di Nicola Nicolosi, coordinatore nazionale area “Lavoro e Società” CGIL
Nel Paese è aperto uno scontro politico-culturale sul ruolo e sul valore della “Democrazia”. Vale tanto per la rappresentanza politica, ma è necessaria anche per la rappresentanza sociale. Il modello di democrazia non è unico, le sue articolazioni hanno ricadute nelle relazioni politiche e sociali.In Italia siamo in presenza di una ricerca ossessiva e imitativa del modello di democrazia anglosassone. Siamo passati da un modello consensuale basato su governi di coalizione, tra equilibrio di poteri fra legislativo ed esecutivo, da un sistema multipartitico e un sistema elettorale proporzionale, a un sistema ibrido con il modello inglese maggioritario come obiettivo da raggiungere. Dentro questi diversi modelli di democrazia si muove anche la rappresentanza sociale. Il sindacato italiano è caratterizzato dal pluralismo sindacale e le singole organizzazioni sindacali sono state espressione della cultura politica presente nel Paese.
Per anni il tema del’autonomia e dell’indipendenza del sindacato è stato discusso e solo oggi possiamo affermare l’avvenuta conquista anche se molto contrastata.
La ricerca del modello di democrazia sta investendo il sindacato nell’epoca della crisi della rappresentanza politica.
Il Governo Berlusconi e il Partito democratico di Veltroni si muovono dentro una logica tipicamente anglosassone dove vige il principio maggioritario che esprime cultura politica omogenea con le elites politiche in conflitto per conquistare il potere.
Basti guardare l’accordo sullo sbarramento elettorale del 4%, imposto per le elezioni europee. Si afferma una omogeneità di interessi tra diverse forze politiche, tra il Governo e l’attuale opposizione parlamentare.
Lo stesso schema di ragionamento può essere esteso al modello di sindacato che si vuole nell’Italia della democrazia maggioritaria.
Si vuole un sindacato partner dell’impresa, un sindacato dei servizi, un sindacato che rinunci alla rappresentanza degli interessi del mondo del lavoro e dei soggetti più deboli della società.
In sintesi, è la Cgil e la sua storia che si vuole cancellare. L’essere confederazione generale, negli oltre cento anni di storia, ha significato unire il mondo del lavoro diviso da mille mestieri per diventare classe sociale, acquistando quella forza e quella dignità sancita nella nostra Carta Costituzionale.
Berlusconi e Veltroni sono in piena sintonia quando sostengono un accordo sul modello contrattuale che non ha la firma della più importante organizzazione sindacale, ma firmato con associazioni padronali, con Cisl e Uil. Il merito non conta se si riducono i salari, non è importante; è il metodo del patto neocorporativo che conta. In questo contesto il modello di democrazia a cui si fa riferimento è escludente, non inclusivo di culture politiche che sono considerate un peso e un fardello dai sedicenti riformisti.
La sinistra politica e la Cgil sono considerati una anomalia della storia in questo periodo. Come si può rispondere a questa azione che chiamarla autoritaria è un eufemismo? Sicuramente con la lotta e con la mobilitazione politica e sociale.
La Cgil ha già indetto numerose iniziative. Lo sciopero del prossimo 13 febbraio proclamato dalle federazioni della Cgil dei metalmeccanici e dei dipendenti pubblici è la prima risposta sindacale all’arroganza dei firmatari. Altre iniziative sono programmate con altre categorie e in più territori in Italia. Il grande appuntamento del 4 aprile dovrà diventare uno degli appuntamenti di lotta e mobilitazione della storia della Repubblica.
Resta la questione della democrazia diretta. I lavoratori hanno il diritto ad esprimersi su un accordo che riguarda i propri salari. Il referendum in questo caso è ineludibile.
Cisl e Uil non possono firmare un accordo che abbia efficacia “erga omnes” anche per i non iscritti. Qui si pone, oltre all’azione di contrasto sindacale, anche una azione giuridico-legale. La democrazia sindacale non può essere rinchiusa dentro i confini della democrazia di organizzazione, che ha il limite di rispondere solo agli iscritti.
La democrazia sindacale si rivolge a tutti i 17 milioni di lavoratori dipendenti: per questo il Referendum dei lavoratori va organizzato anche senza il parere positivo di Cisl e Uil.
La sindacalizzazione in Italia non supera il 35% per cui il 65% non è rappresentato da alcun sindacato. La nozione di democrazia non può essere abusata. Per questo serve una legge sulla rappresentanza che sia in sintonia con l’art. 39 della Costituzione della Repubblica Italiana.
da Liberazione del 31/01/2009