Di Fabio Sebastiani. Da Controlacrisi.org
Il pasticcio del Jobs act versione Governo rischia di impantanare Renzi. Le dichiarazioni del ministro Poletti sull’esclusione, nemmeno troppo convinta a dire la verità, degli statali, ottiene l’effetto della benzina sul fuoco. Ncd, Fi e Sc da un a parte che accusano l’esecutivo di avere “poco coraggio” e di essere ostaggio delle correnti interne al Pd e, dall’altra un pezzo, solo un pezzo di Pd che difende il premier. L’altro pezzo, l’opposizione, a sua volta divisa, pena addirittura al referendum. Il punto per Damiano e gli altri sono i licenziamenti collettivi e l’esiguità degli indennizzi. Il “Sole 24 ore” mette in evidenza come a questo punto si creano tre procedure per il trattamento dei licenziamenti: sub legge Fornero, sub Jobs act e statali. Un guazzabuglio che di fatto ottiene il risultato contrario di quello previsto dallo stesso Renzi che voleva armonizzare le regole dissipando la frattura tra occupati stabili e precari.
Sul piano politico anche tra le varie articolazioni delle opposizioni interne al Pd ci sono forti divisioni. “Ora, lo dico senza polemica: questo giro di dichiarazioni per me è incomprensibile – dice Pippo Civati -. Se si era così preoccupati, si potevano raccogliere le firme di centinaia di parlamentari per evitare che il Jobs Act contenesse le norme sui licenziamenti facili e sul demansionamento prima di arrivare alla discussione alle Camere, come avevo proposto. E, invece, si è preferito trattare, poi mediare, poi posizionarsi, poi condividere con preoccupazione, poi preoccuparsi per la condivisione. Il problema non è tra correnti del Pd, è con la realtà delle cose”. Civati fa notare che prima il capogruppo del Pd (Cesare Damiano) prendeva in giro Sacconi (“che in realtà secondo me è molto soddisfatto”), ora chiede le modifiche al decreto del governo. Chi ha votato a favore parla di “lesione costituzionale”. Chi ha prodotto la mediazione parla di eccesso di delega, spiega Civati, che poi ironizza: “Pare che sia nata una nuova corrente: quella dei “trattativisti”, che sperano di cambiare il testo di Poletti, dopo avere accolto con favore le notizie che provenivano da Palazzo Chigi solo qualche ora fa. Poletti li ha già ‘rassicurati’: non si cambia una virgola. Va bene così”. Sembra la sceneggiatura di una piece del teatro dell’assurdo. Intanto, la discussione si sposta sull’opportunità o meno di licenziare collettivamente anche gli statali. Anche se Michele Gentile, della Cgil, fa notare come in realtà ciò già sarebbe possibile con le norme introdotte da Fornero, è chiaro che il segnale non potrà non avere il suo peso in questa fase in cui si parla dei circa undicimila esuberi tra i dipendenti delle Province. Pietro Ichino, convinto assertore dell’inclusione dei dipendenti pubblici nel testo del Jobs act ricorda che il Governo aveva licenziato un testo in cui questo punto c’era. “Tredici anni fa – ricorda Ichino – nel Testo Unico sul pubblico impiego si è stabilito che, escluse assunzioni e promozioni, per ogni altro aspetto – salve eccezioni rispondenti a esigenze particolari – il rapporto di pubblico impiego deve essere assoggettato alle stesse regole del rapporto di lavoro privato”.
Sul Jobs act è intervenuto anche il segretario del Prc Paolo Ferrero: “Il premier Matteo Renzi aveva detto che con il Jobs Act voleva abolire l’apartheid dentro il mondo del lavoro. In realtà il Jobs Act è una legge a favore dei padroni, quelli che gli danno i mille euro a cena, contro la classe lavoratrice e colpisce in particolare i giovani nuovi assunti a cui viene tolto ogni diritto“. Con la legge di Renzi, sottolinea ancora Ferrero, “i giovani i diritti non li avranno mai, saranno ricattati tutta la vita. Contro questa legge di classe serve la mobilitazione, lo sciopero generale, il referendum: Renzi si tolga dalla testa che tutto andrà avanti come prima“.
 
Fonte: www.controlacrisi.org