La scommessa nell’isola dopo la vittoria del NO
di Umberto Santino
CHE in Sicilia dovesse vincere il
No non era difficile
profezia, se si tiene conto
delle frequenti discese di Renzi
nell’Isola, indice di una preoccu-
pazione più volte manifestata.
Ma che ci dovesse essere una ta-
le affluenza alle urne, dopo aver
superato nelle scorse elezioni re-
gionali il record delle astensio-
ni, e uno scarto così grosso tra il
No e il Sì nessuno se l’aspettava.

L’immagine consegnata dalla
Sicilia negli ultimi anni non è
proprio di grande vitalità. Non
sono mancate proteste e mani-
festazioni, di operai licenziati,
disoccupati cronici, senzatetto,
insegnanti e studenti, voti di
protesta come quello per i grilli-
ni all’elezione regionale, ma la
disastrosa gestione della presi-
denza della Regione ha fatto da
sonnifero per gran parte della
popolazione. Crocetta ha dilapi-
dato il prestigio accumulato co-
me sindaco antimafia, ha poi ab-
bandonato il Parlamento euro-
peo, dimostrando che anche
per lui le istituzioni sono una
porta girevole, e ha fatto il go-
vernatore, coniugando atteg-
giamenti da caudillo sudameri-
cano, penose esibizioni ed ecces-
si patologici di autostima.
I grillini (meriteranno que-
sta denominazione finché non
si scrolleranno di dosso la dipen-
denza da un guru asceso al cielo
e dal comico predicatore dei
“vaffa”) si sono decurtati lo sti-
pendio, hanno fatto l’opposizio-
ne, ma si sono ultimamente esi-
biti in un vecchio avanspettaco-
lo: il silenzio davanti ai pm, il ri-
fiuto di sottoporsi alla prova gra-
fica da parte degli sprovveduti
collezionisti di firme false, han-
no mostrato che non sono diver-
si dagli altri su cui hanno sca-
gliato i loro strali, cercando di
seppellirli sotto palate di “One-
stà onestà”.

’attuale governatore, che ha votato Sì per te-
nersi buoni i nemici renziani, non ha nessuna
intenzione di dimettersi, di dichiarare falli-
mento, ma pare che sia questione di tempo. I grilli-
ni scalpitano, sia a livello nazionale che regionale, e
pensano di avere la vittoria in tasca. Non sono lonta-
ni dal vero, ma un conto è presidiare le barricate
dell’opposizione, un altro governare. Virginia Rag-
gi ha stravinto le elezioni amministrative a Roma
ma annaspa penosamente, dimostrando di non es-
sere all’altezza. Si dirà che amministrare Roma è
compito da far tremare i polsi a chiunque, ci sono
troppi problemi e troppi rifiuti, non solo sulle stra-
de, ma gli elettori che hanno tributato un plebisci-
to alla giovane signora, si sono ben presto accorti
che le loro speranze poggiano su spalle troppo gra-
cili. Figurarsi se bisogna governare una regione co-
me la Sicilia e un Paese come l’Italia.
Il segnale che viene dal voto al referendum susci-
ta attese e risuscita speranze. Se non vuole essere
un fuoco di paglia occasionale, acceso da una sacro-
santa volontà di bloccare una riforma ridicola e
mandare a casa un giovanotto non eletto da nessu-
no, che ha stomacato per i suoi atteggiamenti da
aspirante ducetto, bisognerà contare su questa le-
vata di scudi per costruire sulla sua base un’alterna-
tiva credibile, che non può essere certo basata su
uno schieramento che comprende pure i neofasci-
sti (a proposito, la Costituzione, all’articolo XII del-
la disposizioni transitorie e finali, vieta la riorganiz-
zazione sotto qualsiasi forma del partito fascista,
un altro dei tanti articoli rimasti sulla carta).
I grillini dovrebbero lasciare le penne di un movi-
mento eterodiretto, arroccato nei riti ultraminori-
tari del web, e diventare qualcosa che somigli a un
partito. Si dica quel che si vuole, ma se la democra-
zia, diceva Churchill, è la peggiore forma di gover-
no, ad esclusione di tutte le altre, i partiti, o comun-
que associazioni strutturate, organizzate democra-
ticamente, con un programma credibile e persone
in grado di realizzarlo, non un club di improvvisato-
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ri e chierichetti, non possono non essere l’ossatura
della democrazia. Le sinistre dovrebbero rifondar-
si, non a parole come nella disastrosa esperienza
bertinottiana, legandosi strettamente a tutte le for-
me di disagio prodotte dalle dinamiche della globa-
lizzazione, organizzando e rappresentando disoc-
cupati, precari e lavoratori in nero, ridando una pro-
spettiva di futuro possibile ai giovani. Non so cosa
accadrà nel Pd, dopo la batosta che archivia o ridi-
mensiona drasticamente il giglio magico. Si avrà
soltanto una resa dei conti, con il dissenso ringalluz-
zito, o una virata decisa verso una riedizione della
socialdemocrazia, come in altri paesi?
Con Renzi è stato un partito di centro che guarda
a destra, con una minoranza debole e divisa; ora do-
vrà decidere se impantanarsi in una rissa perma-
nente o darsi una fisionomia e una leadership capa-
ce di far convivere anime diverse, accomunate dal
rigetto del neoliberismo e dai suoi dogmi, procla-
mati da un’Europa di controllori di patti di stabilità
che impediscono qualsiasi politica di sviluppo.
Niente a che vedere con il manifesto di Ventotene,
ipocritamente riesumato da fedelissimi del merca-
to, convenuti su una nave da guerra, davanti a un
mare su cui si consuma la quotidiana tragedia dei
migranti.
Se la Costituzione è stata salvata dal sabotaggio
di dilettanti presuntuosi, in veste di padri e madri
costituenti, ora è giunto il tempo in cui i suoi princi-
pi fondamentali, inapplicati dopo la rottura del pat-
to tra culture diverse, consumatosi nel maggio del
1947 per scongiurare il pericolo comunista, diventi-
no progetto politico e programma operativo. «L’Ita-
lia è una repubblica democratica fondata sul lavo-
ro», dice l’articolo uno della Costituzione.
La democrazia non esiste se non è partecipazio-
ne effettiva, potere diffuso e il lavoro non può esse-
re orfano di diritti, massacrato dalla precarietà e
negato da una disoccupazione crescente, perduran-
do l’attuale stato di cose. Che questo cambio di rot-
ta possa cominciare da una Sicilia emarginata dal-
le politiche correnti, può sembrare velleitario, ma
più che una speranza è una scommessa.
Repubblica 8/12/16