
Cominciamo attuando l’art. 3 della Costituzione (il principio di eguaglianza), l’art. 4 (il diritto al lavoro), l’art. 11 (“L’Italia ripudia la guerra…”) e tutte quelle numerose norme costituzionali che oggi non trovano applicazione. Cominciamo accrescendo gli spazi di democrazia diretta e istituendo nuove forme di partecipazione dei cittadini alla vita politica. Costruiamo nuovi diritti.
È questa la fase di rinnovamento costituente che chiediamo. Attuiamo la Costituzione, ma non tradiamone i valori fondamentali.
Altri ci additano come “gufi” affetti dal cosiddetto “complesso del tiranno”. Il sistema delineato dalla Carta costituzionale è un sistema nettamente antitotalitario, con pesi e contrappesi e con un bilanciamento tale da impedire che un potere dello Stato prevalga su un altro. La Storia ci insegna che spesso i totalitarismi si insidiano sotto forme nuove e imprevedibili. Corsi e ricorsi storici. Quando si parla di democrazia è bene essere prudenti. Se nel nostro Paese avessero sofferto, negli anni ’20 e ’30 del secolo scorso, di un reale complesso del tiranno, forse la Storia avrebbe preso un corso differente.
Vedo spesso disinteresse tra i miei coetanei su materie cruciali per la nostra democrazia come quelli delle riforme istituzionali o del sistema elettorale. Vengono percepiti come temi distanti dal Paese reale. Non si comprende quanto una riforma costituzionale incida poi sulla vita dei cittadini, sulla qualità del processo democratico, sul riconoscimento dei diritti civili e sociali.
Noi dobbiamo essere in grado di mostrare a tutti i cittadini le insidie e i pericoli nascosti dietro questa riforma, con un linguaggio semplice e accessibile, coinvolgendo anche il mondo giovanile. È necessario che il Paese ritrovi una sua linfa democratica, e insieme, dal basso e con le lotte, possiamo costruirla. Possiamo ancora fermare la svolta autoritaria. Siamo ancora in tempo.
Mi scuso se ho rubato troppo tempo, adesso passo la parola al dr. Domenico Gallo, promotore del Coordinamento per la Democrazia Costituzionale.
Grazie a tutte e a tutti.
Alessio Grancagnolo, UdS