ferrero_lowdi Checchino Antonini per Liberazione del 18 ottobre 2009
Di assalti e vie d’uscita. Assalti alla Costituzione, alla Fiom, alle pensioni, alla Giustizia. La crisi, vista da questo scorcio d’autunno, appare a Ferrero, segretario nazionale di Rifondazione comunista, come «l’incrocio di due questioni: la pesantezza della situazione economica, una vera crisi di sistema, e il tentativo di Berlusconi di uscire dal quadro democratico sancito dalla Costituzione. Insomma, non esiste alcun “new deal” all’orizzonte, nessuna idea di qualificazione del modello di sviluppo e di innalzamento dei salari. La risposta del governo alla crisi è fatta di aumento della precarietà, bassi salari, ricatto del lavoro nero e uso dello Stato per fare soldi. Penso alle grandi opere, alle privatizzazioni delle municipalizzate. Nel 1929 negli Usa si rispose col new deal, il nuovo corso, mentre i fascismi in Europa attuarono politiche di compressione dei salari e della democrazia, degli spazi del sindacato. Anche oggi governo e confindustria spingono verso l’impoverimento del Paese. Di questo sfondamento complessivo ci parla l’attacco alla Fiom. Poi c’è la tendenza del berlusconismo di chiudere definitivamente il secondo dopoguerra. A destra, per la prima volta, è chiara un’ipotesi politica eversiva per cambiare tutto dopo un lungo lavoro di revisionismo. Quello che arriva oggi è, concretamente, il piano della P2. La Seconda Repubblica è stata solo una transizione, qui c’è l’idea di un cambio di regime».
Una tendenza di cui fa parte anche Fini?
Fini è oggi la destra che vuole stare dentro il quadro costituzionale.
E Berlusconi?
Quello di Berlusconi è un piano eversivo in cui si intrecciano gli attacchi alla Costituzione e al sindacato di classe e alla contrattazione collettiva. I due processi si incrociano e si sostengono a vicenda. Infatti, se impoverisci il Paese è difficile pensare di governarlo in forme democratiche. L’obiettivo è quello di una gestione autoritaria della frantumazione sociale, dell’imbarbarimento che produce. Razzismo e omofobia servono a creare una cultura a supporto della gestione autoritaria. E il mito della delega plebiscitaria serve a ricomporre quello che il razzismo ha disgregato. Lo diceva Louis Althusser, l’ideologia è uno dei livelli in cui si esercitano i conflitti, ed in particolare il conflitto di classe, è forza materiale, cambia le cose. E la destra berlusconiana ha un programma sociale, uno politico e un’ideologia forte.
Eppure la bocciatura del lodo Alfano sembrava aver inceppato il cammino del premier.
Invece, proprio come la crisi, lo obbliga a un’accelerazione, a una radicalizzazione a destra, perché ora, per tutelarsi, deve smontare un intero sistema. E’ quello che succede con lo scarso consenso per la missione in Afghanistan che li obbliga ad accentuare i toni dello scontro di civiltà, lì con le armi, qui con le leggi sull’immigrazione. Il punto di cemento di quel blocco sono gli interessi di Berlusconi sulla giustizia e quelli della Lega sul federalismo. Fini, per ora, non sembra in grado di fare la differenza.
Ma è un quadro che può saltare?
Solo se ci sarà un’iniziativa sociale e politica molto forte. Berlusconi, infatti, regge benissimo la polemica con Franceschini e Di Pietro perché gli sono speculari. E regge benissimo gli attacchi di Repubblica . Altra cosa è la contraddizione sociale, la costruzione certosina di movimento, nelle scuole, in fabbrica, tra i precari. Quello gli fa male. Berlusconi ha smesso di fare i bagni di folla da Viareggio, da quando prende fischi. Se il popolo lo fischia il suo progetto populista non funziona. Il conflitto è il vero meccanismo di rottura dell’agenda politica. Come alla Innse, come stanotte all’Agc di Cuneo: la lotta paga ma ancora manca un’iniziativa generale, che metta assieme la forza. Occorre stimolare e curare la nascita e lo sviluppo di lotte specifiche, di resistenza, da cui partire per costruire un movimento generale su democrazia e uscita dalla crisi. La Fiom sta facendo cose egregie, il nostro appoggio è totale. Ma insisto col dire che la Cgil manca di iniziativa: non basta una manifestazione, occorre costruire una vertenza generale, come fu il “piano del lavoro” di Di Vittorio, perché la crisi non la paghino solo i lavoratori. Serve discontinuità rispetto alle logiche difensive. E c’è un deficit totale dell’opposizione parlamentare. Pd e Idv non sono portatori di un disegno alternativo a quello di Confindustria.
Eppure si fa un gran parlare della svolta “operaista” di Di Pietro.
Di Pietro riesce a stare dalla parte dei lavoratori senza essere contro i padroni. Anche la sua è una forma populista.
Insomma, una certa disponibilità al conflitto esiste. Il Prc è stato tra i metalmeccanici, con i precari della scuola, sui tetti, tra i migranti contro il razzismo, con il mondo glbtq. Cosa propone però Rifondazione a proposito del salto di qualità che evocavi?
Propongo a tutte le forze dell’opposizione una manifestazione che dica “Via Berlusconi, democrazia nel Paese e nei luoghi di lavoro, giustizia sociale”. E’ una proposta che serve a “stanare” i partiti, per organizzare una massa critica, e fuoriuscire dal battibecco perdente con Berlusconi. Questione sociale e questione democratica non possono essere separate e non deve passare l’idea che quella sociale sia un sottoinsieme della questione democratica. Più è forte l’attacco sulle questioni di vita, più i ceti popolari – senza un’organizzazione collettiva – diventano massa di manovra per un’ipotesi populista su cui s’è costruito un immaginario preciso. Basta discutere di escort, stiamo lavorando per costruire le condizioni di una larga mobilitazione unitaria.
Tra le urgenze c’è anche quella di una fuoriuscita dal bipolarismo. Su questo esiste una interlocuzione con settori del Pd?
Certo, ma di questo è bene parlarne dopo il 25. La proposta che avanziamo è di separare il problema della sconfitta delle destre da quello del governo del Paese. Noi dobbiamo battere Berlusconi, che per smontare la democrazia, il sindacato e i diritti produce razzismo, omofobia, un Paese dove la gente si odia, una guerra civile strisciante in cui hanno sdoganato il peggio del “cattivismo”. Però sappiamo che il centrosinistra non è autonomo dal progetto di Confindustria e quindi non si può governare con loro. Sconfiggere il bipolarismo vuol dire operare per la sconfitta di Berlusconi senza farsi arruolare per governare con Casini. Per questo proponiamo un accordo per battere Berlusconi, finalizzato ad una legge elettorale proporzionale e sul conflitto di interesse, senza un accordo di governo. Abbiamo bisogno che l’antiberlusconismo non si arruoli nel “partito di Repubblica”.
Tutto ciò non può succedere senza Rifondazione e una sinistra d’alternativa.
Bisogna dire che ha funzionato il nostro lavoro “in basso a sinistra”: il partito sociale, le brigate di solidarietà, il mutualismo, l’internità ai movimenti, da L’Aquila a Ponteranica fino al corteo di oggi, passando per i tetti delle fabbriche in crisi. Ora è il momento della Federazione della sinistra d’alternativa. Dallo scioglimento del Pci la nostra è una storia di scissioni, dai comunisti democratici del ’94 fino ai verdi ieri. Tutto ciò ha minato radicalmente la nostra credibilità. La Federazione, al contrario, apre un processo di aggregazione. Sarà decisivo che non sia la costituzione di un partito, come Sinistra e libertà che, mettendo assieme tutti, liberisti e antiliberisti, comunisti e anticomunisti, senza un’ipotesi forte, finora ha prodotto solo scissioni. Ha spaccato noi, i verdi, i socialisti. La Federazione vuol dire che ti metti d’accordo sull’essenziale, sulla costituzione di una forza di alternativa strategica alle socialdemocrazie, autonoma dal Pd. Che non vuol dire che non puoi mai fare accordi ma che sei tu a stabilirne le condizioni, che non sei la sinistra del Pd. La Federazione sarà una forza anticapitalista, femminista, ecologista in continuità con la storia della sinistra di questo Paese. E’ il contrario dell’impostazione occhettiana. L’idea che bisogna distruggere per ricostruire è nichlista. Il progetto di SeL, mi pare che mostri elementi di crisi. Noi gli proponiamo, come anche ai compagni di Sinistra critica e del Pcl, la Federazione come spazio pubblico della sinistra d’alternativa, autonomo dalla socialdemocrazia come la Linke.
Ma se non è un partito, che cos’è?
Una Federazione di partiti, organizzazioni, comitati, singole persone. Guardiamo all’America Latina: Rifondazione Comunista resta ma in un contesto di relazioni stabili, nella federazione. Lì sono nati, e hanno vinto, fori sociali, fronti uniti dove coesistono tendenze diverse. Alla fine di novembre ci sarà l’assemblea che darà vita al processo costituente della Federazione, sarà aperta alle associazioni, ai territori, ad altri soggetti. I soci fondatori (Prc, Pdci, Socialismo 2000 e Lavoro/solidarietà) non ne definiscono il perimetro, sono solo quelle che innestano un processo che deve incrociare le reti di movimento e dell’associazionismo che sono più ampie delle forze organizzate dei partiti. Sarà un processo aperto e che durerà un anno. Da gennaio, inoltre, uscirà la rivista “per la rifondazione comunista” e sarà diretta da Lidia Menapace. Servirà a contribuire a decolonizzare l’immaginario da Berlusconi, a dire che chi è ricco non ha ragione e chi è povero non ha colpa. E se lotta sta facendo la cosa giusta.
Intanto, però, in primavera ci saranno le regionali.
La crisi cambia tutto e mettiamo al centro del nostro progetto le politiche regionali per l’occupazione, il rilancio della sanità pubblica e l’ambiente, contro il nucleare. Il governo dirà solo dopo le elezioni dove intende costruire le nuove centrali per questo è necessario che le Regioni si dichiarino contrarie subito. Accanto a questo vi è la questione morale (con punti di degrado del centrosinistra che non sono più tollerabili) sia l’urgenza dell’ampliamento delle forme della democrazia, a livello regionale, contro il bipolarismo. Per quanto riguarda la presentazioni, a partire dalla lista unitaria delle europee proponiamo di lavorare per evitare la frantumazione della sinistra di alternativa. In questa situazione è decisivo che i voti di sinistra non vadano dispersi e si dia un segno di forza e di speranza.